La Nuova Sardegna

“Rut” attraversare il deserto per riscoprirsi

di Alessandro Cadoni
“Rut” attraversare il deserto per riscoprirsi

Al Teatrì di Alghero il lavoro di Cristoph Nix ispirato al personaggio biblico, sul palco Chiara Murru

17 gennaio 2020
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SASSARI. Rut, l’amica, e Noemi, l’amabile, sono le protagoniste del libro biblico che dalla prima prende il nome. In tempo di carestia, Noemi era emigrata da Israele nella terra di Moab, insieme al marito e ai due figli ai quali andranno spose due donne moabite, Orpa e, appunto, Rut. Come pure accadrà a Giobbe in un altro celebre libro, contro Noemi si leva la mano di Dio, che le strappa, uno dopo l’altro, sposo e prole. È allora che lei decide di fare il percorso inverso per tornare in Israele, nuovamente straniera, seppure in terra natale. Le due nuore, per amore della suocera, decidono di seguirla, ma solo Rut avrà il coraggio di portare a termine il viaggio.

Questo è, in sintesi, l’antefatto dello spettacolo “Rut. L’amica dell’amabile”, produzione del Teatro stabile di Costanza e scritta dal suo direttore, il regista e drammaturgo tedesco Cristoph Nix. Supportato dalla cooperativa Le Ragazze Terribili e anteprima del festival Abbabula, “Rut” è stato rappresentato in prima assoluta a Lo Teatrì di Alghero domenica 12 gennaio (repliche dal 16 al 19).

In scena una sola attrice, Chiara Murru, corpo e voce dei personaggi di questa riscrittura biblica che prende la forma di un monologo poetico, secco, preciso, intenso. Lo spazio scenico è contenutissimo, data anche la particolarità del minuscolo teatro: il luogo dell’azione è suggestivamente ricavato in un ideale parallelepipedo, alto e dall’estensione molto piccola, con rare escursioni nell’area di un pubblico che, dell’attrice, sente ogni respiro. Per questo motivo, diciamo così, di empatia spaziale, la prova di Murru è misurata, precisamente scandita sulla partitura testuale.

Lo ha detto bene l’autore, dopo lo spettacolo, nel foyer (che per inciso, nel Teatrì è, in senso squisitamente civico, la strada): questo testo carico di emozione andava interpretato così, senza patetismo.

Ma torniamo alla scena e all’azione. In uno spazio tanto ristretto parrebbe difficile andare troppo oltre la pura narrazione. Invece, merito della regia di Nicola Bremer (autore anche dell’eccellente traduzione del testo), l’azione si sviluppa, gli oggetti si moltiplicano – una valigia che ne contiene altre due, piene del grano della spigolatrice Rut –, il corpo dell’attrice si trasforma, dall’acconciatura agli abiti, sovrapposti in diversi strati. Si tratta di un movimento anche in questo caso ben misurato, scandito da un efficace montaggio di luci, tra le quali spiccano gli effetti pittorici d’una lampadina mobile, che si abbassa quasi sino a terra, nel buio degli altri fari. Rut e Noemi, dicevo, attraversano il deserto per tornare in Israele; Nix ha immaginato, per questo viaggio, un teatro di guerra, con l’evocazione dei corpi dilaniati degli uomini morti. Non è un caso che, una delle parole chiave della pièce sia «rifugiata», con la flessione femminile a sottolineare un altro tema centrale di questa riscrittura. Rut, che in Israele sarà straniera, si rivolge, invocandole, alle «donne», come già Medea, senza però il conflitto permanente nel quale vive la straniera di Euripide, mai accettata. “Rut” è, senza facile ottimismo, una storia di possibilità, di scoperta di sé, di emancipazione senza pacificazione: non mi pare poco.

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