La Nuova Sardegna

«Amarcord Federico», il segno del genio

di Fabio Canessa
«Amarcord Federico», il segno del genio

A cento anni dalla nascita di Fellini alcuni registi sardi raccontano il loro rapporto con le opere del grande cineasta

19 gennaio 2020
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SASSARI. Rimini, 20 gennaio 1920. Nasce Federico Fellini, il regista italiano più conosciuto e apprezzato al mondo. Scomparso nel 1993, continua a vivere attraverso i suoi film. Capolavori che hanno segnato la storia del cinema. Per il centenario della nascita abbiamo chiesto ad alcuni registi sardi un ricordo e cosa significhi per loro Fellini.

BONIFACIO ANGIUS. Il regista sassarese lo ha detto più volte durante interviste per i suoi film: Fellini rappresenta per lui il punto di riferimento assoluto. «Pur essendo le sue opere irraggiungibili, è stato il primo autore cinematografico che sia riuscito a farmi credere che fare cinema fosse possibile. Riprendendo una delle sue prime dichiarazioni alla stampa per l’uscita in sala de “Lo sceicco bianco” in cui definì il cinematografo come un “gigantesco giocattolo”, si può intendere lo spirito con cui, seppur indirettamente, mi ha spinto a intraprendere questo mestiere». Insomma, più di un maestro per Angius. Quasi una divinità: «Fellini faceva apparire semplice la realizzazione di messe in scena impossibili da riprodurre. Per quanto mi riguarda, sarebbe riduttivo definirlo semplicemente “autore cinematografico”, infatti Federico è molto di più, è un mago, un medium, un’immagine a cui rivolgersi nei momenti di difficoltà. Devo confessare che spesso mi sono ritrovato a parlare segretamente con lui per chiedergli dei consigli, come si fa con Dio, e lui con le sue opere, mi ha sempre risposto».

GIANFRANCO CABIDDU. Anche per chi ha guardato nella sua formazione cinematografica più ad altri maestri della settima arte, Fellini resta imprescindibile. È il caso di Cabiddu: «Per il mio modo di vedere il cinema ho avuto come riferimenti soprattutto altri giganti, per esempio Orson Welles, ma Fellini è stato davvero un genio. Da ragazzo credo di non averlo capito molto, ho iniziato ad amarlo dopo essermi trasferito a Bologna per il Dams. Rivedendo “Amarcord” quando vivevo là ho compreso la grandezza di quest’autore. Il suo modo di trattare le radici e la capacità di mostrare l’onirico che diventa reale, quotidiano». Cabiddu ricorda anche di averlo incrociato a Roma. «A Cinecittà, quando facevo il fonico. Non ho mai lavorato con lui, ma ho conosciuto tante persone che hanno avuto questa fortuna. Lo chiamavano “Il Faro”, soprannome che fa capire quanto fosse riverito».

PETER MARCIAS. Nella capitale, con la decisione di intraprendere un percorso lavorativo nel mondo del cinema, si è trasferito poco più che ventenne anche Peter Marcias. «Arrivai a Roma nel Duemila e ricordo che una delle prime cose che feci fu recarmi in tanti luoghi dei film “La dolce vita” e “Roma” con i quali avevo scoperto da adolescente Fellini. Per me il suo cinema rappresenta tutto. È un cinema sognante e appagante, ricco di spunti per una aspirante regista, ma soprattutto costruttivo. Ti lascia un segno indelebile, te lo porti con te per sempre». Un amore totale per i suoi film che è impossibile per il regista sardo sceglierne uno preferito tra tanti: «Sempre giovanissimo vidi “La strada”, “I vitelloni”, “Otto e mezzo”, “Amarcord”. Film incredibili. Non ne ho uno preferito perché ho amato quasi tutto di Fellini, anche il suo ultimo lavoro “La voce della luna”. In questi miei anni di carriera ho conosciuto e intervistato per i miei documentari tanti registi e stando a Roma sono cresciuto con il rammarico di non avergli stretto la mano. Mi sono consolato più volte incontrando Moraldo Rossi, uno dei suoi primi aiuto registi».

ENRICO PAU. Straordinario, unico, inarrivabile. Non bastano gli aggettivi per il genio riminese e il suo cinema anche per Enrico Pau. «Non mi sento per nulla felliniano, la mia visione cinematografica è più vicina a Rossellini, però non posso che provare una profonda ammirazione come spettatore dei suoi film che rivedo sempre con piacere. Da regista invidio la capacità che aveva di creare scene incredibili. Mi viene in mente quella dell’harem di “8 e mezzo”, di una perfezione assoluta. E poi gli altri film, come “Amarcord” che pur essendo così personale diventa universale. Mi fa ricordare i miei genitori, anche se Rimini è una realtà diversa da Cagliari. È la forza della verità del racconto».

PAOLO ZUCCA. Il ricordo del regista reduce dal grande successo del film “L’uomo che comprò la luna”, parte da un recente episodio accaduto nella sua Oristano: «Mentre passavo vicino a Piazza Roma, abituato a ricevere apprezzamenti per il mio lavoro, mi sono beccato alle spalle un irrisorio “O Fellini!”, pronunciato con perfetto accento nasale oristanese. Era un invito anonimo a tenere i piedi ben piantati per terra, che ho ricevuto con grande divertimento». La scoperta di Fellini, la ricorda invece così Paolo Zucca: «Benché, come tutti, sapessi chi era Fellini sin da bambino, ho visto per la prima volta un suo film, su un vhs a casa di un amico, quando ero già all’università. Era “8 e mezzo” e fu un’esperienza folgorante. Infatti è ancora uno dei miei film preferiti in assoluto. È cinematografia allo stato puro, insuperabile per eleganza stilistica, creatività della messa in scena e profondità dei contenuti». Un altro film di Fellini, “Amarcord”, Zucca lo ha anche apertamente citato nel suo primo lungometraggio: «In una scena de “L’arbitro” si vede Matzutzi, interpretato da Jacopo Cullin, che si rifugia tra le fronde di un grande albero come Ciccio Ingrassia che urla “Voglio una donna!” nel film di Fellini».

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