La Nuova Sardegna

Tracce di Guerra fredda in terra di Sardegna

di Paolo Merlini
Tracce di Guerra fredda in terra di Sardegna

Nuoro, da oggi (fino al primo marzo) “Something happened on the way to heaven” dell’artista angolano Kiluanji Kia Henda

31 gennaio 2020
4 MINUTI DI LETTURA





NUORO. Con la mostra “Something happened on the way to even” (È accaduto qualcosa sulla via del paradiso), prima personale in un museo europeo dell’artista angolano Kiluanji Kia Henda, il Man diretto da Luigi Fassi prosegue il progetto cominciato due anni fa con l’ivoriano François-Xavier Gbré: aprire una finestra sulla scena artistica dell’Africa, oggi particolarmente fertile quanto sconosciuta al pubblico italiano, e offrire allo spettatore “occidentale” una prospettiva ribaltata rispetto al suo punto di vista abituale, sull’arte ma non solo. «L’obiettivo è spostare la geometria dello sguardo sul Mediterraneo da nord a sud, e di farlo da un punto di vista centrale qual è la Sardegna», dice Fassi, che anche in questa occasione ha invitato l’artista per una residenza, durante la quale è stato fondamentale l’apporto logistico della Film commission Sardegna.

Accompagnato dai “location scouting”, le guide della film commission, l’artista ha percorso in lungo e in largo l’isola, focalizzando la propria attenzione sui resti della Guerra Fredda, che in Sardegna significano soprattutto servitù e basi militari. Lo ha fatto sulla scorta della propria esperienza maturata in Angola, nazione che dopo l’indipendenza dal Portogallo nel 1975, la nascita di una repubblica di ispirazione marxista e la guerra civile che ne è seguita, è stata tirata per la giacchetta dalle due superpotenze mondiali sino al 2002, quando la situazione si è normalizzata.

Kiluanji Kia Henda, classe 1979, ha cominciato la sua carriera artistica una quindicina di anni fa utilizzando molto la fotografia. Al Man sono esposte immagini di pareti urbane scrostate o in rovina che erano state affrescate con murales politici, volti di Lenin e di rivoluzionari. Ha lavorato anche sul tema del colonialismo, dopo che all’indomani dell’indipendenza le statue dei reali portoghesi erano state portate vie dalla piazze principali della capitale Luanda, lasciando però i grandi piedistalli che le sorreggevano. Monumenti al nulla, sui quali Kiluanji Kia Henda ha fatto posare a mo’ di statua i giovani della nuova Angola e li ha fotografati.

In Sardegna, si diceva, l’artista è stato colpito dalla massiccia presenza delle servitù militari. Nasce così la serie “The Geometric Ballad of Fear” (la ballata geometrica della paura), esposta insieme con le altre opere create per il Man. È una serie di nove fotografie di paesaggi da cartolina delle coste sarde, ma a renderli sinistri è l’uso del bianco e nero e soprattutto la sovrapposizione di reticolati geometrici, diversi per ciascuna immagine. L’artista ha attinto dal vasto campionario offerto dai tempi sovranisti, con i migranti dell’Africa che cercano una via di fuga dalla propria realtà dove è diventato impossibile vivere, vuoi per la guerra, la miseria o il clima. Le servitù militari tornano nell’opera “Ludic Island Map”: basi e poligoni fotografati dall’alto diventano tessere geometriche come nel videogioco Tetris. Più esplicito e crudo il lavoro “Double Head Flag (Escalaplano)”: qui nella bandiera sarda i quattro mori sono sostituiti da agnelli a due teste. I lettori ricorderanno le immagini delle mutazioni genetiche diffuse durante il processo per l’inquinamento da bombe e proiettili all’uranio impoverito al poligono di Perdasdefogu. La bandiera non è più bianca e rossa, ma gialla e nera: i colori del simbolo della radioattività. Il paradiso violato che dà il titolo alla mostra è soprattutto questo.

Il tema del Mediterraneo che per una moltitudine di uomini è necessario varcare per una prospettiva di vita più dignitosa torna nel lavoro Mare Nostrum, immagini di saline dove compaiono grandi spazi neri che danno il senso dell’ignoto. Parla ancora di migrazioni il singolare polittico che raffigura in modo volutamente oleografico alcuni fenicotteri. Come ben sappiamo in Sardegna, un uccello simbolo delle grandi migrazioni. Il titolo dell’opera “Migrants who don't give a fuck” (letteralmente migranti ai quali non gliene frega un cazzo) ne chiarisce il significato, insieme con l’opera “Hotel Flamingo” (è il nome inglese del fenicottero). È una gabbia metallica che riproduce il checkpoint di Melilla (enclave spagnolo in Marocco). Il fatto è che al contrario dell’originale non ha porte, cioè vie d’uscita. In un’altra stanza, ancora una gabbia: all’interno un blocco di sale (di nuovo il richiamo del mare) che diventa il basamento della testa in bronzo di un uomo dormiente (raffigura l’angolano Osvaldo Sérgio, primo attore nero a interpretare il ruolo dell'Otello di Shakespeare in un teatro del Portogallo).

La mostra apre stasera e chiude il primo marzo, poi andrà al museo municipale di Lisbona.

In Primo Piano
Meteo

L’isola si risveglia in pieno inverno: Bruncuspina a -3° e tetti imbiancati a Fonni

di Salvatore Santoni
Le nostre iniziative