La Nuova Sardegna

Con Liszt e Beethoven un grande Lortie

di Andrea Ivaldi
Con Liszt e Beethoven un grande Lortie

Straordinaria prova pianistica offerta al Verdi di Sassari dal musicista canadese per la rassegna di “Teatro e/o Musica”

16 febbraio 2020
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SASSARI. Un concerto da ricordare a lungo, quello offerto venerdì dal pianista Louis Lortie al pubblico sassarese per la stagione “I grandi interpreti della musica classica”, realizzata dalla Cooperativa “Teatro e/o Musica”. Il solista canadese si presentava a Sassari a distanza di oltre trenta anni dalla sua prima apparizione, quando molto giovane e fresco vincitore del Premio Busoni, colpì per la lucidità delle interpretazioni e la forte personalità. Molto più di una promessa, come ci ha confermato in questa occasione.

Il programma, diviso in due grandi blocchi dedicati a Liszt e Beethoven, rifletteva la propensione del pianista a sostenere opere di ampio respiro, arcate formali di lunga gittata, sia proponendo cicli lunghi e articolati, come nel caso del II anno degli “Anées de Pèlerinage” di Liszt, che accostando le due sonate op. 27 di Beethoven, composizioni “gemelle” ma dai caratteri diversi.

Il ciclo lisztiano, testimonianza di un lungo soggiorno italiano del compositore ungherese, non contiene riferimenti a luoghi geografici, ed è piuttosto un tributo all’arte italiana dei secoli precedenti, al rinascimento delle pitture di Raffaello (Lo sposalizio), o delle sculture di Michelangelo (Il pensieroso), o, andando a ritroso nel tempo, al Canzoniere di Petrarca e all’inferno dantesco.I brani di questo ciclo, sono autoconclusivi, e possono essere eseguiti isolatamente dagli altri, cosa molto frequente soprattutto nel caso dei celeberrimi Sonetti del Petrarca o della Fantasia quasi Sonata “Dante”, ed è proprio questo aspetto, l’autonomia dei singoli brani, a rendere la proposta del ciclo integrale un’impresa rara e di elevato contenuto culturale. Lortie è riuscito pienamente nel suo intento, tenendo avvinto il pubblico per quasi un’ora senza che nessuno osasse applaudire fra un brano e l’altro, accompagnandoci in questa lunga riflessione sull’Arte con mano sicura, attraverso un’interpretazione coinvolgente e ricca di possibili piani di lettura, da quello del Liszt umanista, al musicista che cercava nuove soluzioni formali attingendo ispirazione dalle altre arti, allo sperimentatore di nuovi linguaggi armonici.

Sarebbe superfluo scendere nei dettagli del pianismo di Lortie, ma non si possono tacerne la varietà timbrica, l’impressionante gamma dinamica, la tenuta formale sulle grandi campate dell’opera senza che si perdesse il più piccolo dettaglio e un magistrale uso del pedale che ha permesso di cogliere le più raffinate implicazioni del linguaggio armonico del compositore.

Il momento più alto sono forse stati i tre Sonetti del Petrarca, opere cesellate sui singoli versi del poeta italiano, da ciascuno dei quali Lortie ha fatto fiorire una tale ricchezza di contenuti tale da porre definitivamente a tacere chi mai volesse liquidare queste opere come frutto di una generica e superficiale rilettura “romantica” dell’arte del passato.

Altrettanto penetranti sono state le interpretazioni delle due sonate dell’op. 27 di Beethoven. Entrambe le sonate portano nel titolo la dicitura: “Quasi una fantasia”, testimonianza di uno dei tanti momenti in cui il compositore tedesco ha avvertito l’urgenza di superare le vecchie forme compositive, sperimentando nuove soluzioni; in questo caso, il termine “fantasia” riconduce ad una forma più libera, riconducibile in un certo modo all’arte dell’improvvisazione di cui Beethoven, fu insuperato maestro. E proprio il carattere improvvisativo, è stato una delle chiavi di lettura scelto da Lortie, che ha saputo trasmettere la sensazione che in ogni momento le idee sgorgassero spontaneamente, per libera associazione di frasi musicali, piuttosto che attraverso l’obbligo di sottostare a simmetrie precostituite. Esempio illuminante è stato l’Adagio sostenuto della seconda sonata, il celeberrimo “Chiaro di luna”, in cui l’apparente irregolarità ritmica non era quella di un “rubato” di impronta romantica, ma il desiderio di sottolineare il senso di scoperta, di sorpresa di un pianista che improvvisa al suo strumento.

Il successo, calorosissimo, è stato salutato da due bis, sempre con Beethoven: ultimo tempo della sonata op. 10 nn. 1 e Adagio dall’op. 13 “Patetica”.



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