La Nuova Sardegna

«Io, l’ultima voce che sa cantare l’ironia»

di Paolo Ardovino
«Io, l’ultima voce che sa cantare l’ironia»

Orietta Berti oggi a Masullas per i “Concerti della via lattea”: «Le canzoni di oggi sono tutte uguali, che tristezza»

23 febbraio 2020
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SASSARI. Viene naturale rivolgersi a lei con l’appellativo di “signora della musica”. E lei, riconoscibilissima dalla voce anche attraverso il telefono dopo poche sillabe, sa di esserlo. Sa di aver cantato una sostanziosa fetta di storia musicale italiana. Una fetta lunga 55 anni e larga 15 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. Orietta Berti è la prima voce dei “Concerti della via lattea”. Dal caseificio Zanda di Masullas (in provincia di Oristano) darà il via, oggi alle ore 16, alla particolare rassegna ideata da Maurizio Porcelli – sostenuta da regione Sardegna, fondazione di Sardegna e parco del Monte Arci – che unisce nel periodo invernale i riflettori della musica agli stabilimenti di latte e formaggio.

La Berti è schietta, non si perde in panegirici retorici sulle bellezze dell’isola, tipiche dell'artista di turno che fa tappa in Sardegna, e ammette: «Ci sono stata diverse volte in passato, sì, ma le giornate dei cantanti sono molto programmate, si arriva in albergo, si sale sul palco per le prove, di nuovo per lo spettacolo, poi si va via». Anche se ricorda con affetto l’ultimo concerto sardo, agosto di due anni fa: «A Porto Cervo, era la celebrazione dei cinquant’anni della bella chiesa di Stella Maris». Habitué della televisione, la sua ultima apparizione sul piccolo schermo è stata nel nuovo programma “Il cantante mascherato” dove ha dovuto mascherare il suo inconfondibile timbro. Attenta all’evoluzione della musica, quando parla delle canzoni di oggi, Orietta Berti è severa, critica. E certa: «Non esistono più le belle canzoni». Il ragionamento è semplice, spiega: «Ci son ben poche voci belle, ormai sono tutte uguali, se chiudi gli occhi non riesci a distinguerle. Ma soprattutto, mancano i grandi autori. Ormai si parla di canzoni fatte per ballare e con ritornelli al computer, in giro non ci sono più brani che nascono dalla penna di grandi autori».

E vien facile parlare di generazioni, di eredità canore. Ma l’usignolo di Cavriago è netta: «Sai cosa? Noto che nessuna cantante sa più cantare l’ironia. Quando smetterò io non rimarrà nessun altro – spiega –. Ironizzare sui sentimenti, prendi “Finché la barca va”, sulla società, non è facile. Ma non parlo di satira, era un’ironia serena, allegra». E più di ogni altra cosa, è questo che fa capire più volte la Berti, è stata accantonata la concezione del bel canto, «credono sia una cosa da vecchi. In America ora si cerca di trovare belle melodie, ma noi o non apprezziamo o arriviamo sempre dopo, preferiamo le cose più naif».

Il fatto è, cerca di spiegare Orietta Berti, che ci si incarta troppo nel dover insegnare qualcosa, scrivere paroloni che poi spesso faticano ad arrivare alle orecchie dei più. Cita l’abbondanza di rap. E il festival di Sanremo lo ha seguito? «Canzoni orribili. Tutte» ecco. Quest’anno per i 55 anni di carriera la cantante emiliana darà alle stampe un cofanetto con duetti e nuovi brani, come sua abitudine a ogni traguardo tondo. «E d'abitudine inserisco almeno un paio di canzoni tratte da Sanremo, come ha sempre fatto anche Mina. Ma stavolta non me n’è piaciuta nemmeno una». Si salva – forse – “Fai rumore”. «L’avevo sentita a dicembre, il mio manager è autore di Diodato. Ho detto che non era male, è bello come la interpreta lui, ma se quella è la migliore…». A suo modo ha portato fortuna, come fece cinque anni fa decidendo di non cantare “Grande amore” ma di lasciarla a Il Volo, il trio di tenori che poi vinse il festival. Stamattina da Bologna è atterrata a Cagliari, questo pomeriggio la Berti sarà la star di Masullas. «Mio marito dice che sono pazza a fare ancora tante serate nonostante i vari impegni televisivi, ma questa è la mia vita. Come tutti i cantanti, mi diverte, significa vivere un po’ da nomadi. Mi piace».

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