La Nuova Sardegna

«La mia signora del martedì è un tormento esistenziale»

di PIERGIORGIO PULIXI
«La mia signora del martedì è un tormento esistenziale»

Il maestro del noir mediterraneo racconta il percorso del suo ultimo libro 

01 marzo 2020
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Da nove anni, ogni martedì, tra le 15 e le 16, Bonamente Fanzago, gigolò quarantenne, incontra la “signora del martedì”, donna misteriosa. Di lei non sa niente. A ogni appuntamento lei gli lascia i soldi sul comodino e si gode la sua ora di sesso. Una relazione routinaria, senza scossoni. Tutto s’inceppa quando l’uomo s’innamora di lei, innescando una imprevedibile catena di effetti collaterali. Le belle e buone storie non hanno confini di genere.

Pare essere questo l’assunto che ha mosso Massimo Carlotto, uno dei più importanti scrittori di genere a livello europeo, nella stesura del suo nuovo romanzo: “La signora del martedì” (Edizioni E/O, 16,50€). Un noir di rottura, rispetto a quelli che l’hanno reso famoso, come la saga dell’Alligatore, che in autunno diventerà una serie televisiva per RaiDue. Qui abbiamo tre personaggi offesi dalla vita, accomunati da una disperata solitudine e da corpi abusati e traditi, che hanno deciso di trovare riparo in un albergo dove poter vivere senza paura le proprie dimensioni personali e sentimentali. La Pensione Lisbona assurge quasi a luogo dell’anima. Un crimine apparentemente banale farà implodere le vite dei tre protagonisti. Passato e segreti inconfessabili torneranno a galla. Da quel momento nulla sarà mai come prima. Questa volta il Maestro del noir mediterraneo abbandona il racconto del crimine globalizzato e utilizza la sua scrittura chirurgica, elegante e incisiva per dissezionare l’animo umano e le sue fragilità.

Da quale riflessione nasce questo noir più esistenziale rispetto ai precedenti?

«Ho iniziato a maturare l’idea di un romanzo dove l’aspetto principale fosse la dimensione intima delle persone, qualche anno fa. Però, sapevo che questo era possibile solo destrutturando il romanzo poliziesco su due livelli: il primo, il livello della gabbia narrativa improntato sullo schema: crimine, indagine e soluzione. Il secondo, sulla centralità dei personaggi: carnefice, vittima e investigatore. Destrutturando questo, era possibile introdurre in un noir – perché comunque questo è un romanzo nero, dove attraverso la lente del crimine si può analizzare la società – personaggi meno stereotipati, parlare del caso e degli effetti collaterali sulle persone, non solo sui personaggi principali, ma anche su quelli minori. Per arrivare a questo risultato ho dovuto riflettere a lungo e soprattutto trovare la storia giusta».

Rispetto ai lavori precedenti, qui non sappiamo esattamente in quale città si svolgono gli eventi.

«Nel noir prima le città erano un elemento forte di caratterizzazione tanto che lo abbiamo trasformato in un vero e proprio personaggio. Poi anche i luoghi sono cambiati. La relazione tra luogo e società si è molto sfaldata. Rimane la distinzione linguistica, ma questo Nord, per esempio si assomiglia sempre di più. Non ci sono grandi differenziazioni. In questo romanzo poi mi serviva caratterizzare un altro luogo, che è la Pensione Lisbona, l’albergo dove si incrociano i destini dei vari personaggi e dove i tre protagonisti si sentono davvero liberi, quindi un luogo di pratica della libertà. In futuro lavorerò più sull’analisi della provincia che – a differenza delle grande metropoli – è più difficile universalizzare, perché presenta profonde differenze l’una rispetto all’altra».

I tre protagonisti del romanzo possono fare affidamento soltanto l’uno sull’altro, quasi che siano banditi dalla società, come se per vivere felici sia necessario vivere nascosti.

«Nel mondo dei cosiddetti “ultimi”, e questa società ne produce un numero impressionante, la solidarietà tra persone che vivono inevitabilmente “nascoste” è una sorta di rivolta, di resistenza. Se riesci a condividere, a trovare una solidarietà con le persone con cui ti circondi, riesci a sopravvivere. Diversamente, la società ti divora. Questo è un romanzo sulle solitudini. Le solitudini se non sfociano in una condivisione, in un’amicizia o sentimento, diventano intollerabili. Qui, tutti i personaggi riescono a superare le proprie contraddizioni solo quando riescono a condividere le proprie verità e specificità. Anche quelle più segrete».

“La signora del martedì” apre a nuove evoluzioni nel suo percorso futuro?

«Sì, io credo che sia arrivato il momento di esplorare nuovi territori narrativi. La dimensione interiore rimarrà anche nei prossimi lavori, perché fa parte del “nuovo” che va affrontato. Vorrei continuare a raccontare la normalità, che normalità non è mai».

Nel romanzo la Giustizia pare ballare al ritmo dettato dai social e dai media. Gli inquirenti rimangono quasi indietro rispetto ai processi celebrati in televisione e sul web.

«Sì, è una giustizia sempre più in crisi. Il vero problema è che la cronaca nera è un microcosmo, non è nulla in confronto alla complessità della società e ai veri problemi che andrebbero affrontati. Il punto è che noi ci ingozziamo di questi delitti come se ne avessimo davvero bisogno. È una sorta di analgesico, che però rappresenta una follia della modernità. Il romanzo ti dà un altro tipo di lettura su questi casi. Quelle delle trasmissioni di “giustizia-spettacolo” sono invece letture del tutto sfasate in cui sono stati di fatto denucleati il senso e i principi del diritto e i dettami costituzionali. Sembra che viviamo nella giungla».

Anche i ruoli spesso sono ingannevoli o in qualche modo adulterati.

«È vero. Schiavi di questa logica dell’intrattenimento televisivo, siamo abituati in un delitto a concentrarci solo sul carnefice e sulla vittima, ma in realtà c’è una costellazione di persone intorno che reagiscono travolte dal dolore e dalla rabbia. In questa storia ho cercato di dare voce anche ai personaggi comprimari che vivono sulla propria pelle la devastazione che segue a un omicidio, così come accade nella realtà. Sono vite ai margini del delitto, ma anche loro hanno una dignità e una storia da raccontare».

Possiamo avere qualche anticipazione sulla serie televisiva sull’Alligatore?

«Dovrebbe andare in onda nel novembre 2020, in quattro serate su RaiDue. In tutto saranno otto puntate da cinquanta minuti che si baseranno su tre romanzi della serie letteraria. Sarà un prodotto molto diverso rispetto alle fiction tradizionali, e anche i personaggi riveleranno parecchie sorprese.

Proprio in questi giorni a Padova si stanno svolgendo le prime riprese ed è stato un grande piacere per me visitare i set e guardare all’opera i “miei” personaggi».

Il tour di promozione la sta portando in tutto il Paese: la vedremo anche in Sardegna?

«Certo. Il 16 aprile sarò alla Libreria Ubik di Macomer e il 17 e 18 aprile al Festival letterario del Monreale, a San Gavino».

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