La Nuova Sardegna

La Nuova@Scuola al tempo del coronavirus - Numero speciale

La Nuova@Scuola al tempo del coronavirus - Numero speciale

Ecco come i ragazzi stanno vivendo le emozioni e la quotidianità durante l'epidemia

16 marzo 2020
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Impariamo dai loro articoli la grande lezione dei nostri ragazzi
Questo numero del giornale dei ragazzi che partecipano al progetto di alternanza scuola lavoro “La Nuova@Scuola” era stato pensato, a febbraio, per celebrare la giornata nazionale organizzata il 14 marzo a Sassari dal movimento Friday for Future. Una occasione imperdibile per parlare di ambiente, di salvaguardia del pianeta. Temi cari ai nostri ragazzi. Poi è arrivato lo tsunami del coronavirus: le scuole chiuse, i primi contagi. Nella chat della redazione di studenti all’inizio avevamo anche scherzato sulla inaspettata “vacanza” che invece è diventata una prigione, un nascondiglio da un nemico invisibile e sconosciuto. Alcuni dei ragazzi e delle ragazze del progetto hanno già conosciuto la paura e situazioni negative. Ma, come racconta bene Enrica nell’articolo qui a fianco, nessuno aveva mai perso le proprie solide certezze. I punti di riferimento vacillano, nelle case dove gli adolescenti semplicemente aspettano che passi. E passerà, ne siamo certi tutti e ci stiamo comportando in modo che succeda prestissimo. Ecco perché, anche se non c’è stata alcuna manifestazione, questo numero della “Nuova@Scuola” deve uscire. Leggetelo con attenzione e ottimismo, ragazzi e adulti, siatene fieri cari professori e partner del progetto “La Nuova@Scuola”. Questo giornale cambiato sulla spimta degli eventi parla della paura delcoronavirus, certo, ma parla anche delle passioni, dell’amore, del festival di Sanremo. Parla della vita dei giovani che riprenderà a scorrere normalmente. Grazie ragazzi, di questo bellissimo abbraccio virtuale che scalda i cuori. A prestissimo.
Daniela Scano

Abbiamo paura ma ce la faremo
La reazione alla chiusura delle scuole è stata uguale per tutti, eravamo felici. Ma nei giorni seguenti, con l’aumentare dei casi di contagio, abbiamo capito che non l’avremmo dovuta ritenere una vacanza. Quel virus su cui tanto scherzavamo non era così lontano da noi come ci sembrava. Da quel momento in poi abbiamo iniziato ad avere paura. Paura per noi stessi, per i nostri cari. Abbiamo paura perché da sempre rivendichiamo la fortuna di non essere nati in un periodo storico caratterizzato da guerre o epidemie ed ora non possiamo più farlo. Abbiamo paura perché ognuno di noi è circondato da persone a cui tiene e non vorremmo mai doverci trovare di fronte ad una situazione in cui a causa della scarsità dei posti disponibili nelle terapie intensive un nostro caro non riceva le cure necessarie. Abbiamo paura perché vogliamo avere la possibilità di raccontarlo tra vent’anni ai nostri figli ma non siamo certi di poterlo fare. Abbiamo paura perché ci siamo resi conto che l’unico modo per contrastare questo problema è usare la testa, dare ognuno il proprio contributo anche se in piccolo e cercare di rispettare le regole che ci sono state date. Ciascuno di noi ha dentro di sé un conflitto interiore. Una lotta tra la nostra paura, il nostro senso del dovere come cittadini ma soprattutto come persone ed il nostro essere semplicemente ragazzi e come tali non ci piace rispettare le regole, per noi la chiusura delle scuole è sempre equivalsa a più tempo in giro e più momenti da trascorrere all'insegna del divertimento con i nostri amici ed accettare che stavolta non è così è difficile. Come è difficile non abbracciare, non baciare, non stare vicini a ridere nei bar, non ballare, non fare feste. È difficile, ma ci stiamo provando: ci laviamo le mani più spesso, limitiamo le uscite e i raggruppamenti. Siamo giovani, siamo fisici e questa situazione ha stravolto le nostre abitudini. Per noi è cambiato tutto. Non vediamo più i baristi che ogni mattina prima di entrare a scuola ci servivano quel caffè che avremmo tanto voluto non bere ed essere ancora a letto. Quello stesso caffè che ora ci manca, perché poterlo prendere significherebbe non avere più una preoccupazione così grande per la testa. Non trascorriamo più le sere nei locali a scherzare, non andiamo in palestra, non andiamo a ballare il sabato notte e non invitiamo gli amici a casa per vedere un film. Non facciamo più tante cose. Non la pensiamo tutti allo stesso modo sull’origine di questo virus, ma tutti aspettiamo che sparisca perché rivogliamo le nostre vite. Sono certa che comportandoci in modo corretto possiamo aiutare a migliorare la situazione.
Enrica Zanotti, 16 anni (Liceo Europeo Canopoleno)

Grazie immenso dai giovani a chi è in prima linea per combattere il Covid19

Quello che stiamo vivendo è un clima surreale, il paesaggio delle città italiane è quasi apocalittico: bar e negozi chiusi, strade deserte e supermercati sempre affollati. A Sassari, dove non c’è mai molto movimento, sono stati i cinghiali a riempire le vie del centro. Il virus dilaga e la popolazione ha paura. Quando l’epidemia è scoppiata in Cina, più o meno a gennaio, c’era chi pensava che fosse opera del governo cinese, chi del governo americano, e chi invece semplicemente trovava in essa una scusa per sfogare il suo odio razziale contro chiunque avesse un paio di occhi a mandorla. Nel giro di un mese il virus è arrivato in Italia che adesso è tutta zona rossa. In questi giorni siamo tutti chiamati a fare sacrifici. Per noi studenti non è facile “fare scuola a casa”, ci mancano i nostri amici e la nostra routine. In televisione sentiamo spesso dire frasi come: «Speriamo che i giovani capiscano l’emergenza e non se ne vadano in giro». Ma non siamo superficiali come ci dipingono, abbiamo capito quanto è grave la situazione e facciamo continuamente sacrifici per noi considerevoli, come rinunciare alla nostra vita sociale e allo sport, che sono hanno sempre fatto parte della nostra quotidianità. Stiamo insieme tutti i giorni virtualmente e cerchiamo di divertirci seppur rinchiusi nelle rigide regole che quest’emergenza sanitaria ci impone. Ci rendiamo conto però che i nostri sacrifici non sono niente paragonati a chi è in prima linea: migliaia di medici, infermieri e operatori sanitari, sono stati chiamati a contribuire in questa terribile situazione, sono costretti in ospedale fino a data da destinarsi per arginare il contagio e cercare di curare i malati, dormono seduti o per terra dopo giornate estenuanti nelle quali sono rinchiusi dentro una tuta speciale che li protegge dal contagio. Dobbiamo aiutare a tutti i costi ed in tutti i modi queste persone coraggiose, perché è solo grazie a loro e al loro duro lavoro se riusciremo a uscire da questa situazione, diciamogli infinitamente GRAZIE.
Marta Uzzau e Francesco Costini (Liceo classico Azuni)

Fridays for Future è solo rimandato Sassari bella e vivibile lo accoglierà
Alla fine non è stata fatta, tutto rinviato a quando sarà cessata l’emergenza coronavirus, ma questo non significa che non si debba parlare del perché la nostra città fosse stata scelta tra tante. Sassari è stata la più votata tra le città che si erano candidate per ospitare l’assemblea nazionale degli ambientalisti nel weekend appena trascorso. Un evento importante che certamente avrebbe avuto per il nostro territorio e per la Sardegna una forte risonanza mediatica per la presenza di numerosi esperti e di migliaia di persone. Sassari, la quarta al mondo col clima migliore, preceduta unicamente da Vina del Mar in Cile, Las Palmas nelle Canarie e dal nordovest del Marocco non poteva che essere la città giusta per parlare di cambiamenti climatici, riscaldamento globale, smog, effetto serra e problematiche inerenti alla sofferenza della superficie terrestre. Quando sarà possibile organizzare l’evento, la nostra città si accingerà a diventare la capitale del clima e ad ospitare i giovani attivisti del Fridays for future che, insieme a nomi noti del panorama ecologista nazionale e mondiale e diversi scienziati di fama, proveranno a trovare soluzioni per guarire il grande malato del nostro tempo e lanciare il global strike di venerdì 24 aprile. La manifestazione che si terrà anche grazie al rettore Massimo Carpinelli, avrà come partner l’Università di Sassari e tra gli ospiti, molto probabilmente, anche Greta Thunberg, la giovane ecologista più famosa al mondo da cui è partita questa faraonica battaglia contro chi non si preoccupa del cambiamento repentino del clima. Ma perché è stata Sassari la città più votata? Diverse risultano le motivazioni, innanzitutto il grande successo dello sciopero di venerdì 15 marzo dello scorso anno quando, oltre 3500 manifestanti hanno preso parte al corteo che ha invaso Piazza d’Italia di giovani e non, e che ha dato vita a slogan, canti e flash mob, contagiando poi anche tante altre piazze d’Italia e dando l’avvio al successo degli scioperi successivi. Tra queste motivazioni troviamo anche il grande dibattito avviato da chi promuove l’investimento delle energie rinnovabili sulla metanizzazione con il progetto della dorsale e gli effetti che avrà sull'isola dal punto di vista ambientale e sulle imprese che dovranno cambiare sistemi e macchinari. Certo, le città candidate erano tante e con nomi altisonanti come Roma e Mantova. Sassari non ha mai avuto questa grande fama: non è importante come Roma dal punto di vista storico, però anch’essa ha le sue tradizioni e ha diverse bellezze; non sarà visitata come Mantova, ma ha i suoi turisti e siti interessanti; per questo si è messa in gioco e ce l’ha fatta: avrà, quando sarà possibile, l’onore di organizzare questo importante evento. Sassari accoglierà felicemente i sostenitori di un clima più vivibile e si preparerà al meglio per la manifestazione anche perché, grazie a quest’ultima sarà messa a lucido, valorizzata, abbellita e pronta, con la dote che più distingue i Sardi, l’ospitalità, a prendersi cura dei migliaia tra ambientalisti, ragazzi e ragazze, esperti, che arriveranno da tutta la penisola e da tutto il mondo nella città che ha fatto scuola in fatto di ambiente e che ha uno dei climi migliori del nostro povero pianeta.
Federica Pinna , Martina Licheri, Federico Razzu, Marialuisa Carassino (Polo tecnico Devilla-Dessì, Sassari)

Chi deve decidere ha fatto tante promesse vane. Tre opzioni per la generazione della piazza
Quella che avrebbe dovuto svolgersi oggi a Sassari, se non fosse intervenuto l’allarme per il coronavirus, sarebbe dovuta essere una mastodontica manifestazione di piazza per chiedere ai governi l’attuazione di politiche volte alla salvaguardia dell’ambiente. E sarebbe stata una bella manifestazione di democrazia, con migliaia di persone armate di cartelli, striscioni e fischietti. Ma poi, all’atto pratico, cosa sarebbe rimasto? Cari coetanei, fino ad ora a cosa vi ha portato assentarvi da scuola e passare i venerdì in piazza a dire la vostra in merito? Parole. L’unica cosa che avete ricevuto sono parole, promesse per lo più strampalate e che non verranno realizzate. Se davvero quanti si sono eletti come vostri sostenitori desiderassero appoggiarvi avrebbero tutto il potere politico per farlo, ed invece non hanno ancora neppure scritto le leggi che vi avevano promesso. Questo è perché voi siete la piazza rivoluzionaria che vorrebbe stravolgere il mondo, mentre loro sono i governanti riformisti che, per quanto possano volere un cambiamento, nel farlo devono tener conto di tutte quelle cose del mondo che amministrano che hanno bisogno di tempo per evolvere ed adeguarsi al cambiamento. La piazza che manifesta potrebbe avere successo solo se continuasse ad esistere talmente a lungo da influenzare i governanti a lungo termine. Questo però è estremamente improbabile: l’uomo è volubile, cambia idee e modo di agire nel tempo, e se è giovane tende ancora di più a cambiare. La massa degli studenti delle medie e delle superiori prenderà la cosa a noia e smetterà di scendere in piazza, e vi ritroverete a manifestare in tre. Di fronte a questa prospettiva d’ingloriosa inconsistenza è mia (modestissima) opinione che non vi restino che due vie da seguire: la manifestazione di piazza potrebbe trasformarsi in rivoluzione (al termine della quale si troverebbero a comandare gli estremisti del movimento, quanti vorrebbero rovesciare il mondo in un giorno, e che, fidatevi, ci sono sempre), che se dovesse terminare con il vostro trionfo farebbe il male che hanno sempre fatto le rivoluzioni violente, che vi delegittimerebbe. Se invece dovesse concludersi con una vostra sconfitta (cosa molto probabile, visto che siete quasi tutti minorenni e disarmati) causerebbe una demonizzazione vostra e delle vostre idee. O altrimenti potreste prendere un’altra via: smetterla di andare in piazza e tornare a scuola, studiare, esplorare voi stessi, trovare il modo di realizzarvi, di avere successo ed ottenere potere. E quando il potere sarà nelle vostre mani potrete realizzare i vostri propositi, portare a termine le vostre battaglie, cambiare il mondo.
Federico Pintus, 16 anni (Liceo Scientifico Marconi)

Dalla automobile scortata a piedi fino alla batteria al nero di seppia
Negli ultimi anni si è parlato molto del cambiamento climatico e dei rischi corsi dal pianeta, che si trova in una situazione vicina al non ritorno. Anche se ci sono tanti che se ne preoccupano, esistono ancora troppe persone che non prendono seriamente questa grave emergenza. La comunità scientifica sta invece reagendo e ha creato nuove tecnologie e nuove invenzioni a impatto ambientale ridotto rispetto a quelle attuali. Una cosa bellissima se pensiamo a quanto sia stata lunga e perigliosa la trasformazione della trazione da animale a meccanica, con i forti pregiudizi già diffusi nell '800. Le auto in Inghilterra dovevano essere precedute da una persona con una bandiera rossa per legge, red flag act. Si cominciò negli Stati Unti a inizio '900 la propulsione elettrica delle auto, con circa 147 costruttori in tutto il mondo. Come mai questo successo? Così come si può rapportare ad oggi, la mobilità privata era limitata alle grandi città e non alle lunghe distanze (ferrovie), vantaggioso era il rapporto fra peso del mezzo e potenza. Un’auto pesava al massimo 750 kg e oggi per trasportare una persona di 80 kg bisogna muovere un mezzo da non meno di 1500 kg. Con la facilità successiva al reperimento dei derivati del petrolio, la storia arriva a quella che oggi conosciamo. Ed è una storia fantastica di un mondo che corre. Recentemente i fisici della Wake Forest University del North Carolina, hanno progettato vestiti che sfruttano la differenza di calore che si crea tra l'indumento ed il corpo umano, trasformandola in energia capace di ricaricare circa il 15% della batteria di un telefono o completamente un mp3. Un altro esempio è la batteria al nero di seppia, ideata dallo scienziato statunitente Christopher Bettinger alla Carnegie Mellon University. La batteria usufruisce dei pigmenti del nero di seppia e si potrà applicare ai dispositivi medici, come quelli per la stimolazione cardiovascolare oltretutto è completamente biologica e facilmente smaltibile. Però per ora rimane un prototipo e non possiede le prestazioni delle batterie agli ioni di litio. Infine l’incredibile innovazione di Elif Belgin, un ragazzo di Istanbul, che permette con un processo chimico di trasformare le bucce di banane in plastica compostabile, riducendo così quelle a base di petrolio che sono i maggiori inquinanti.
Clara Caiazza, 16 anni (Liceo Scientifico Marconi)

A volte nel nostro piatto con la carne e le verdure c’è anche l’inquinamento
Nell’agricoltura intensiva non è raro l’uso di sostanze che permettono l’aumento della produzione o l’evitare la diminuzione di quest’ultima. Questi prodotti hanno degli effetti negativi sul nostro organismo e per l’ambiente. Dunque le cose che mangiamo sono davvero sane? L’inquinamento è l’alterazione dell’equilibrio naturale dell’ambiente che può provocare patologie, danni permanenti e disagi per la vita disturbando i cicli naturali. Può essere di tipo chimico-fisico e biologico. L’inquinamento chimico è dovuto alle attività umane utilizzanti sostanze chimiche che possono influenzare il suolo, sottosuolo, aria e acqua. Un esempio è l’utilizzo di fitofarmaci, sostanze che permettono all’imprenditore di difendere le colture dagli agenti patogeni per avere una perdita di produzione inferiore e di avere prodotti di qualità maggiore. Ma in realtà non giovano alla nostra salute perché contenenti delle sostanze che corrompono il corretto funzionamento del nostro organismo e sono inquinanti per l’ambiente poiché ammazzano la biodiversità. I fitofarmaci alterano la composizione chimica dell’ambiente. L’inquinamento fisico è caratterizzato da molti agenti che se superano determinati livelli di soglia possono essere dannosi per la salute. Riguarda i fattori collegati all’illuminazione artificiale e isolamento acustico degli ambienti confinanti. Oppure l’aria satura di ioni positivi ed elettrosmog. Questo ha molta importanza sempre crescente anche per determinare correlazioni tra l’insorgenza di disturbi fisici e l’esposizione a questo agente. Spesso si pensa che questo inquinamento sia basso nel reparto agricolo, ma con lavorazioni del suolo e trasporto non è così. L’agricoltura ha un impatto sul riscaldamento globale del 38%. L’inquinamento biologico si verifica quando si hanno specie aliene in un ambiente, che influenzano il ciclo naturale dell’ecosistema e corrompono la biodiversità. Per specie aliene si intendono quelle specie che non fanno parte di un determinato ecosistema. La biodiversità viene compromessa perché viene aggiunta una specie che potrebbe spezzare la catena alimentare di un ambiente. Un altro tipo è un’agricoltura intensiva che prevede la coltivazione di una sola specie, va ad eliminare tutte le altre specie. Favorisce l’intaccamento della pianta da parte di agenti patogeni che si abituano ad attaccare quest’ultima e costringono l’agricoltore a usare prodotti chimici per debellare il patogeno. Questo è l’impatto ambientale delle aziende agricole. Tutto questo viene attuato specialmente in agricoltura intensiva per poter permettere agli imprenditori di incassare maggiormente senza tener conto però dei danni ambientali. L’inquinamento delle agricolture intensive non danneggia solo l’ambiente. Un aspetto che passa spesso inosservato è che danneggia anche noi, sia via aerea ma soprattutto quando andiamo a mangiare questi prodotti, che, anche se sembra che siano buoni e rigogliosi, sono trattati. Possono compromettere vari apparati e sistemi del nostro organismo. Tra questi ci sono sistema immunitario e apparato digerente perché le sostanze chimiche usate dagli imprenditori indeboliscono le difese e rendono difficoltosa la digestione del prodotto finale. Nonostante in Sardegna e in Italia questo tipo di aziende è limitato i prodotti provenienti dall’estero possono essere coltivati in aziende intensive. Bisogna quindi stare molto attenti alla provenienza dei prodotti e promuovere quelli nostrani.
Adele Demelas, Dalia Musino, Nicola Doro, Francesco Sechi (Istituto tecnico Agrario Pellegrini)

Il dovere (il piacere) e l’arte del riciclo che salva il mondo e ci rende tutti migliori
Oggi, la società in cui viviamo è basata solo ed esclusivamente sul consumismo, acquistiamo molti beni non necessari effettivamente solo per soddisfare i nostri piaceri. Proviamo a pensare, però, a quanti materiali e, di conseguenza, quante materie prime vengono utilizzati per fabbricare un qualsiasi bene. La risposta è tanti; così come tanti sono i prodotti di scarto che si buttano via prima di ottenere il prodotto finale. Ma le materie prime purtroppo, come ben sappiamo, non sono infinite e le stiamo esaurendo con una velocità che non si è mai vista prima. Allo stesso tempo le esigenze di ciascuno di noi aumentano di continuo, alimentate dal continuo desiderio di avere sempre di più. L’unico modo per ridurre l’impatto ambientale è, quindi, riciclare il più possibile, in modo da non andare continuamente a intaccare il suolo naturale, preferendo riciclare ciò di cui non abbiamo più bisogno, ciò che non serve. Infatti in poche parole questo è il riciclo, lo si può immaginare proprio come un ciclo circolare in cui tutto ritorna a una posizione iniziale per poi ritrasformarsi, un po' come il ciclo dell’acqua. Pensiamo, ad esempio, di avere una vecchia bacinella di plastica che non utilizziamo più e decidiamo di gettarla via nel cestino della plastica, successivamente questa viene lavorata attraverso vari processi per poi diventare una qualsiasi altra cosa, dal flacone di detersivo a un pezzo di auto. Ma purtroppo spesso questo ciclo che sembra che si possa protrarre all’infinito ha dei difetti, infatti i materiali hanno un numero limitato di cicli in cui può essere ritrasformato, poiché andando oltre il suo materiale perderebbe le sue qualità; ma, soprattutto, non tutti gli oggetti che gettiamo via sono riciclabili. Nonostante non possa continuare all’infinito, il riciclo costituisce un fattore fondamentale per preservare, almeno in parte, il pianeta in cui viviamo. In aiuto del riciclo oggi vi è la raccolta differenziata, che altro non è che un modo per facilitare lo smistamento di tutti quei prodotti riciclabili. Oggi si parla molto di raccolta differenziata e ancora molti si chiedano se serva davvero o no. La risposta si può trovare facilmente nei numeri, infatti, in Italia negli ultimi anni si stima che si sia riusciti a riciclare il 55% del totale dei rifiuti, non male se pensiamo a quante risorse naturali abbiamo salvato, ma si potrebbe fare di più. Ad esempio un ottimo primo passo sarebbe iniziare a fare la raccolta differenziata a casa se ancora non la si fa; un secondo passo invece potrebbe essere quello di comprare prodotti che possano essere riciclati o, addirittura, fatti da materiali già riciclati. In conclusione, se non vogliamo distruggere il nostro pianeta e far aumentare il riscaldamento globale di cui tanto si parla e se vogliamo che i nostri figli possano vivere in un Mondo non distrutto, è necessario che ognuno faccia scelte ecosostenibili, aiutando sé e il prossimo.
Antonio Serra, 16 anni (Liceo Scientifico Marconi)

San Valentino, amore quanto mi costi? Basta il pensiero: si dice ma non è vero
San Valentino è una di quelle ricorrenze che di anno in anno coinvolgono ogni persona. La festa degli innamorati è importante per tutti, non solo per le persone fidanzate e sposate, ma anche per quelle che silenziosamente amano a distanza. Essa può essere considerata anche la festa della famiglia e dell’amicizia. Essere innamorati della propria famiglia non è sbagliato, anzi è un punto di forza, e voler bene agli amici dimostra la loro importanza per noi. Come molte feste che celebrano l’amore, anche questa è diventata una festa incentrata sul business. I regali che si vorrebbero fare alle persone amate spesso e volentieri hanno costi eccessivi. Ma ne vale davvero la pena? In fondo non si dice che è il pensiero quello conta? Certo è che il pensiero di un regalo costoso è alcune volte più allettante di un vecchio e buon regalo che viene dal cuore, tipo un biglietto fatto a mano o una cena a lume di candela organizzata in un posto intimo come casa. Negli ultimi anni gli articoli più gettonati sono stati: rose, anelli, collane, peluche, cioccolatini di ogni genere e forma. I punti vendita che li mettono a disposizione lo fanno secondo costi alti, non proprio accessibili a tutti. Se pensiamo però, che la situazione su internet e nei siti che praticano la vendita online sia diversa da come è in città, le cose non sono molto diverse: tra i costi di spedizione e il costo stesso dell’articolo scelto, ci si imbatte in prezzi non così bassi. Va bene che talvolta la spedizione è gratuita, ma anche in quel caso il prezzo del dono è già sopraelevato. Alla fine della fiera, comunque, quello che importa è che tutti apprezzino il regalo fatto loro dal proprio partner, e che l’amore vinca su tutto, anche sulla rigida economia che ci guida nei nostri acquisti, non solo quotidiani.
Miriana Sanna, 16 anni (Liceo Scientifico Spano)

La danza è vita e passione, non può diventare condanna
Parigi, 24 dicembre 2019, davanti all’Opera di Parigi va in scena il momento culminante dello sciopero più lungo e con più pesanti perdite di denaro di quella che nacque come Académie royale de Musique. La vigilia di Natale i componenti del corpo di ballo dell’Opera si sono esibiti davanti al teatro sulle note de Il Lago dei Cigni composto da Cajkovskij. Dietro di loro apparivano cartelloni che recitavano “L’Opera di Parigi è in sciopero” e “La cultura è in pericolo”. I danzatori hanno scioperato per tre settimane, annullando 63 spettacoli, con una perdita di 12 milioni di euro a causa della riforma delle pensioni del governo Macron. Una astensione dal lavoro e da una passione, che è una scelta di vita, che ha colpito moltissimo noi che studiamo e ci formiamo al liceo coreutico. La riforma prevede l’innalzamento dell’età di pensionamento dai 42 anni, stabiliti da Luigi XIV sin dal 1698, ai 62 per i ballerini, in quanto considerati dei “privilegiati”. Perché gli interpreti dell’Opera smettono di esercitare la professione vent’anni prima rispetto ad ogni altro lavoratore francese? «Ci alleniamo 5 ore ogni giorno sin da bambini, ed è già complicato arrivare ai 42 anni limitando gli infortuni del mestiere, figuriamoci come sarebbe arrivare ai 62 – sostiene Alexandre Carniato, portavoce dei contrari alla riforma Macron –. Inoltre sarebbe come disfarsi di 350 anni di storia della danza classica. Stiamo lottando per i nostri diritti». Questa situazione ha sconcertato tutti i ballerini del mondo in quanto si identificano nelle loro fonti d’ispirazione. I debuttanti si sentono frenati dall’inseguire il loro sogno, intimoriti dalla lunga carriera colma di sacrifici e fatica che dovrebbero intraprendere per minimo 40 anni, prima di arrivare al riposo dal lavoro. Piccoli e grandi interpreti della danza hanno pubblicizzato la manifestazione parigina su ogni piattaforma digitale per dare il loro sostegno ai manifestanti. Inoltre in migliaia si sono riversati sulla Place de l’Opéra per assistere alle movenze leggiadre delle ballerine nonostante il freddo di dicembre. È inevitabile negare che è più appagante assistere ad uno spettacolo dove il corpo di ballo è tanto esperto quanto giovane piuttosto che ad uno in cui la bravura viene offuscata dalla fatica degli anni. E’ giusto privare le prossime generazioni di un’ arte storica come la danza? In futuro, la nostra società si baserà sul valore del lavoro, della bellezza artistica e della cultura oppure su un concetto materiale come i fondi pensione? Daniela Monni e Giulia Pintus (Liceo Coreutico D.A. Azuni)

Perché Sanremo è Sanremo le vecchie “glorie” non cedono il passo ai giovani
Una trasmissione televisiva arrivata alla settantesima edizione mantenendo il suo stile ormai vecchio, che non insegue il tempo, e con un’impostazione di altre ere. Così definirei Sanremo, il festival della canzone italiana, che a febbraio ha avuto la solita audience pazzesca e addirittura più alta di quella dell’anno scorso dovuta, come ogni anno, ai numerosi pettegolezzi e fatti definiti scioccanti che sono stati oggetto di gossip. Sanremo nasce nel 1951 con lo scopo, a mio parere, di celebrare le bellezze dell’Italia. Uno “show” nei primi anni con un pubblico spento che ammira le punte, a oggi smussate, della canzone italiana, che invece adesso ha fatto un passo avanti che considererei notevole per l’ambiente: l’utilizzo della luce a led degli smartphone come accendino durante le esibizioni. Personalmente mi ha sorpreso vedere gli spettatori fare un gesto così informale in un teatro così importante e sontuoso per l’Italia come l’Ariston. Secondo me, una delle cose più esilaranti che succedono al festival è l’annuncio e l’arrivo di “celebrità” italiane che da anni non facevano apparizione in tv. Magari alcune di queste non avevano neanche voglia di apparire dopo tanto tempo in pubblico, ma ci sono altre star italiane di una volta che vogliono imperterrite occupare tempo della trasmissione per far rivivere ai loro fans i loro anni d’oro. E ci sono addirittura alcune di queste che ancora partecipano come concorrenti al festival (magari pretendendo anche di vincere) e che non ci stanno a godersi la loro più che meritata pensione. Io chiederei a questi ultimi: ma perché non lasciate spazio ai giovani (che ho notato più numerosi in questa edizione), per far scriver loro una nuova pagina della musica?
Andrea Ruzzeddu, 16 anni (Liceo Classico Europeo Canopoleno)

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