La Nuova Sardegna

GIORNALISMO

Addio Gianni Mura maestro di parole dello sport e del mondo

di FRANCESCO PINNA
Addio Gianni Mura maestro di parole dello sport e del mondo

Un fuoriclasse: il racconto dei campioni e l’impegno civile Le origini sarde, l’immensa stima per Riva “hombre vertical”

22 marzo 2020
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Ti sia lieve la terra Gianni. Ti sia lieve la terra amico, maestro, pezzo di cuore che se ne va.

Era un nuraghe Gianni Mura. E non solo per le sue origini sarde. Usava le parole come i nostri antenati utilizzavano le pietre per costruire qualcosa di originale, speciale, duraturo. È morto il più grande giornalista sportivo italiano, una intelligenza raffinata, uno scrittore colto, uno spirito indipendente. Un gigante.

Mancherà a tutti questo fuoriclasse del giornalismo, a quelli che le parole le usano per mestiere e ai tanti lettori ai quali ha raccontato personaggi, storie, eventi non solo sportivi suscitando emozioni, regalando profondità, cultura, riflessioni. Mancherà a chiunque sia entrato in contatto con il suo mondo di parole, col suo universo di passione civile.

È stato un cazzotto allo stomaco sapere che non ci sarà più, che non potremo più leggere le sue cronache dal Tour, quei viaggi dove le imprese sportive diventavano sguardi sul mondo. Non poter più bere d'un fiato i ritratti di campioni o di oscuri protagonisti del mondo dello sport trasformati in racconti di vita. Niente più “Sette giorni di cattivi pensieri”, la rubrica che teneva da decenni su Repubblica dove storie minime, notizie da trafiletto si trasformavano in lezioni di vita, messaggi di giustizia e diritto. Sette giorni di cattivi pensieri era la sintesi della sua cultura: una trincea di impegno civile, un avamposto in difesa del rispetto delle regole, una barriera contro slealtà e violenza.

Tutto in uno stile strepitoso, diretto, essenziale, ma sempre leggero.

La sua scomparsa è un dolore profondo. E quando il giornale mi ha chiesto di scriverne sono stato travolto da ricordi e nostalgia. Ma il privilegio e la fortuna di una frequentazione trentennale sono un patrimonio da condividere in momenti come questo.

«L'attacco è fondamentale – mi raccontò un giorno – perché se funziona, il lettore trova lo stimolo per andare avanti nell'articolo». E allora ho pensato alle parole che lui ha utilizzato il giorno della morte di Gianni Brera (Ti sia lieve la terra, Gianni....). Non poteva esserci di meglio. Era considerato il più autorevole dei giornalisti senzaBrera, ma da oggi sarà dura per le generazioni dei senzaMura.

La Sardegna ce l'aveva nel dna Gianni Mura. Era nato a Milano il 9 ottobre del 1945 da padre sardo e madre lombarda. «Rigoroso e testardo? – diceva – provaci tu a essere diverso se i tuoi genitori sono un carabiniere di Ghilarza e una maestra della bassa Padana. Scuola e sicurezza, il meglio delle istituzioni. Un destino segnato».

Era diventato giornalista quasi per caso. Al liceo scriveva ottimi temi e una compagna di scuola, figlia di un dipendente della Gazzetta dello Sport, lo segnala al giornale. E così a 19 anni si ritrova a raccontare di sport, di uomini e strade. «Un colpo di fortuna, un collega che si ammala alla vigilia del Giro d'Italia – ricorda – mi regala un'incredibile opportunità». Sulle strade della corsa rosa emerge un talento luminoso, la sua scrittura è pulita, appassionata, piena di riferimenti colti. Il ragazzo ha personalità precisa, curiosità e ambizioni. Incontra Gianni Brera, che ne riconosce il talento e ne diventa uno degli allievi prediletti. Gli anni alla Gazzetta, poi brevi esperienze al Corriere dell'Informazione, all'Occhio di Costanzo, quindi l'arrivo a Repubblica, amore di una vita dove diventa un monumento dell'informazione. Nessuno ha raccontato lo sport come lui. Da Rocco a Bearzot, da Riva a Pantani nessuno è riuscito meglio di lui a entrare nell'anima dei personaggi che raccontava.

Il ciclismo prima di tutti, l'amore degli esordi. Quello che non si scorda mai. Le pedalate di Gimondi, il Davide che lotta col Golia Merckx. Qualche settimana fa il suo ricordo del campione bergamasco su Repubblica è stato di una bellezza struggente. Le parole sul Pirata Pantani e sulla sua tragica parabola sono tra le più intense mai scritte. E il ciclismo ha ispirato anche i suoi libri “Giallo su giallo” un noir ambientato al Tour de France con protagonista il commissario Magritte che ritorna nel più recente romanzo “Ischia”, e la “Fiamma Rossa” storie di protagonisti di questo sport antico e affascinante.

Non raccontava solo i campioni Mura, gli piacevano i gregari, quelli che faticavano senza i riflettori. «Non sai che regalo mi hai fatto a farmi incontrare Giovanni Garau, bidello di santa Giusta, uno dei pochi sardi che parteciparono al Giro».

La Sardegna di Gianni Mura era anche nella smisurata stima nei confronti di Gigi Riva Rombodituono: «Un hombre vertical che manca troppo al calcio italiano», la simpatia sincera verso Gianfranco Zola al quale una sera, in un ristorante sassarese, raccontò dettagli sulla qualità dell'olio di Oliena. La Sardegna di Mura era anche quella del Salto di Quirra e dei misteri sui poligoni militari che raccontò da direttore di E – il mensile di Emergency che diresse per un paio d'anni – «perchè non puoi nascondere la testa sotto la sabbia e devi stare il più possibile dalla parte degli umili». O la collaborazione con la Uisp, perché la difesa dello sport puro, dei valori importanti erano parte della sua missione. Leggeva di tutto, cose impensabili. E se lo chiamavi per parlare del mondiale di calcio o della Parigi-Roubaix dopo un po’ ti chiedeva: «Ma è davvero così forte quel terzino del Calangianus? E che mi dici di quel ragazzino portiere protagonista di un gesto di fair play?»

Nella Sardegna di Gianni Mura ci sono anche i ricordi dell'infanzia, il vino imbevibile che gli offriva il nonno. «Meno male che gente come Billia Cherchi, il vignaiolo di Usini, che vi ha cambiato il modo di bere. A proposito, lo sai che l'anagramma di Cannonau di Sardegna è Grandine causa danno? Mentre per Mandrolisai Giorgio suggerisce Lindo amarsi o Darsi una mano lì, ma c'è anche Mandria, soli».

Ci mancheranno i suoi giochi di parole. E ci mancherà anche la sua passione per la buona cucina che portava avanti con la stessa competenza e sincerità con cui raccontava lo sport. «Hai ragione, il sambene in fiacca mi ricorda l'Albero degli zoccoli di Ermanno Olmi... La zuppa di finocchi e quelle frittate di erbette selvatiche meritano». Una passione coltivata con la moglie Paola, tradotta in una rubrica sul Venerdì e in un libro, “Non c'è gusto”, deliziosa guida tra locali e cantine.

Mi piace pensare che non gli sarebbe poi così tanto dispiaciuto andar via il 21 marzo, il primo giorno di primavera. «C'era anche una canzone dei Dik Dik» avrebbe detto. Aveva una sorprendente conoscenza enciclopedica della musica. Adorava i francesi degli anni Sessanta, aveva una passione sconfinata per Sergio Endrigo, ma non si faceva mancare nulla, ha scritto testi per Vinicio Capossela e rimproverava i sardi che non conoscevano Piero Marras. Nelle trasferte per le partite e le tappe era imbattibile nelle sfide mnemonica «Avanti, vediamo chi conosce più canzoni che cominciano per la P poi facciamo la gara sui calciatori con la S, ma Sollier lo dico io».

Sarà dura per i senzaMura. Altro che sette giorni di cattivi pensieri. Ci toccano settantasette anni senza una delle penne più brillanti che si siano mai viste.

Ti sarà sicuramente lieve la terra, caro Gianni. Maestro, amico, punto di riferimento, pezzo di cuore che se ne va.

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