La Nuova Sardegna

Pelecanos: «La realtà è spietata, ma un libro può cambiarti la vita»

di PIERGIORGIO PULIXI
Pelecanos: «La realtà è spietata, ma un libro può cambiarti la vita»

Lo scrittore americano parla del suo ultimo romanzo: un giovane sbandato e il potere salvifico della lettura

29 marzo 2020
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È un romanzo che esplora il potere salvifico della lettura “L’uomo che amava i libri” (Sem, 18 euro), che segna il ritorno negli scaffali delle librerie italiane dell’americano George Pelecanos, autore best seller di origini greche e acclamato maestro della letteratura noir statunitense. Vincitore dei più importanti premi letterari come il Grand Prix Du Romain Noir in Francia o il Raymond Chandler Award qui in Italia, Pelecanos è ritenuto da colleghi come Stephen King e Michael Connelly un vero fuoriclasse. Dopo aver svolto i mestieri più umili e disparati, e averne tratto linfa narrativa per le sue storie, nel corso degli anni Pelecanos ha saputo raccontare con taglio verista il mondo sommerso dei sobborghi americani, dove spesso il crimine è l’unica via di sopravvivenza.

La sua empatia verso gli ultimi, lo sguardo lucido nel leggere le dinamiche criminali e un orecchio sensibilissimo per i dialoghi e per lo slang di strada l’hanno portato a diventare uno degli sceneggiatori di punta di serie televisive che hanno fatto la storia del network americano HBO, come “The Wire”, “The Pacific” e “The Deuce”, di cui è stato anche co-produttore. Per merito della verosimiglianza che instilla nei suoi romanzi è stato definito dalla critica americana “lo Zola di Washington DC”, città in cui ambienta tutte le sue opere. Anche il nuovo romanzo non fa eccezione. “L’uomo che amava i libri” racconta l’incontro tra un giovane detenuto, Michael Hudson, e Anna, la bibliotecaria della prigione che riesce a trasmettergli la passione per la lettura. Michael è un giovane sbandato, senza alcuna prospettiva davanti a sé. Ma attraverso i libri riesce a mitigare l’asprezza della detenzione. Grazie all’intervento di un investigatore privato torna in libertà prima del tempo, e rincontrerà Anna da uomo libero. I libri continueranno a essere il fil rouge che li lega, e spingeranno il ragazzo a vedere la sua vita da un punto prospettico diverso. Si troverà un lavoro e proverà a rigare dritto. Ma il passato, inevitabilmente continuerà a perseguitarlo. Phil Ornazian, il detective che è riuscito a rimetterlo in circolazione, per farsi ripagare il debito di riconoscenza gli chiederà un ultimo lavoro, che non ha nulla di legale. E ancora una volta il ragazzo si troverà costretto a valicare la linea d’ombra dentro di sé. “L’uomo che amava i libri” è un romanzo che parla del potere dei libri e del modo in cui possono in qualche modo redimere e arricchire la vita delle persone.

Quali sono stati i libri che hanno avuto questo potere su di lei e che in qualche modo hanno cambiato la sua vita?

«Ho partecipato a un seminario straordinario sulla letteratura poliziesca all’Università del Maryland quand’ero studente, quarant’anni fa. Abbiamo letto romanzi di Raymond Chandler, Hammett, Mickey Spillane, Ross MacDonald, Elmore Leonard e James Crumley. Leonard e Crumley hanno avuto una grande influenza su di me, così come “Una tragedia tutta azzurra” di MacDonald. Questi autori mi hanno avvicinato alla letteratura della Grande Depressione e delle classi più umili di scrittori come John Steinbeck, Horace McCoy, John Fante e tanti altri. Credo che sia stato questo ad aver dato impulso alla mia voglia di scrivere».

Il crimine è il motore narrativo nei suoi libri. Da buon autore di best-seller ha preso la formula “scrivi di ciò che conosci” alla lettera in ogni libro che ha scritto, e questo i lettori lo possono percepire in ogni pagina. Quando penso ai suoi libri li vedo come dei noir sociali. Si ritrova in questa definizione?

«Sì, la trovo parecchio accurata. Ambiento le mie storie soprattutto nei sobborghi popolari di Washington DC, e questo inevitabilmente porta a galla una molteplicità di problemi sociali che cerco di affrontare. Ciononostante, evito di utilizzare il noir per sindacare o per fare la predica a qualcuno. Sono perfettamente consapevole che ho un’unica missione, come scrittore, ed è quella di raccontare una gran bella storia al meglio delle mie possibilità».

Nel suo ultimo romanzo, la lettura cambia la vita di Michael, il protagonista appena uscito dal carcere. I libri gli danno modo di ampliare i suoi orizzonti. Da dove arriva l’idea per questa storia?

«Da tanti anni tengo dei corsi di lettura nelle carceri e in istituti penitenziari minorili. Ho tastato con mano il potere che i libri possono avere nel trasformare la vita delle persone. E in qualche modo la lettura e la scrittura hanno impresso una sterzata netta anche alla mia vita. Ero piuttosto disorientato e demotivato prima di capire che diventare uno scrittore era ciò che davvero desideravo fare».

Cosa l’attrae dell’oscurità insita nell’essere umano?

«Non credo di esserne affascinato. Tendo più che altro alla ricerca della verità. Voglio dire, proviamo a immaginare una casa elegante dove la classica bella famiglia da pubblicità sta cenando insieme ad amici. È tutto molto bello. Ci sono risate, calore e buone vibrazioni. Buon vino, cibo strepitoso. In questi momenti sembra quasi che il mondo sia un luogo idilliaco, no? Però, qualche via più sotto, ci sono persone affamate, che non hanno una fissa dimora. E forse nella casa di fronte un bambino viene abusato, o chissà, una donna viene picchiata o molestata dal marito. Queste cose accadono tutte nello stesso momento. Se ci focalizzassimo soltanto sulla famigliola perfetta daremmo un’immagine frammentaria del mondo reale».

Ha scritto ventun romanzi in poco più di ventisei anni. Col passare del tempo la scrittura diventa più semplice o più difficile? E come nutre la sua immaginazione?

«In realtà ho addirittura rallentato la stesura dei miei romanzi perché lavorare alle serie tv, come sceneggiatore, mi ha distolto un po’ dalla narrativa. C’è stato un periodo in cui macinavo un romanzo dietro l’altro, a una velocità incredibile. Bastava che mi sedessi al pc e aprissi il rubinetto creativo. So di essere un romanziere. È questa la mia natura ed è ciò che vorrei fare. Mi sono imposto di lavorare per la tv ancora per sette, otto anni e poi dedicarmi completamente alla narrativa. Ma sai com’è: l’uomo fa e Dio disfa. Quindi staremo a vedere».

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