La Nuova Sardegna

Storie di lavoro e di riscatto nell’ultimo volume di Ortu

di FRANCO LAI
Storie di lavoro e di riscatto nell’ultimo volume di Ortu

Il sunto di un lungo impegno di ricerca sulle famiglie e sulla società della Sardegna medioevale con il rigore dello storico e la chiarezza dello scrittore

30 marzo 2020
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Lo storico Gian Giacomo Ortu ha pubblicato “Famiglia e società nella Sardegna medioevale e moderna” (Arkadia Editore, 193 pagine, 18 euro).





di FRANCO LAI

Gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso sono stati molto importanti per gli studi storici e sociali sulla famiglia in Sardegna. In questo volume Gian Giacomo Ortu, professore ordinario di Storia moderna dell’Università di Cagliari, ha raccolto alcuni saggi pubblicati in quel periodo per due importanti riviste di storia, «Quaderni storici» e «Studi storici». Questi saggi non hanno perso interesse rispetto agli anni in cui furono pubblicati per la prima volta. Così, oggi risulta ancora più evidente quanto fosse innovativa la sua strategia di ricerca. Una delle caratteristiche trasversali della produzione scientifica di Ortu è l’estrema chiarezza dello stile di scrittura e il suo radicamento nella documentazione. Un'altra caratteristica del lavoro di Ortu riguarda la periodizzazione storica.

La ricostruzione dei processi sociali è di ampio respiro e possiamo vedere come le dinamiche tra fasi di continuità e fasi di mutamento si dispiegano nei secoli. La stessa storia delle famiglie, dei villaggi e del loro inserimento nello spazio non sarebbe pienamente comprensibile senza un approccio di questo genere.

Nel corso del volume diventa evidente anche come gli strumenti concettuali dello storico incrocino quelli delle scienze sociali. È una scelta per certi aspetti richiesta dai problemi di interpretazione che la documentazione propone. Ma è anche dovuta all’inserimento dei saggi di Ortu all’interno dell’ambiente intellettuale della rivista «Quaderni storici» da cui provengono quattro saggi su cinque presenti nel volume. Nella rivista «Quaderni storici» si concentravano gli studiosi della «Microstoria» a partire, grosso modo, dagli anni Settanta. La finalità di questi lavori era «rimettere al centro dell’indagine gli uomini in carne e ossa».

Ne sono conseguiti volumi e saggi ancora oggi illuminanti e di accattivante lettura. Quello che vediamo nei saggi di Ortu è la storia del territorio così come nel tempo è stato costruito dal lavoro di contadini e pastori; una storia spesso «labile», fatta di colonizzazioni, appropriazioni, abbandoni e successivi riaccorpamenti da parte delle popolazioni insediate. L’insieme dei diritti di cui il villaggio gode nel suo territorio costituisce il «fundamentu», secondo una nozione presente nei documenti dei secoli XI-XII, ovvero il complesso di spazi di pertinenza di un villaggio come le abitazioni, le coltivazioni, le aie, i prati comuni, ecc. I villaggi sembrano «imbozzolarsi», inserirsi con forza e con continuità storica «nel corpo della natura».

Non c’è nulla di atavico: il villaggio è «un corpo sociale che agisce secondo la logica della propria sopravvivenza e crescita». Un fatto che è alla base anche della formazione dei patrimoni familiari e fondiari, come Ortu ha mostrato nel caso del volume su Burcei del 2000.

In questo paese, col tempo, le famiglie pastorali avevano cercato di appropriarsi delle terre in cui transitavano gli allevamenti di capre nei loro percorsi stagionali, allargando in questo modo non solo il loro patrimonio terriero ma anche l’area di influenza del villaggio.

Il saggio a mio avviso emblematico in cui l’autore mette in luce la storia di una famiglia è il quarto, dedicato ai Cony di Masullas, di cui vediamo le vicende tra il Seicento e il Settecento. Questo saggio mostra come durante le generazioni i Cony cerchino lo sviluppo e il consolidamento del loro patrimonio attraverso una forte presenza nelle compravendite di terreni, con le strategie matrimoniali, ecc. Ciò che Ortu mostra è il modo in cui concretamente essi cercano le soluzioni ottimali in un mondo in cui i vincoli istituzionali, giuridici, economici e persino ambientali non sono facilmente dominabili.

Carestie, epidemie e invasioni di cavallette non sono rare, come avviene nel 1652 e nel 1657. La scarsità di risorse è spesso tale che «il vero lusso (…) è mangiare, e dar da mangiare costa moltissimo», perché è necessario fornire il sostentamento anche di un notevole numero di servi, spesso poverissimi e scapoli, che, tuttavia, sono fondamentali per mandare avanti le attività della domu, dell’abitazione e del complesso del lavoro nei campi. La ricchezza è segno di distinzione sociale, ovviamente; ma sembra che, anche quando la famiglia raggiunge una posizione sociale importante attraverso alleanze, matrimoni e acquisizioni patrimoniali, basti poco ad annullare gli sforzi di anni. Così, la storia della famiglia è attraversata dalla «paura della morte» e «dal senso di precarietà».

Solo un’indagine condotta in profondità può arrivare a scoprire delle sfumature nelle relazioni sociali quando sono, forse solo apparentemente, gerarchiche, rigide e poco propizie agli affetti. È interessante vedere, a questo riguardo, come Don Nicola Cony per testamento lasci nel 1748 beni immobili e mobili di rilievo alla sua «serva» Pepa Soru, ricompensandola, in qualche modo, per averlo assistito e per il contributo dato alla gestione della casa e degli affari aziendali.

È un mondo difficile quello con il quale devono confrontarsi i Cony di Masullas, una delle più ricche famiglie nella Sardegna meridionale dell’epoca. Un’epoca nella quale potevano affrontare altre scelte che forse si sarebbero dimostrate ottimali per cogliere le nuove opportunità offerte dal quadro istituzionale ed economico nella seconda metà del Settecento.

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