La Nuova Sardegna

Virù vede una luce di speranza

Virù vede una luce di speranza

Tra i più temuti e rispettati virus della dinastia vi erano poi Pindacciu e Varurosu. L’oracolo Pindacciu era in grado di fare profezie, il più delle volte infauste, tanto che tutti si tenevano alla...

05 aprile 2020
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Tra i più temuti e rispettati virus della dinastia vi erano poi Pindacciu e Varurosu. L’oracolo Pindacciu era in grado di fare profezie, il più delle volte infauste, tanto che tutti si tenevano alla larga da lui. Varurosu era un coraggioso e pluridecorato generale che aveva guidato e combattuto innumerevoli battaglie, riportando grandiose vittorie. E l’elenco dei discendenti del lignaggio dei Minnaffuttu potrebbe continuare pressoché all’infinito, ma non vorremmo pungolare troppo il vostro delicato stomaco…



CAPITOLO 6.

La pandemia

Fu proprio Varurosu a guidare l’armata dei virus ribelli. “Avanti miei prodi soldati, seguitemi! Vi prometto che alla fine di questa guerra ognuno di voi avrà come ricompensa un corpo UMANO tutto suo da invadere e colonizzare. Saremo NOI gli incontrastati padroni di questo insulso pianeta!”. Tutti i virus, elettrizzati dalle parole del comandante, brandirono i loro virioni pieni di velenose capsule proteiche, tenendosi pronti ad inserire il pericoloso genoma nell’ignaro corpo che li avrebbe ospitati.

Dopo il prode generale Varurosu, il primo a balzar fuori dalla bocca del medico di Chisco Mariposa fu Buccallotto che, non avendo ben capito l’ordine, si andò a spiaccicare sul pavimento della stanza dell’ospedale e solo per puro miracolo riuscì a scampare all’enorme scarpone di un giovane ortopedico… si aggrappò con tutte le sue forze allo zoccolo di un’avvenente infermiera che stava passando proprio in quel momento. Fu così che si ritrovò nel laboratorio di analisi dell’ospedale di Vai Innora Mara e, non sapendo cosa fare, decise di zompettare sulle avvizzite labbra di un’ anziana caporeparto.

Penetrato nella bocca dell’ignara donna, arrivò a un bivio che recava due direzioni: in alto NASO e in basso BRONCHI. Sbagliò strada - com’era prevedibile - e si ritrovò impigliato tra le migliaia di peli ispidi e riccioluti delle narici dell’infermiera. Lì rimase per un po’. “Etciù, etciù, etciù…” fece la caporeparto che, tra uno starnuto e l’altro, inspirò profondamente. Buccallotto venne così risucchiato fin dentro i bronchi della malcapitata. Da lì, attraverso un gigantesco scivolo, si ritrovò finalmente nei polmoni. Ebbe dunque inizio la colonizzazione!

Lo sciocco virus divenne il capostipite della dinastia dei Buccallotti, tutti mammalucchi come lui… e forse anche di più. Nel frattempo, nella camera di Chisco Mariposa, gli altri Minnaffuttu avevano abbandonato il corpo del medico e si erano appropriati di diversi ignari UMANI. La famiglia dei Cimaggosi (papà Cimagga, mamma Cimaggosa, i figli Mannuevanu e Barrosu, lo zio Maccarone e il piccolo Buriaddu) aveva quasi raggiunto gli ingressi principali del corpo di un altro paziente che riposava nel letto accanto a quello dello sventurato professore.

“Ajò, arrogu tottu! Siamo quasi arrivati, coraggio muovetevi!!” Mentre papà Cimagga, rivolgendosi ai suoi putridi parenti, pronunciava quelle astruse parole d’incitamento, l’ammalato, con la mano, li scaraventò contro i suoi occhi visibilmente irritati. Fu così che gli immondi Cimaggosi penetrarono indisturbati, discendendo dai bulbi oculari giù giù per la gola e fino ai bronchi. Fu un gioco da ragazzi per loro occupare il già provato e sofferente corpo dell’anziano paziente.

Pindacciu, Brincu e i fratelli Tzicchirriu e Abozzi, dal canto loro, si erano diretti verso la signora Assunta Mantis, una nota antropologa che, vent’anni addietro, aveva rinvenuto il primo esemplare fossile di mantide religiosa risalente all’era cenozoica. Donna devota e molto credente, aveva conosciuto il professor Mariposa durante una convention nella quale stava presentando il suo incredibile ritrovamento. Figuratevi l’entusiasmo dell’allora giovanissimo entomologo Chisco alla vista di quel preistorico insetto. Fu subito amore…

Nell’indirizzarsi verso l’antropologa, Brincu si esibì in un magnifico arabesque urlando: “À la Barre! À la seconde! Allons nous all’attaque!” fece quindi un doppio carpiato con avvitamento, due demiplié, tre degagé ed uno straordinario assemblé (tecnicamente un difficilissimo passo saltato). Quindi, mettendosi nuovamente in quinta posizione, salì sulle mezze punte e con la leggiadria del migliore dei virus interplanetari, fece un cambré verso i suoi sostenitori, in attesa del meritato applauso. Fu una vera e propria standing ovation!! Coloratissimi coriandoli e mazzi di fiori profumati vennero lanciati dagli estasiati virus su quell’improvvisato palcoscenico. Brincu, impettito e visibilmente fiero della sua performance, ringraziò il pubblico adorante prima di congedarsi dentro la bocca dell’ignara signora Mantis che, in quel momento, aveva appena spalancato le fauci in un sonnolento sbadiglio.

“Mercì a tous le monde! Je suis vraiment honoré… All’arrembage mon amis! Les temps sont matures!”Fu così che anche la povera antropologa si ritrovò contagiata. La pandemia era ormai inevitabile…



CAPITOLO 7.

Bellabè

“Stanno colonizzando tutti gli UMANI! Si ammaleranno a migliaia, la catastrofe ha avuto inizio!!” urlò concitato il virus Cascetta, rivolgendosi a Virù. “I primi terrestri infetti sono già usciti dall’ospedale e temo che l’intera popolazione sia in serio pericolo…” aggiunse angosciato il noto spione. “Presto Cascetta, richiama tutti i tuoi cloni e predisponi una rete di controspionaggio! Voglio avere informazioni dettagliate su ogni spostamento dei Minnaffuttu. Urgono estreme contromisure per contenere la nostra invasione o sarà la fine del genere UMANO”.

Nell’impartire questi ordini, Virù chinò la testa, trasse un profondo sospiro e iniziò a singhiozzare. Quanto male aveva arrecato senza volerlo e quante altre sventure avrebbe generato! Mentre era avviluppato in questi pensieri apocalittici, sentì un leggero tocco di mano che accarezzava uno dei quattro peli del sul capo. Si voltò verso il compassionevole essere, che in quel momento lo stava consolando, e fu allora che la vide per la prima volta.

Aveva sembianze diverse dalle sue: una strana forma ad Y, era tutta bianca, eterea, quasi disincarnata. Lo sguardo tenero con cui lo osservava tradiva tuttavia un’aria determinata e sicura: “Sono Bellabé, un’immunoglobulina, figlia del linfocita B, il noto colonnello Tacconzueu. Mio padre mi ha raccontato della vostra presenza e mi ha mandato da te per consegnarti un suo messaggio”.

La giovane immunoglobulina gli lesse così un biglietto recante un ultimatum: “Le condizioni del professore sono precipitate. Stop. Urge immediata risposta immunitaria. stop. Se non lascerete questo corpo, l’attacco dei linfociti sarà inevitabile e spietato. Stop. La soluzione finale e’ prevista alle ore 9.00 anti meridiane. Stop.”

“La situazione è più grave di quanto immaginiate. Un gruppo di miei cloni ribelli è scappato e ha già conquistato numerosi altri corpi UMANI. Ormai la pandemia non può più essere evitata. Non so che fare...”. Bellabé, rivolgendosi a Virù, asserì tristemente: “Oia itt’arrori…eja, ragione c’hai! Oh, ma “a lo sai” che non sembri un “virusu” come gli altri. Nessun linfocita, nemmeno il più anziano di noi ne ha mai visto uno come te. Ecco perché hai potuto eludere la nostra stretta sorveglianza con tanta facilità.

Adesso che ti guardo meglio, “a lo sai” che assomigli vagamente ad un’altra stirpe di germi con i quali ogni anno combattiamo, ma che puntualmente confiniamo nelle retrovie. La tua diversità mi fa però temere che l’attacco lanciato da mio padre si rivelerà vano. Temo per la sua vita e per quella della mia gente…”.

Virù trasecolò e rabbrividì. Tutto sembrava perduto: avrebbe ucciso il povero professore! Proprio lui che voleva solo conoscere e vivere in pace con gli UMANI. Sarebbe diventato, suo malgrado, un pluriomicida o, peggio ancora, uno sterminatore di genti. Sarebbe, inoltre, di nuovo rimasto solo!

Bellabè colse l’intensa costernazione del minuscolo ma pericoloso germe e, mossa a compassione, gli raccontò che sua madre le aveva rivelato in che modo avesse salvato la sua stirpe da morte certa durante la famosa battaglia di Affarraddoggiu. In quello scontro persero la vita numerosi e valorosi linfociti; ma, quando ormai la battaglia sembrava persa, sua mamma (il primo comandante Nisoggu Unbé), ebbe un’illuminante idea e trovò la soluzione…

La svampita Bellabè però, proprio non sapeva quale fosse perché, durante l’avvincente racconto di sua madre, era stata colpita da una fortissima emozione ed era svenuta.

Ora vi rivelerò un segreto… la nostra celestiale e cerulea immunoglobulina soffriva di narcolessia. Bastava poco: un cataclisma, una guerra, un’eruzione vulcanica o un attacco di ridarella per farla cadere in un sonno profondo. Fortunatamente era sufficiente cantarle una melodiosa canzoncina che recita più o meno così:

T'hai magnaddu lu pani d'Ihpagna, / Mala solti chi t'accumpagna, / T'hai magnaddu la cunfittura, / Malasolti chi t'accudia, / T'hai magnaddu li maccarroni, / lala lala lalala,/ Oi oi oi oi oi oi aaaaaaaaaaa / Oi oi oi oi oi oi aaaaaaaaaaa

La mitica vittoria della battaglia di Affarraddoggiu fu celebrata con un memorabile party allestito dallo chef Ziminata e perdurò per intere settimane.

Virù ascoltò rapito quella narrazione e una luce di speranza gli illuminò lo sguardo.

Forse c’era ancora una possibilità…



CAPITOLO 8.

Il caos

In poco tempo la Terra venne invasa da innumerevoli colonie di nuovi virus. I Minnaffuttu avevano raggiunto, con sorprendente facilità, quasi tutti i Paesi del mondo, generando altre potenti e temibili famiglie di spietati agenti patogeni. La specie Umana era stata gettata nel caos più assoluto, ma era immediatamente corsa ai ripari per bloccare l’avanzata dei virus ribelli.

La TV trasmetteva ad ogni ora lo stesso slogan cantilenato dalla buffa voce di una presentatrice con uno strano accento straniero:

Le mani pulite salvano le vite / Gli abbracci e i bacetti per un po' non li accetti / A casa devi stare se i Minnaffuttu vuoi evitare / Accorciamo le distanze connettendo i pc nelle stanze / Non preoccuparti se è chiusa la scuola, dai retta a me il tempo vola

Nel frattempo, negli ospedali, come bianche formiche indaffarate, medici, infermieri e barellieri si affaccendavano per curare i malcapitati pazienti. Si agitavano tra i reparti come dei forsennati, indossando bizzarre mascherine e candidi camici che sbarravano tutti i possibili accessi all’incursione dei biechi virus. Brandivano cannule, aghi ed enormi siringoni (i loro minacciosi arsenali bellici) per debellare i virulenti agenti infettivi. “Presto, presto! Più in fretta, più in fretta! Non c’è tempo!” continuavano ad urlare i dottori. “Ritirata gente, ritirata…l’attacco nemico ha distrutto le nostre difese. Dobbiamo abbandonare questo corpo o ci ridurranno in poltiglia” così replicavano i comandanti degli avamposti di numerosi eserciti di virus.

Gli UMANI stavano infatti mettendo a frutto ogni loro competenza e tutto il sapere di cui disponevano: avevano edificato nuovi ospedali da campo, richiamato anziani medici oramai in pensione, realizzato strabilianti e potenti macchine per aiutare le persone a respirare; tutti gli scienziati, i luminari e le menti più brillanti del Mondo si erano riuniti con l’intento di creare un antidoto efficace per fermare quel terribile contagio.

I dottori lavoravano senza sosta ventiquattro ore al giorno. Combattevano strenuamente per salvare i loro simili, anche a costo della propria vita.... La temerarietà di quegli eroi silenziosi fungeva da magico talismano che rendeva più evanescenti le difficoltà e meno ardui gli ostacoli.

Che popolo straordinario era quello! Approfittando dell’inaspettata quanto gradita chiusura delle scuole, bambini e ragazzi fecero una gran festa. Potevano finalmente rimanere a casa a smanettare sui loro smartphone, a giocare con i loro videogames preferiti e a ingozzarsi di merendine…

Certo, dopo qualche giorno iniziarono ad annoiarsi un po' perché stare soli in casa, in fondo, non era così bello, anche se necessario, come ripeteva ininterrottamente l’ormai noto slogan televisivo.

(continua)

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