La Nuova Sardegna

«Così io e Sergio scoprimmo le leggende della nostra isola»

Alessandro Marongiu
«Così io e Sergio scoprimmo le leggende della nostra isola»

Rossana Copez, studiosa di cultura sarda, è autrice di diversi libri di favole. Il primo lo scrisse col marito: il grande romanziere Sergio Atzeni

20 aprile 2020
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In principio per Rossana Copez furono le fiabe universali, quelle che non conoscono confini, e in seguito, più avanti nel tempo, vennero quelle sarde. L'abbiamo raggiunta nella sua Cagliari, lei che sull'argomento ha tanto scritto e studiato e può ben essere definita un'esperta, in occasione dell'uscita della collana "Fiabe di Sardegna", il cui secondo volume, in edicola con La Nuova da giovedì 23, sarà dedicato alle "Storie di re e regine, principi e principesse". «Per quanto riguarda me, devo dire che il primo incontro in assoluto con l'idea di fiaba fu con il film "Cenerentola" di Walt Disney, che vidi, piccolina, proiettato al cinema della Basilica di Bonaria. In generale però, fin da bambini noi tutti conoscevamo le fiabe mitteleuropee, "Cappuccetto rosso" specialmente, e poi "Biancaneve" e "La bella addormentata". Le apprendevamo dai libri di scuola, perché le madri dell'epoca avevano troppe cose a cui badare per raccontare delle storie ai figli, e gli anziani, nei paesi, non indirizzavano i loro contus attorno al fuoco ai bambini, ma agli adulti. I bambini al massimo, dato che quelle erano vicende che facevano paura, li ascoltavano di nascosto».

Facciamo un salto e arriviamo al 1978: un amico presta delle dispense alla Copez e al marito, il romanziere Sergio Atzeni, e quelle dispense si trasformano in una rivelazione. «Io e Sergio abbiamo scoperto le fiabe sarde grazie al lavoro di Gino Bottiglioni, che in quegli anni circolava solo all'interno dell'ambiente universitario, e che a noi fu prestato da Mario Atzori, docente a Sassari. Ci aprì un mondo. Come tutti ormai sanno, a Bottiglioni, che era un linguista, interessava raccogliere le parlate e trascriverle in grafia fonetica: ai sardi che gli raccontavano le fiabe o le leggende locali chiedeva più l'essenza che non la narrazione o le storie in quanto tali. Con Sergio ci dicemmo: "Dobbiamo restituire questi racconti ai destinatari per eccellenza, i bambini", e così prima facemmo una selezione, e poi adattammo il linguaggio per renderlo gradevole. Fu il primo libro in assoluto di questo genere, cioè pensato per una divulgazione extra-accademica.» Impossibile, per una tradizione che viene dall'oralità come quella isolana, prescindere dalla musicalità. E infatti: «Sergio amava strimpellare la chitarra - non suonare, strimpellare è la parola giusta -, per cui mentre io leggevo i testi lui toccava le corde e verificavamo il ritmo e la musicalità. È stato un gioco, un momento magico della nostra vita».

Da allora, quel "Fiabe sarde" che uscì per Zonza ha conosciuto diverse riedizioni (l'ultima nel 2018, in occasione del quarantennale), segno della bontà del lavoro della coppia e del fatto che le storie che contiene avevano e hanno tuttora forte presa sui lettori. Nell'introduzione al volume, Giacomo Mameli metteva in evidenza il carattere universale delle fiabe (di quelle sarde diceva che sono «fiabe del mondo, come tutte le altre»), fermo restando che ogni cultura ne produce di proprie, e con caratteristiche ben distinguibili. Quali sono allora per Rossana Copez gli elementi distintivi delle fiabe nostrane? «Alcuni tratti sono ricorrenti per tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, perché la circolazione delle merci comportava anche una circolazione, una globalizzazione dei racconti. Io e Sergio, per legare una serie di episodi, creammo la figura di Basuccu, il "terzo figlio sciocco", che si basava sul Giufà della tradizione siciliana e sul Giuha della tradizione araba. A essere diverso, invece, è il contesto: "Le mille e una notte" avevano un contesto di ricchezza, di lusso, di bellezza, mentre in Sardegna la ricchezza poteva essere rappresentata da un semplice cesto di frutti della natura, contenente fichi colti dall'albero o del grano. Questo perché nelle fiabe, in maniera inevitabile, emerge anche la dimensione economica e sociale del luogo che le ha originate. Una peculiarità di quelle sarde sono senz'altro i valori, ad esempio la solidarietà reciproca e la gratitudine: l'eroe riceve aiuti se lui in precedenza ha aiutato qualcuno».

Una categoria di personaggi ha in Sardegna una declinazione tutta particolare: quella dei diavoli. «Il diavolo delle fiabe sarde è burlone, dispettoso, ma non malvagio. Ce n'è solo uno cattivo, la raccolta di Bottiglioni lo situa nelle campagne di Quartu, e ciò si deve probabilmente al fatto che lì c'erano numerosi latifondi, e quindi scontri e tensioni tra proprietari terrieri. Nel resto dell'isola abbiamo Maschinganna, o il folletto dalle sette berrette: tutti diavoletti giocherelloni, provocatori, ma non cattivi. Sono diavoli le cui fiamme non bruciano, e le cui tempeste non bagnano per davvero». Sardegna significa anche, ancora una volta in maniera inevitabile, paesaggio: ecco che nel 2017 vede la luce per Carlo Delfino "Pietre da Fiaba", il secondo libro scritto dalla Copez a quattro mani con il noto giornalista Tonino Oppes (il primo, del 2008, intitolato "Tutti buoni arriva Mommotti", si abbeverava anch'esso alla fonte della tradizione fantastica regionale).

«Siamo partiti da alcuni monumenti naturali sardi, come grandi rocce antropomorfe o zoomorfe, recuperando nella maggior parte dei casi la fiaba originale che si era tramandata oralmente nel territorio, in altri dovendo inventare perché non c'era nessun materiale di partenza. È stato così per i bellissimi basalti a forma di organo di Guspini e per la roccia di Serrenti che si vede dalla 131, di cui esiste solo un nome che fa riferimento a una madre e a una figlia. Anche con Tonino abbiamo prestato attenzione al registro linguistico, ovviamente: perché risultasse fiabesco, abbiamo voluto che a parlare fossero le stesse rocce o pietre in prima persona. È stato anche un modo per far risaltare ulteriormente la bellezza di queste sculture naturali». Ripercorrendo a ritroso la carriera di Rossana Copez, vi troviamo altri titoli per i più piccoli, come "Fiabe palestinesi" di cui è coautrice con il medico Mohammed Ayyoub, ma anche opere di matrice differente, dal taglio saggistico, e un romanzo storico come "Si chiama Violante". Eppure, sostiene lei sulla scorta della sua lunga esperienza, «la letteratura e la scrittura per l'infanzia sono le più difficili da realizzare, perché devono essere efficaci e devono avere dentro qualcosa che non siano solo delle immagini, altrimenti si riducono a un esercizio di stile senza sostanza. In merito alle fiabe non parlo di morale, che è invece tipica delle favole, ma di un concetto, di un'idea che costituisca uno stimolo di riflessione per il bambino». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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