La Nuova Sardegna

La casa di Lola: Maria Lai fata domestica

di GIACOMO MAMELI
La casa di Lola: Maria Lai fata domestica

In un libro di Pietro Basoccu l’universo familiare della grande artista ogliastrina

16 giugno 2020
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Maria Lai non c’è proprio in un originalissimo libro su Maria Lai. Per la prima volta in Sardegna, con un’intuizione editoriale tanto coraggiosa quanto geniale, la grande artista sarda va assolutamente sognata, immaginata, idealizzata, rincorsa in un iperuranio iconografico da labirinto. Nel passato altri grandi della fotografia (Luigi Ghirri, Ugo Mulas, Alberto Lattuada) avevano raccontato gli spazi d’artista con «un occhio umano pieno di insidiosa curiosità», ricorda Tore Ligios nella postfazione. Quasi come certi amori platonici che, vissuti dentro e in simbiosi, nel profondo esaltano e confortano lo spirito, dando corpo e non solo anima all’eros. Pagina dopo pagina (sono 104 con 66 immagini), il libro con le fotografie di Pietro Basoccu d’Ogliastra (pediatra-geografo-antropologo-terapeuta col mal di Reflex) entra – privilegio più unico che raro – “A casa di Lola”, il nome, quest’ultimo, che la jana di Ulassai-Jerzu-Cardedu prima e oggi del mondo, si portava da bambina con l’eco di Mariola che si spandeva nelle vallate tra i monti e il mar Tirreno. Il sottotitolo recita “Sulle tracce di Maria Lai”.

Sfogliando e mirando, sembra di vedere lei, di parlare con lei, cogliere il suo sorriso, afferrare i suoi fili, toccare le sue mani, inseguire le stelle o le comete in una notte buia, vedere caprette e varani, un abito da sposa, il grande silos dei contadini, un bagno decorato, un forno del pane, una piattaia da museo, il meticcio Ombra che sembra il padrone o almeno il custode della “casa di Lola”. Per chi ha conosciuto quel genio irrequieto, nato nel 1919 e morto il 16 aprile 2013 si ha la sensazione che, dal primo all’ultimo scatto, Maria Lai sia lì, intenta a lavorare, a creare, a sognare, a parlare con la sua voce da melodia oltretombale.

La si vede camminare nel suo laboratorio-cantina dove un tempo si lavorava il cannonau, lamiere di navi affondate, pezzi recuperati in mare dai fratelli nuotatori, attrezzi dell’anteguerra e del dopoguerra, vernici, cacciaviti e serrature, le galline che dormono sull’albero del fico, l’altalena dei tanti nipoti, la fontana di Costantino Nivola con «l’acqua che dalle tegole di bronzo colava dentro la stalla, ma era un’acqua preziosa e la fontana veniva fatta funzionare solo per gli ospiti».

Il messaggio di Maria è capito meglio con le didascalie alle foto, pensate e scritte dalla nipote Maria Sofia, vera custode degli arcani artistici di una versatile pittrice-scultrice-poetessa-regista-tessitrice. Vengono in mente i giorni di “Legarsi alla montagna”, quando Maria Lai – dopo i suoi studi per l’Italia e i contatti con i più estrosi artisti del Novecento – inventa, prima al mondo, il legame uomo-natura, materializza l’arte condivisa, fa diventare protagoniste donne comuni, le case sono case solo se integrate con la terra dove sorgono, l’uomo è uomo solo se consubstanziale alle sue pietre, alle valli, ai fiumi, alle genti del mondo e del villaggio dove sei nato e vivi. L’uomo è uomo solo se è sociale. Maria Lai diceva che la vera arte è “aprire le coscienze”. E lei ha portato l’arte dove sarebbe stato impensabile. Ha fatto diventare i suoi villaggi sardi villaggi di mondo. Ha tagliato confini perché Maria Lai non è chiusa nel recinto nuragico ma spazia tra i Continenti.

Anche il libro, certo con la griffe dell’Archivio Maria Lai, oggi si avvale della partnership di Settantesette Gallery di Milano, della cantina sociale di Jerzu Antichi Poderi, dell’associazione culturale Su Palatu Fotografia di Villanova Monteleone. Testi in italiano e in inglese per superare “sas làcanas”e parlare appunto al mondo, ad Aggius e a Carbonia, al museo di Farfa e alle gallerie di New York, Tokio, Basilea, dei Musei Vaticani, dopo il successo esaltante della mostra al Maxxi di Roma.

Ci sono tante poesie-filastrocche inedite di Maria Lai evidenziate su pagine color arancio con le scritte bianche. Una Maria Lai leopardiana e Ada Negri, Yourcenar e Alda Merlini, Gianni Rodari e Bruno Tognolini. «C’è ancora chi ha puntato/ il suo occhio a un cannocchiale/ per avere in quel momento/ l’infinito da indagare». Ancora: «Ma a Cardedu non c’è scuola/ ogni giorno qui è vacanza/ corri cerca picchia e vola/ cambia gioco ad ogni stanza», ma anche «un percorso sconfinato tra lo zero e l’infinito» e nuovamente un «noi viviamo un segmento/ tra due punti all’infinito». Basoccu restituisce tutte queste emozioni, mette insieme teorie e pratica, reale e surreale, ci mette davanti ai valori fondamentali. Perché – scrive Sonia Borsato nella prefazione “Del corpo e del cuore” – qui si capisce che «Maria Lai, fanciulla per sempre, nella sintesi fonetica che la fa diventare quasi un gioco, racchiude un universo intero. Come quando, nominando Casa Azul, la mente rincorre fruscii di gonne e intrecci di capelli con fiori freschi e Frida Khalo domina i pensieri». Ed è sempre la Borsato a convincerci che, con questo libro, ci siamo avvicinati a un focolare favolistico che è «un tempio che racconta e svela molto più di quanto mai avremmo immaginato e desiderato». Luigia Lonardelli, commentando il libro, vede questa eterea Maria Lai nel suo «essere senza tempo» perché vive in una casa «al limitare di un bosco che non è solo un brano intatto di paesaggio ma anche il luogo delle fate dove nascono i racconti e dove, forse, abitano, in un nuraghe dimenticato, gli spiritelli delle janas». Sfogliare le pagine del libro è come entrare nelle mille stanze di una casa dove sembra di «sentire ancora il suo passo felpato da piccolo animale della foresta, con Cardedu che conserva la memoria di una vita». Rieccola Maria Lai. Con «i merli del mio terrazzo, non per difenderci ma per accogliere il cielo». E la “Fontana per Giuliana”, sorella delicatissima di Maria. Fontana-regalo di Costantino Nivola perché «quando le tegole di ottone ricevono il rivolo d’acqua sembra che dalle colline dell’orizzonte scenda un gregge lontano». Trinità d’arte con Nivola e Sciola. Che regala una “panchina”. Ricorda Maria Sofia: «Sciola la ascoltava anche quando zia Lola assumeva il ruolo di maestra severa».
 

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