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Albertosi e la partita del secolo: «Il 4-3 che ci cambiò la vita»

Enrico Gaviano
Albertosi e la partita del secolo: «Il 4-3 che ci cambiò la vita»

Cinquant'anni dopo il portiere racconta la mitica sfida Italia-Germania all'Azteca: quella pazza notte diventammo tutti degli eroi

17 giugno 2020
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Quella notte durò un tempo infinito. In Italia dove i tifosi si riversarono in strada sventolando le bandiere e urlando a squarciagola sino all’alba. E in Messico, dove gli azzurri non finivano di fare brindisi con lo champagne e cantare la loro gioia per la vittoria. 17 giugno 1970: Italia-Germania Ovest 4-3, la partita delle partite. A ricordarla a 50 anni di distanza è uno dei grandi protagonisti di quello scontro, Ricky Albertosi, oggi 80enne , portiere campione d’Italia con il Cagliari, uno dei 6 giocatori rossoblù convocati da Ferruccio Valcareggi per il mondiale messicano.

Il successo nel caldo pomeriggio dell’Azteca di Città del Messico dove si sfiorarono i 50 gradi percepiti, davanti a 102mila spettatori, inaugurò la serie di affermazioni indimenticabili degli azzurri sui panzer, fra cui vanno ricordate anche la finale dei mondiali 1982 e la semifinale dei mondiali 2006 in casa loro. Italia- Germania 4-3 è una pagina leggendaria del calcio mondiale. Se ne accorsero subito i messicani che decisero di mettere all’esterno dello stadio una targa ricordo. La scritta in spagnolo recita così: “L’ Azteca rende omaggio alle squadre di Italia (4) e Germania (3) protagoniste nel mondiale del 1970 della partita del secolo”.

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I tedeschi sono tosti, non si arrendono mai – ammonisce Albertosi –. Ce ne accorgemmo quel giorno. Pensavamo di aver vinto e invece ci costrinsero a giocare per oltre due ore con il loro fiato sul collo. Franz Beckenbauer rimase in campo con un braccio steccato dopo una lussazione. Erano dei fenomeni». Batterli fu un’impresa, di cui i giocatori italiani non compresero subito la portata. «L’adrenalina era a mille – ricorda il portiere –. Che avevamo fatto qualcosa di epico ce ne accorgemmo solo nei giorni successivi, leggendo i giornali italiani in cui la partita veniva raccontata con toni trionfalistici».

Gli azzurri avevano fatto sino al 90’ una gara perfetta, segnando subito con Boninsegna e giocando poi il loro calcio preferito: difesa e contropiede. «Avevo davanti dei compagni straordinari – ricorda ancora il numero 1 –. Burgnich e Facchetti terzini, Rosato stopper, Cera libero implacabile e Bertini, un mastino come mediano. Nelle prime 4 partite avevamo preso un solo gol e anche la quinta stava finendo con la mia porta immacolata».

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Invece l’imponderabile avvenne: Schnellinger, lo stopper che giocava nel Milan segnò il suo unico gol in nazionale oltre il 92’, recupero all’epoca molto inusuale ordinato dal messicano Yamasaki. «Quel disgraziato – ricorda Albertosi – arrivò in area di nascosto. Sul cross di Graboswki era solo e segnò facilmente. Ripensandoci, ci ha regalato i 30 minuti più pazzi della storia del calcio, facendoci diventare tutti degli eroi. Ma sul momento ero incazzato nero. Gli chiesi: Karl, che cavolo ci facevi qui? Lui mi rispose: gli spogliatoi sono dietro la porta, volevo arrivarci prima degli altri...».

Iniziò così un’altra partita: emozioni, errori, suspence, con milioni di italiani ad ascoltare Martellini davanti agli schermi nonostante fosse già l’1 e mezza di notte. «Subito nel primo supplementare, Poletti sbagliò un controllo e Muller fece gol. Per fortuna poco dopo Burgnich pareggiò i conti facendosi trovare in area di rigore tedesca al posto giusto al momento giusto».

Prima delle fine del tempo ecco Gigi Riva. In quel mondiale c’erano grandi aspettative sul cannoniere del Cagliari, e molti criticarono il rendimento del giocatore. Albertosi obietta e difende il suo ex compagno. «Gigi fece un grande mondiale – dice –. Nelle prime tre partite tutta la squadra era abbastanza condizionata. Il nostro obiettivo era solo quello di superare il primo turno, impresa che l’Italia non riusciva a centrare dal 1938. Per questo, spesso, capitava che anche Riva tornasse indietro a dare una mano. Poi, però, nelle successive due partite fece tre gol. E quella rete alla Germania fu un autentico capolavoro: un diagonale di sinistro come una sentenza, a beffare Maier».

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Ma nel secondo supplementare le sorprese continuarono. «Beh, intanto – dice Albertosi – la Germania riuscì ancora a pareggiare. Un angolo di Libuda, deviazione di Seleer corretta ancora di testa da Muller. Io non ci sarei mai arrivato, ma la palla era diretta sul palo, dove era piazzato Rivera. Incredibilmente, la sfera passò fra il palo e il corpo di Gianni. Credo di aver rovesciato su di lui tutte le parolacce di questo mondo, anche perché era stato lui a volersi piazzare a tutti i costi lì, nonostante io volessi un difensore di ruolo. Rivera prima abbracciò sconsolato il palo, poi mi guardò con la faccia del cane bastonato ed ebbe solo la forza di dirmi: non mi resta che andare di là e rimediare».

Cosa che avvenne davvero. «Nella rimessa in gioco – racconta Albertosi – i tedeschi non riuscirono manco a toccare il pallone: Rivera, De Sisti, Facchetti, poi il lancio a Boninsegna, lo scatto e il cross, e Rivera che segna spiazzando Maier. No, non ci credevo. Mancavano 9 minuti, ma tenemmo. Eravamo in finale. Ancora oggi mi batte forte il cuore al pensiero».


 

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