La Nuova Sardegna


Barbara De Rossi: "Il cinema, la tv e il mio amore per la Sardegna"

Alessandro Pirina
Barbara De Rossi: "Il cinema, la tv e il mio amore per la Sardegna"

L'attrice ricorda l'isola degli anni 80: "Una stagione d'oro per la Costa Smeralda. Allora c'era un turismo diverso da quello di oggi"

07 luglio 2020
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Nel suo curriculum c’è di tutto. Cinema, teatro, tanta tv come attrice e conduttrice. E poi l’impegno nella lotta contro la violenza sulle donne che porta avanti da oltre venti anni. Barbara De Rossi è una donna vulcanica, che non riesce a stare ferma un attimo, ma davanti al Covid anche lei ha preferito alzare bandiera bianca.

Com’è stato vivere questi mesi di stop forzato?

«Credo che il mio sgomento sia stato quello di tutti. Il Paese che si ferma, la disperazione della gente, l’impotenza di trovare una soluzione. È stato uno stravolgimento dell’esistenza. Io l’ho vissuta molto male. È stato un momento di grande riflessione in cui non ho avuto alcun desiderio di apparire. Mi sono chiusa con il mio compagno e mia figlia nella nostra casa in Toscana, sono sparita dai social, non sentivo il bisogno di alleggerire».

Torniamo indietro agli anni ’70: quando vinse Miss teen ager si immaginava un futuro da attrice?

«Assolutamente no. Eravamo a Rimini in un locale. C’erano anche i miei, perché ai tempi si usciva con i genitori. Tutto nacque da una scommessa. Indossai un abito da sera e un costume e vinsi la selezione. Tutto qua. Solo estrema incoscienza e grande gioco. Di certo, non immaginavo che quella sarebbe diventata la mia professione. Avevo 15 anni e mezzo, la mia era una realtà gioiosa: c’erano solo la scuola e il mare».

Presidente di giuria era Alberto Lattuada, che la volle subito nel suo film “Così come sei”, dove si ritrovò ad affiancare Marcello Mastroianni. Che esperienza fu?

«Fu molto edificante, avere 16 anni e trovarsi a interpretare la figlia di Marcello significava entrare dalla porta principale del cinema. Ebbi subito modo di apprezzare questo mestiere. Oltre l’aspetto creativo io amo molto l’aspetto umano del nostro lavoro. Non riesco a lavorare senza un bel clima».

Il grande successo arriva con la tv. “Storia d’amore e d’amicizia” prima e “La piovra” soprattutto. A distanza di tanti anni cosa rappresenta per lei la serie di Damiano Damiani?

«In televisione arrivai subito. La prima fiction la feci a 18 anni, “Turno di notte” di Paolo Poeti. Poi toccò a “Storie d’amore e d’amicizia” che fu il debutto di Claudio Amendola. E nel 1983 arrivò “La piovra”, che segnò la nascita di un nuovo linguaggio televisivo sulla connessione tra mafia e politica. Fino ad allora se n’era parlato solo nei film di Petri e Damiani. E fu proprio Damiani ad avere la forza e il coraggio di raccontare quei temi in tv. Da allora la mafia fu chiamata “piovra”. E grazie alla serie è nato un modo di combattere, di denunciare quel tipo di connessione anche in televisione, dove prima c’erano invece censure fortissime».

Diventa una delle attrici più richieste dalla Rai. Da “Quo vadis” a “Io e il duce”. Si è mai pentita di avere privilegiato la televisione al cinema?

«Io sono stata rapita dalla tv. C’erano dirigenti come Sergio Silva e Giancarlo Governi, mi proponevano solo cose belle ed era impossibile dire di no. Il cinema l’ho alternato alla tv, ma quei tempi c’era una sorta di fastidio per chi faceva televisione. Le attrici che facevano la fiction venivano mal tollerate dal cinema. Oggi è tutto cambiato».

In tv ha affiancato numerose star di Hollywood: Anthony Hopkins, Susan Sarandon, Bob Hoskins, Ian Charleson.

«La Rai mi ha dato la possibilità di lavorare a pari livello con i più grandi attori del mondo. Ero giovane, è stata una scuola incredibile. Quando finivo le mie scene restavo sul set a osservarli».

Lei è un’attrice brillante, ma i suoi ruoli erano perlopiù drammatici.

«Questione di stereotipi. Chi faceva film drammatici non poteva fare ridere. Io ho iniziato la carriera in un modo e così ho continuato. È stato Carlo Vanzina - dopo trent’anni - a fare emergere il mio lato comico».

Quattro stagioni di “Un ciclone in famiglia” al fianco di Massimo Boldi.

«Eppure io - romana - avrei dovuto fare la moglie di Maurizio Mattioli. Invece Massimo disse: “io voglio la Barbara”. E così per quattro anni mi sono trovata a fare la milanese. È stato bellissimo perché dopo tanti anni di lacrime e sofferenze è venuta fuori la mia vena brillante. Ricordo che Carlo rimase stupito che per me fosse la prima volta in una parte simile, ma la verità è che di quei ruoli non me ne avevano mai offerti, se non alcuni troppo commerciali a cui avevo detto no».

In “Un ciclone in famiglia” c’è anche un episodio girato in Sardegna.

«Sì, a Porto Rotondo. Esperienza bellissima. Io conosco la Sardegna dal 1983, erano gli anni dell’Azzurra a Porto Cervo. Ricordo le passeggiate a Liscia Ruja. Era un’isola per pochi, non c’era tutta la gente degli ultimi anni. Io vengo spesso in Sardegna, la mamma del mio compagno era di Pimentel. Conosco l’isola abbastanza bene, da nord a sud. Adoro i suoi colori, i suoi paesaggi. Se si sceglie la vacanza al mare si va in Sardegna».

Negli ultimi anni è passata alla conduzione tv: come è avvenuta la svolta?

«Io sono un’attrice prestata a una tematica che ben conosco da 23 anni. Con la mia associazione ho iniziato a occuparmi di violenza sulle donne quando non esistevano trasmissioni tv. Il mio approdo ad “Amore criminale” non è stato dunque un caso. La mia è una conduzione mischiata alla capacità di racconto. Ne ho fatto nove edizioni su Raitre. Poi sono stata chiamata da Siria Magri a Mediaset e mi hanno affidato “Il terzo indizio”».

La violenza sulle donne è una piaga difficile da debellare. Come si può sconfiggere?

«Il gap culturale su cui ci battiamo da sempre è proprio il concetto sbagliato della proprietà della donna. Ecco perché è fondamentale educare i nostri figli alla parità dei sessi, all’educazione all’altro. Un discorso che vale anche al maschile: io non sono una femminista. E laddove c’è una carenza in famiglia se ne deve occupare la scuola. Poi c’è l’altro discorso che invece riguarda le istituzioni, che devono aiutare le vittime di violenza a ricostruirsi una vita, ad avere un sostegno economico. Alle donne servono interventi, invece oggi abbiamo solo armi spuntate. Le associazioni sono bravissime fanno un grande lavoro, ma bisogna dare loro i mezzi. Creare case famiglia e permettere alle donne di andare avanti con la loro vita. Il mio sogno è un programma legato alle istituzioni che racconti quello che si fa – o si dovrebbe fare - per aiutare le vittime di violenza».

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