La Nuova Sardegna

Jasmine Trinca: "La mia storia cresciuta sull'isola"

Giandomenico Mele
Jasmine Trinca: "La mia storia cresciuta sull'isola"

L'attrice protagonista al festival di Tavolara racconta gli inizi di "Una notte in Italia" e i recenti successi

20 luglio 2020
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Il percorso di un'attrice sullo sfondo di Tavolara. Sono passati vent’anni da quando, poco più che ragazzina, Jasmine Trinca arrivò al festival del cinema di Tavolara per presentare “La stanza del figlio” di Nanni Moretti. Ora è una donna alla soglia dei 40 anni, fresca vincitrice di un David di Donatello come miglior attrice protagonista per “La Dea fortuna”, film di Ferzan Ozpetek proiettato venerdì durante il festival “Una notte in Italia”. Tavolara è consuetudine, piacevole leggerezza, ma anche una originale prima volta dopo la tempesta del Covid. «Vero, in effetti è stata la mia prima proiezione dopo la chiusura per pandemia. Devo dire che quasi non ero più abituata alla socialità, a scambiare conversazioni, ci siamo chiusi tutti un po’ in noi stessi – racconta la Trinca –. Sono tornata sul set per girare un’ultima scena del film di Genovese e ora sono qui. Di nuovo a Tavolara». Il film di Paolo Genovese si chiamerà “Supereroi” e parlerà di quanti e quali superpoteri deve avere una coppia per resistere al tempo che passa. Jasmine Trinca ha condiviso il set con Alessandro Borghi, suo amico e compagno di scene in molti film, tra i quali “Fortunata” di Castellitto, presentato due anni fa a Tavolara e per il quale i due vinsero il David come miglior attrice e miglior attore. Insieme a loro Greta Scarano, Vinicio Marchioni ed Elena Sofia Ricci. «Speriamo possa uscire a Natale, siamo tutti preoccupati per il destino dei film in sala a causa della pandemia – sottolinea la Trinca –. Comunque ora sono a Tavolara, luogo nel quale si sono incrociati tanti destini e che rappresenta molto per me». Intanto c’è stata la gradita sorpresa di un David come miglior attrice per un ruolo intenso ma che l’ha vista poco tempo in scena. Riconoscimento inconsueto, quasi irrituale, per un cinema italiano abituato a premiare ruoli catalizzatori. Ma segno di tempi buoni, soprattutto per la valorizzazione di ruoli femminili. Imperdibile il momento della premiazione, quando in diretta streaming da casa, secondo rigorosi protocolli anti-Covid, la Trinca ha accolto la proclamazione a vincitrice esponendo un cartonato raffigurante Angelina Jolie a grandezza naturale. Omaggio alla figlia, che ha festeggiato insieme a lei. «Il ruolo di Annamaria è stato importante, non sempre si ha la fortuna di interpretare un personaggio come quello che Ferzan ha scritto per me – spiega Jasmine –. Le attrici spesso fanno fatica a costruire ruoli che spostino qualcosa nella storia, che recitino una battuta nelle prime dieci scene, che non siano parenti o affini del protagonista maschile. È vero che Annamaria sta poco in scena, ma la sua essenza resta dentro il film, c’è un lascito, è presente anche quando è assente. Non c’è fisicamente, ma ne resta una traccia». Un lavoro denso di soddisfazioni, quasi inatteso nello sviluppo. Merito indubbio del regista. «Ozpetek ha un modo di lavorare che consente agli attori di svelare qualcosa di inesplorato, ha una cura speciale per gli attori e io sono molto felice di aver potuto interpretare per lui il personaggio di Annamaria – racconta l’attrice –. Un ruolo femminile non classico, scombinato, ma a suo modo dirompente. Una donna imperfetta, che inciampa nella vita». Un ruolo vicino a quello di Fortunata, il film di Castellitto che le ha regalato premi e apprezzamenti unanimi. «Personaggi scritti magnificamente, che mi hanno permesso di interpretare ruoli a me affini, senza cercare una continua metamorfosi. Rappresentano entrambe una dimensione fragile del nostro intimo. Devo essere sincera, questo ultimo David di Donatello non me l’aspettavo – racconta Jasmine –. C’erano tante attrici con ruoli belli e importanti. Voglio comunque rimarcare ancora una volta il lavoro che Ferzan ha fatto con me e i due interpreti maschili». La sfida forse è nel cercare nuovi ruoli brillanti. Certamente Jasmine Trinca sa cosa vuole da un regista e cosa evitare del suo lavoro. «Mi sento portata per ruoli comici, devo dire che nella vita sono simpatica anche se spesso vengo inquadrata in personaggi drammatici. Nella commedia provo un certo godimento. Poi sono arrivata a un’età per cui scelgo film e registi che non mi destabilizzino, non devo soffrire, non devo farmi soggiogare, ma devo provare piacere nel recitare». Così nel percorso di Jasmine Trinca attrice, in un’epoca di incertezza, la consapevolezza è quella di una maturità che guarda verso nuovi orizzonti. «A volte mi mancano i silenzi, per noi che siamo sempre al centro della scena – confessa –. Volevo fare l’archeologa, entrare a contatto col passato. Ma posso dire che dal cinema ho avuto molto, nel tempo le attrici sviluppano uno sguardo diverso per la propria professione, diventano più autrici, fanno proprio un pensiero più critico. Non so se questo sia per forza un bene». Un futuro in una serie televisiva? «Non l’ho mai fatta, però confesso che mi piacerebbe molto. Il mio amico Alessandro Borghi mi ha detto che a livello internazionale molti lo riconoscevano per il suo ruolo nella serie “Suburra”. Poi è arrivato “Diavoli”. I tempi cambiano, esistono prodotti nuovi anche di grande qualità. Bisogna saper trovare quello giusto».
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