La Nuova Sardegna


Il libro "Il Cagliari degli eroi": storia di un’avventura che ha riscattato l’isola

Enrico Gaviano
Il libro "Il Cagliari degli eroi": storia di un’avventura che ha riscattato l’isola

L’ultimo volume uscito quest'anno a celebrare lo scudetto della squadra rossoblù di mezzo secolo fa: dal tricolore ai calciatori protagonisti all'Azteca

05 settembre 2020
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“Il Cagliari degli eroi,  Il riscatto di una Nazione: dal tricolore alla Partita del Secolo” (edizioni Bookness, pagg 136, euro 14,99 disponibile su Amazon) è l'ultimo libro uscito nell'anno per celebrare lo scudetto rossoblù a mezzo secolo di distanza. il libro è stato scritto da Giovanni Giacchi e Maurizio Verdenelli. E' un "viaggio" sportivo dai giorni dell'Amsicora a quelli dell'Azteca. Ecco uno stralcio della prefazione a cura di Enrico Gaviano.

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Il Cagliari che vince lo scudetto. Sembra una favola, una storia fantastica. Quando, mezzo secolo fa, l'impossibile diventò invece storia, quell'impresa segnò anzitutto l'ingresso della Sardegna in Italia. L'isola staccata non solo geograficamente dal resto del Belpaese, era quasi un'appendice fastidiosa. Capace sì di regalare intellettuali e politici di spessore: Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Grazia Deledda, sino ad Antonio Segni presidente della Repubblica per due anni e mezzo, dal 1962 al 1964. Ma lontana, buona giusto per spedirci in punizione rappresentanti delle forze dell'ordine o dipendenti statali.

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La vittoria del Cagliari fu il coronamento di una serie di eventi che cambiarono per sempre il volto dell'isola. Nel bene e nel male. Fra questi anzitutto il lancio della Sardegna come destinazione turistica e l'arrivo di industriali come Nino Rovelli e Angelo Moratti. Sarroch, Ottana, Porto Torres divennero l'emblema dell'industrializzazione, il petrolchimico sardo sfornò migliaia di posti di lavoro per una terra in cui l'agricoltura e la pastorizia erano stati sino ad allora i motori dell'economia. Il principe degli ismailiti Karim Aga Khan arrivato quasi per caso in Sardegna iniziò a girarla, scoprendo che quella zona che i sardi chiamavano Monti di Mola, celebrata anche da una canzone di Fabrizio De Andrè, era un vero gioiello. La comprò e ribattezzò Costa Smeralda, costruì un aeroporto a Olbia e fece una compagnia aerea, l'Alisarda.

La Sardegna terra di confino e di banditi dediti al sequestro di persona, stava cambiando. In tutto questo grande sconvolgimento, ci mancava qualcosa di forte, di nuovo, di straordinario, per sbattere la Sardegna davvero in prima pagina. E quel qualcosa fu la vittoria del Cagliari nel campionato 1969-70. Un'impresa costruita in sette anni, grazie a un colpo di fortuna e agli uomini messi al posto giusto e al momento giusto. Le persone giuste furono Andrea Arrica, dirigente della società rossoblù che aveva un acume unico per il calciomercato, e due allenatori: prima Arturo Silvestri e poi Manlio Scopigno. Il colpo di fortuna, l'aver scovato nell'anonimato della serie C lombarda il più grande attaccante italiano di tutti i tempi, Gigi Riva. Silvestri era arrivato a Cagliari per caso, nel 1962. Si era proposto lui alla dirigenza che accettò, visto che era alla ricerca di un allenatore.

L'anno successivo, era il 1963, Arrica acquistò per 37 milioni quell'ossuto attaccante del Legnano. Una spesa folle per una società che di soldi ne aveva davvero pochi. Ma diventò l'affare del secolo. Primo campionato di B e subito serie A, poi una salvezza conquistata con un girone di ritorno da Coppa dei campioni. Silvestri fece un altro anno in panchina poi fu chiamato a guidare il Milan. Nel frattempo era arrivato alla guida rossoblù il più istrionico degli allenatori. Manlio Scopigno. E il quadro si completò. Un anno di buon livello e un esonero per una marachella del tecnico all'ambasciata americana durante la tournèe negli Usa del 1967. Poco male perché la parentesi di Ettore Puricelli alla guida dei rossoblù durò un solo anno.

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Poi ecco di nuovo il tecnico filosofo, l'uomo che lasciava liberi i suoi giocatori, che aveva abolito i ritiri ed era amatissimo dalla sua truppa. Arrica però pian piano aveva costruito il resto della squadra intorno al bomber che Scopigno raccomandava di tenere. "Con lui vinceremo lo scudetto" continuava a dire l'allenatore friulano. Pian piano a Martiradonna, Greatti, Cera, Nenè, e poi Albertosi e Brugnera, quindi Domenghini, Gori e Poli, insieme a un paio di giocatori di belle speranze come Tomasini e Niccolai e difensori come Mancin e Zignoli, il quadro era stato completato. Nella squadra che vinse lo scudetto c'erano anche il secondo portiere Reginato e l'attaccante Nastasio. Sedici in tutto. Una rosa ristretta.

Eppure il campionato il Cagliari lo vinse con grande sicurezza, saltando al comando alla quinta giornata e non mollando più la presa. La chiamavano in tv la "squadra simpatia" perché in fondo aveva ribaltato i valori e le gerarchie del calcio, mettendo in un angolo gli squadroni del nord. Juve, Milan, Inter? Tutte messe in fila. Il Cagliari quando giocava in quelle piazze subiva dai tifosi di casa trattamenti non proprio eleganti. "Banditi, pastori" si sentiva dagli spalti. Riva lo ha sempre ricordato. "Nessuno di noi era sardo, ma sentendo quelle grida che rappresentavano degli insulti, noi ci sentivamo parte delle migliaia di sardi che venivano a vederci. Ci sentivamo più uniti e più forti". Sognavano il riscatto quegli operai delle fabbriche del nord. E lo ebbero con una vittoria leggendaria.

Quello che nessuno avrebbe potuto pensare o sperare allora è che quel traguardo è diventato davvero parte della storia e del costume dell'Italia intera. Lo hanno dimostrato le celebrazioni per il cinquantenario dello scudetto fatte su tutte le televisioni, i siti internet e i giornali d'Italia. Quel campionato più di ogni altro, più dei successi pur unici di Lazio, Verona o Sampdoria, è stato davvero qualcosa di speciale. Indimenticabile.

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