La Nuova Sardegna

Canfora: «Politica tossica»

Canfora: «Politica tossica»

Dallo studio che si affaccia sul porto di Bari (“finalmente senza navi-crociera-mostro”), Luciano Canfora dice al telefono di “ammirare” il gesto di Papa Francesco che si è “rifiutato di ricevere” il...

11 ottobre 2020
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Dallo studio che si affaccia sul porto di Bari (“finalmente senza navi-crociera-mostro”), Luciano Canfora dice al telefono di “ammirare” il gesto di Papa Francesco che si è “rifiutato di ricevere” il segretario di Stato americano Mike Pompeo. Lo ha accolto l'omologo in Vaticano Pietro Parolin rivendicando peraltro “la scelta di nominare in piena autonomia i vescovi in Cina: è questione ecclesiale, la politica non c'entra”. Un inequivocabile no papale alle ingerenze degli Stati Uniti. «È stata una nettissima forma di liberazione contro chi crede di essere una potenza universale e di poter dominare il mondo. Nella storia c'è un solo precedente: dobbiamo tornare al 1938 quando Papa Pio XI, per non ricevere Hitler nei palazzi apostolici, si ritirò a Castel Gandolfo. E fece chiudere tutte le chiese di Roma».

La “grande democrazia americana” è citata ad esempio universale.

«E’ solo retorica. Se quello americano è indicato come modello, siamo rovinati. Lo ha sostenuto sul Corriere della Sera anche Sergio Romano. Ha segnalato, per i distratti, che voler nominare l'anti-abortista Amy Coney Barret alla Corte Suprema dimostra che la giustizia deve essere subordinata alla politica. Davanti a temi etici complessi si vuol prefigurare un esito di parte in modo sfacciato”.

Anche le modalità di elezione del presidente in carica sono state contestate.

«Nessuno può negare che Trump ha ottenuto tre milioni di voti in meno di Hillary Clinton. Dov'è allora la democrazia? Un presidente così eletto può trascinare tutto il mondo verso pericoli di nuove guerre. Vogliamo parlare dei problemi razziali che oltre Atlantico sono diventati la regola, molto spesso nell'indifferenza dei più?».

Certo, a lei l'analisi: ci sono anche le violenze quotidiane.

«Gli Stati Uniti non hanno mai superato la ripugnanza dei bianchi verso i neri. Quando nacque c'era un progetto di Costituzione. Il primo obiettivo era la felicità. E si prevedeva di conservare la schiavitù. Vogliamo ricordare la grande recessione? Vogliamo ricordare per tutti l'assassinio di Martin Luther King dell'aprile del 1968? Erano segnali evidenti: l'America non voleva la parificazione fra gli uomini, cioè non voleva – e non vuole – la democrazia come noi la intendiamo. Gli ammazzamenti sono all'ordine del giorno, la polizia rimane impunita, un poliziotto può soffocare un ragazzo di pelle nera. Trump difende gli indifendibili. Ecco perché non accetto la retorica sulla grande democrazia americana: le disuguaglianze sono accresciute. Proviamo a pensare un'Italia col sistema sanitario americano, se hai soldi vivi, se non ne hai muori. Questa è democrazia?»

Vicino agli States c'è il Brasile “frastornato” di Bolsonaro. Quanto lo sono la Turchia, la Russia?

«Ogni Paese ha una sua storia. In Turchia l'opposizione è vivacissima ma Erdogan cerca di imporre un regime quasi totalitario dopo il fallito colpo di Stato. Putin dice di ispirarsi non a Lenin ma a Stalin che ha vinto la guerra ed eccolo calcare l'orgoglio nazionale. Poi scivola con furbizie ingenue giocando a farsi rinnovare il mandato. Ma la Russia di Eltsin stava regalando agli Usa perfino gli archivi di Stato. Con l'orgoglio-nazione Putin usa violenza contro l'opposizione. Cronaca docet».

C'è una via d'uscita?

«Demostene direbbe: se la soluzione ci fosse sarebbe già stata trovata. Un grande guaio è la politica che insegue il tempo breve. I cambiamenti si ottengono solo nei tempi lunghi. Invece oggi si insegue l'attimo, il turno elettorale prossimo venturo”.

Nel suo nuovo libro «Fermare l'odio» lei parla molto di razzismo e di disuguaglianze.

«Perché li ritengo due fra i temi più laceranti di questo momento storico-politico mondiale. Anche in Europa sono molti gli imitatori di Trump. La democrazia, certo, è a un bivio storico, è a rischio non solo negli Stati Uniti».

Imitatori, non pochi, presenti anche in Europa, Italia compresa.

«Come no? Da noi sono doppiamente deplorevoli. Non dobbiamo dimenticare che abbiamo alle spalle le leggi razziali, lo scheletro nell'armadio del nostro razzismo coloniale. È certo un problema di tutto il pianeta: le migrazioni riguardano tutti i popoli poveri che cercano giustamente di avere gli stessi tenori di vita di quelli ricchi. E tali vogliono restare senza nulla concedere, senza nulla spartire o condividere. La considerazione elementare dell'uguaglianza fra tutti gli uomini della terra non è accettata. Prevalgono gli egoismi. Ci sono anche i sofisti delle migrazioni. Direbbero sì, a denti stretti (ma non sono convinti) a chi fugge dalle guerre ma urlano no ai migranti economici, quelli che scappano dalla fame. Come si può essere così egoisti? Mi permetto di dire che siamo davanti a ragionamenti davvero stupidi e assurdi».

Lei denuncia «l'aizzamento di massa contro l'invasione di stranieri per giunta neri».

«Gli slogan di oggi ricordano quelli del passato: passiamo dal “ci tolgono il lavoro” come a suo tempo “contro l'ebreo affamatore del popolo” nel gergo belluino nazifascista. Ho scritto e ripeto che rimarrà a lungo nell'album della vergogna nazionale la minaccia di stupro urlata da un isterizzato giovane popolano all'indirizzo di Carola Rachete, al momento dello sbarco a terra dopo l'impeccabile attracco della Sea Watch nel porto di Lampedusa nel giugno del 2019. Io vivo in Puglia, mi trovo in una parte di Continente dove la sperequazione è di vario peso. Sperequazioni che sono già patogene. Vogliamo vedere come vivono gli immigrati a Rosarno, Caserta, Siracusa, Ragusa, Alcamo? Sono uomini e donne simili a noi».

Che fare? Ci vorrebbe un educatore civico globale?

«Dobbiamo convincerci di dover rinunciare ai nostri alti privilegi, all'Occidente che spreca, all'Africa, all'Asia che muoiono di fame. Ma questi insegnamenti vengono solo dl Pontefice: e notiamo come viene contestato anche all'interno delle sacre mura. Il reato di clandestinità, agevolata piuttosto che eliminata dalla legislazione vigente in materia, è l’altra faccia schiavizzante delle smargiassate salviniane e dell'Europa fortezza».

Lei è un grande studioso di Gramsci.

«Antonio Gramsci è un gigante, un pensatore di lunga gittata, come scriveva Palmiro Togliatti nel giugno del 1964 su Paese Sera. Gramsci non è sardo, non è italiano, va ben oltre il Pci, è il maggiore pensatore italiano del Novecento. I più avveduti studiosi lo propongono in tutto il mondo, dal Brasile all'India. Quando Gramsci propone l'odio dell'indifferenza ci vuol insegnare la pericolosità del qualunquismo, diventato globale. Oggi Gramsci lavorerebbe a demolire, con l'uso della ragione, il nuovo schiavismo».

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