La Nuova Sardegna

Nel duro mondo dei corallari sboccia l’amore

di Vanessa Roggeri
Nel duro mondo dei corallari sboccia l’amore

A partire da venerdì in edicola con la Nuova “La cercatrice di corallo” di Vanessa Roggeri

20 ottobre 2020
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Pubblichiamo un brano tratto da “La cercatrice di corallo”, il romanzo di Vanessa Roggeri che da venerdì e per una settimana sarà in edicola con La Nuova (a 7.50 euro oltre il prezzo del quotidiano), quarta uscita della collana Scrittori di Sardegna 2020.

* * *di Vanessa Roggeri

Regina, stretta al padre, guardò spaventata quella donna sconosciuta che si riprendeva i figli e spariva in fretta attraverso la porta che dava sugli scogli, come una folata di vento cattivo. Era rimasto soltanto il maggiore di quei ragazzini piantato al centro dello stanzone con gli occhi gonfi di lacrime, i pugni stretti e il corpo che tremava di rabbia. Sembrò sordo ai richiami della madre finché, dopo un tempo che parve non finire più, decise di muoversi scappando dalla casa come un assassino che avesse compiuto per davvero l’omicidio tanto desiderato.

Una volta all’aria aperta però, Achille rallentò il passo appesantito da un indicibile senso di impotenza. Sua madre e i suoi fratelli avevano già risalito il sentiero che serpeggiava tra i cespugli e si trovavano in prossimità delle tre palme, quando sentì un fischio seguito da: «Ehilà! Ehilà!». Achille si voltò di scatto e vide giungere per una stradina traversa al sentiero principale la figlia dell’uomo che più odiava al mondo. Pronto a ricevere un colpo basso stette in guardia, e quando quella strana creatura del mare – con le treccine striminzite e gli occhi dello stesso colore della paglia marina lasciata a imbiondirsi sulla battigia – gli tese una mezza forma di formaggio e una pagnotta così grande che a stento reggeva tra le sue piccole mani, Achille immaginò si trattasse di una trappola o di uno scherzo malvagio. In un primo momento pensò di buttare a terra quei falsi doni, ma qualcosa nello sguardo serio della piccola lo convinse che non c’erano inganno o malignità in lei.

«Tieni» gli disse Regina incoraggiandolo ad accettare, ma Achille divenne ancora più torvo e diffidente. Avrebbe preferito morire piuttosto che ricevere l’elemosina da quella mocciosa.

«Tieni!» insistette ancora lei e fu soltanto il pensiero della pancia vuota dei suoi fratellini e del lungo viaggio che li aspettava a convincere Achille a rabbonirsi. Accettò il pane e il formaggio, ma non ci pensò neppure a ringraziare la figlia del nemico.

Inaspettatamente, scoprì che la generosità della bambina non era finita lì: con l’aria di chi possedeva un tesoro magico, gli porse un rametto di corallo, rosso come il fuoco, non più grande di un palmo e mezzo, composto da una biforcazione principale e numerosi rametti più sottili.

«Porta fortuna se lo regali» gli confidò con l’innocenza di chi crede ancora nelle cose magiche e occulte.

La tentazione fu grande per Achille, che sul corallo aveva sempre sentito raccontare storie straordinarie. Quando strappò con sgarberia anche il terzo dono dalle mani della bambina, per tutta risposta Regina lo degnò di un sorriso grazioso come un arcobaleno dopo l’acquazzone. Poi corse via veloce, sparendo presto alla vista.

Più tardi, durante il viaggio, per evitare che la madre si sbarazzasse del prezioso cibo spinta dal proprio orgoglio smisurato, Achille raccontò di averlo rubato lungo la strada, con grande gioia dei fratelli minori. Del corallo invece non fece parola e una volta a casa lo seppellì in un nascondiglio segreto. Non seppe dirsi perché né gli interessò capirlo, ma il pensiero di quella bambina gli ritornò più e più volte nella mente, per molti giorni, finché col tempo sbiadì come una goccia di colore nell’acqua.

Quel giorno, prima di abbandonare la Rocca delle Tre Palme, Dolores si voltò indietro verso la casa bianca, e dal ciglio della strada maestra formulò la sua promessa di vendetta: non sapeva come, non sapeva quando, ma prima o poi Fortunato Derosas avrebbe pagato per la sua superbia e spietatezza. L’aveva umiliata e calpestata traendone gusto e lei non avrebbe esitato a togliergli quanto di più caro e prezioso aveva al mondo.

In segno di disprezzo sputò in direzione del nemico, imitata dai figli più piccoli inconsapevoli dei sentimenti neri che animavano la loro madre.

Dunque ingoiò il boccone avvelenato e si incamminò lungo la via del ritorno.

L’aria già calda intorno a Borutta era arroventata dalle fornaci della calce che lavoravano a pieno regime nonostante il sole impietoso dell’estate. Il calore che di giorno si accumulava nelle pietre dei muri e nelle tegole dei tetti di notte veniva restituito agli abitanti delle case come un alito di febbre che metteva sete e fiaccava la volontà, tanto che sotto il letto pareva di avere una piccola fornace perennemente accesa.

Dolores sparse sul tavolo il magro bottino che in mattinata era riuscita a racimolare tra i compaesani più caritatevoli: qualche patata incrostata di terra, cinque uova, dei tozzi di pane raffermo e un paio di verdure punte dagli insetti. Il pugno di farina invece lo aveva comprato in bottega con le monete guadagnate da Benvenuto. Sfinita dal caldo e dai troppi pensieri, Dolores si sedette perdendo lo sguardo dietro alle formiche che zampettavano in fila indiana lungo il muro. Care mie, avete fatto un brutto affare a prendervi questa cucina, pensò con amara ironia.

Erano passati pochi giorni dacché era tornata a casa dalla visita ai parenti che abitavano sulla costa, a un passo dall’acqua salata. La disperazione era una belva che mordeva senza pietà, a ogni nuova alba portava via un brandello della resistenza di Dolores, la quale, privata del conforto di un marito e di mezzi sicuri, sentiva di essere giunta al limite della sopportazione. Come una pentola in ebollizione sul punto di scoppiare, passava tutte le ore di luce e di buio ad arrovellarsi per riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena e quando non ci riusciva, un groppo di angoscia le faceva venire il batticuore. Spesso i suoi figli si dimostravano più forti di lei, soprattutto i più piccoli avevano dimenticato in fretta l’avventura che li aveva portati fino ai confini della terraferma, finendo per dare allo spiacevole incontro con lo zio pescatore di coralli la consistenza di un sogno. Nei giorni in cui la fame era più sopportabile, erano bravi a trasformare le difficoltà in un gioco divertente; sapevano essere incredibilmente ingegnosi nel trovare in giro per le campagne gli ingredienti per cucinare un’acquacotta che desse l’illusione della sazietà. Se si presentava l’occasione giusta, non esitavano a rubare nei pollai e negli orti altrui e quando la stagione lo permetteva, con le trappole tese tra i rami degli alberi riuscivano a catturare passeri, pettirossi e se andava bene, qualche tordo di passaggio. Di queste bestiole facevano degli spiedini da arrostire, e seppure spennarli era uno strazio e la polpa si levava via in un solo boccone, erano comunque una vera delizia. Ai loro palati disabituati al buon cibo, tutto aveva un sapore preferibile al detestabile olio dei poveri: aspro e pregnante, l’olio di lentisco rimaneva in bocca per giorni guastando ogni altro gusto.

Dolores si portò alla gola una mano malferma. Quel pomeriggio sentiva di avere il respiro faticoso e il cuore pesante. Scattò in piedi e, tenendosi forte al davanzale, cercò inutilmente un po’ d’aria alla finestra. Tutto quel sole, che seccava le sterpaglie e si rifletteva sulla terra argillosa, le feriva gli occhi. L’estate è dura da passare, ma presto arriverà l’inverno e ci sarà nemico, rifletté, terrorizzata al pensiero che il freddo e i malanni si portassero via i suoi figli. Come farò? A chi posso chiedere aiuto? Nessuno mi aiuterà! Come faccio a sfamare i miei figli? Come faccio? Come faccio? Come faccio? Ho pregato Gesù Cristo, ho pregato la Madonna e tutti i santi, ma nessuno mi ascolta! Nessuno mi ascolta! ripeteva tra sé e sé. Dolores picchiò un pugno sulla pietra accasciandosi sul davanzale, schiacciata dal peso insopportabile delle preoccupazioni. Ancora una volta si ritrovò a maledire Fortunato Derosas, la sua famiglia e le sue presunte ricchezze.



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