La Nuova Sardegna

Giovanni Floris: «Ora puntiamo sui giovani»

Giovanni Floris: «Ora puntiamo sui giovani»

“L’Alleanza” è il nuovo libro del conduttore televisivo, proposta di un patto tra generazioni per costruire il futuro

25 ottobre 2020
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Giovanni Floris (Roma 1967) è giornalista, conduttore tv, mattatore di ascolti su La7 con “Di Martedì” come lo era stato su Rai3 con “Ballarò”. Sposato con la scrittrice Beatrice Mariani, padre di Valerio e Fabio, vacanze in Gallura, appassionato di calcio, tifoso impenitente della Roma e fan di Gigi Riva, è figlio d'arte: il padre, nuorese di Pont'e ferru (Bachisio, bancario e scrittore brillante, suoi “Nuoro Forever” e “Tre Ore”, Cuec) e madre di origini toscane (Annamaria Pedaccini, docente di lettere ai licei romani, scrittrice di testi soprattutto di Teoria e tecnica della comunicazione fra i quali “Leggere per scrivere” utilizzato dai giornalisti per gli esami di Stato). Cronista Rai da New York nel settembre 2001 con l'attacco alla Torri Gemelle, Floris – stakanovista della scrittura – è autore di successo: tra gli altri “Ultimo banco”, “La fabbrica degli ignoranti”, “La prima regola degli Shardana”.

Ora Floris esce con il suo nuovo libro: “L’Alleanza. Noi e i nostri figli: dalla guerra tra i mondi al patto per crescere” (Solferino Editore). Ne abbiamo parlato con l’autore.

Lei invoca giustamente “l'alleanza”: in Sardegna si tradurrebbe con Forza Paris anziché con l'iberico Mal Unìdos. Ma in questi giorni, il presidente Mattarella ha ricordato che, dopo il Corona, c'è il temibile virus individualismo. Si può invertire la rotta?

«Sono convinto che sia la paura a portare le persone all’individualismo. Quando tutto sembra perduto, scatta il “si salvi chi può”. Anche nel caso della pandemia. Invece il comportamento dell’uno è la salvezza sua e dell’altro. E viceversa. Ci piaccia o no (a me piace) siamo in tanti: viviamo tutti insieme. Insieme ci salviamo o ci perdiamo. In “L’alleanza” il discorso è centrato sull’interdipendenza tra generazioni, ma il ragionamento vale per ogni forma di vivere sociale».

Come in altri suoi libri, fra tutti “Ultimo banco”, insiste sulla centralità della scuola: la cronaca dice che non è al primo posto dell'agire politico. L’esperienza del corona virus è emblematica. Riparte il contagio, e qual è la prima proposta che si fa?

«Chiudere le scuole, per evitare che i ragazzi vadano in autobus. Non scadenzare gli orari di ingresso, non aumentare i bus. Ma impedire loro di entrare nell’unico posto dove è difficile che si infettino, e dove si formano come cittadini. I minorenni sono pochi: ce la prendiamo con una minoranza che non ha rappresentanza. Pagano loro, e noi speriamo di cavarcela. Basterebbe ragionare, ma ci lasciamo guidare dall’ansia e dalla paura. E a ragionare si impara a scuola, da che mondo è mondo».

Un suo testimonial parla di “cantanti, artisti e rapper”. Lei corregge: O meglio ancora, un trapper.

«Quando sognavo di fare il giornalista volevo girare il mondo, visitare luoghi misteriosi e sconosciuti. Adesso conduco da uno studio televisivo, ma la voglia di conoscere mi è rimasta. Ho scoperto che i viaggi più affascinanti si fanno nella testa delle persone. Il cervello dei nostri figli ha un suo universo di simboli, parole, linguaggi, musiche che noi neanche immaginiamo. Ne L'Alleanza lo esploro: cerco i loro modelli culturali, entro nella rete dei loro giochi e dei loro canali di comunicazione. Tik Tok, Youtube, instagram, Fortnite. E poi la musica: il rap, la trap, la musica indie: nella mia inchiesta percorro il loro mondo. Ci troviamo Salmo, un gigante del rap, nato a Olbia, e un artista come El Raton, neo star televisiva, olbiese pure lui. Il linguaggio è la chiave di lettura del mondo, con le parole conosci le persone».

Funziona ancora “Studia se vuoi costruirti un futuro”? Come la mettiamo con la dirompente dispersione scolastica?

«Funziona come prospettiva individuale, non come strategia di sistema. Se un ragazzo studia aumenta le sue opportunità di vivere meglio, ma la politica a questa regola non crede. Statisticamente, per quanto riguarda la possibilità di trovare un lavoro, per i nostri figli non fa una grande differenza essere in possesso di diploma o di laurea. Né in termini di opportunità né in termini di retribuzione. C’è poco da stupirsi se più di qualcuno si lascia prendere dallo sconforto: nel 2019 l’Italia ha registrato la più alta percentuale di Neet, giovani che non studiano, non lavorano e non sono in un percorso di formazione. Ma affrontare il tema dello studio solo rapportandolo agli effetti che ha sul mercato del lavoro rischia di farci dimenticare che il valore più profondo della scuola è quello di essere il sole e la luna di pianeti individuali, la bussola di vite che senza di lei, probabilmente, si perderebbero. L’educazione è l’unico modo che ragazze e ragazzi hanno di gestire il cambiamento e l’incertezza nei loro percorsi di vita».

Un Paese di vecchi, Italia di nonni e genitori, non di nipoti e pargoli. Nel libro si legge un comandamento laico: prepariamo i nostri figli a fare a meno di noi.

«Sono convinto che un padre debba preparare il terreno alla propria uscita di scena. Prepararlo in modo che i figli, potendo, abbiano più strumenti di quelli che ebbe lui per affrontare la vita. O se ne avranno di meno, che almeno abbiano più fantasia, maggior cultura e maggiore capacità di arrangiarsi e organizzarsi. Dare una direzione, o molte, alla vita di chi verrà dopo di noi con gli insegnamenti, le emozioni, i pensieri, i comportamenti, gli scritti, le immagini. Forse il senso della paternità è proprio quello di insegnare con l’esempio come, nell'inadeguatezza, si diventa uomini e donne».

Ottimismo gramsciano della volontà. Come convincersi della frase che i giovani di oggi «peggio di noi non potranno fare»?

«Siamo un Paese di anziani, che vota politici che fanno gli interessi degli anziani, convinti che la soluzione a tutti i problemi sia incassare il massimo dei propri vantaggi immediati. Poi ci troviamo con ragazzi senza lavoro, senza assistenza, senza casa, senza possibilità di costruirsi una famiglia o un futuro. Li dobbiamo mantenere, ci rimettiamo sia noi che loro. Siamo ancora in tempo, però. Propongo un’alleanza: noi liberiamo qualche risorsa, loro si interessano alla cosa pubblica, magari prestandosi a un servizio civile obbligatorio che faccia conoscere loro l’importanza di assistere gli altri. Il libro propone una ricetta beneaugurante: “Informati il più possibile, parla con chiunque”».

La maggior parte dei politici è informata? Sa qual è il mondo esterno ai Palazzi?

«In alcuni casi sì, in altri no. Ma una cosa è sapere quali sono i problemi, altra è saperli risolvere. Per troppo tempo, a noi elettori, è bastato che il politico capisse quali fossero i nostri guai. Ma la politica non deve distribuire empatia, deve offrire soluzioni».

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