La Nuova Sardegna

A Calangianus le radici di Paola Sotgiu, la matriarca di Suburra

Alessandro Pirina
A Calangianus le radici di Paola Sotgiu, la matriarca di Suburra

L'attrice interpreta la capoclan dei Sinti nella serie tv italiana più vista degli ultimi mesi

23 novembre 2020
4 MINUTI DI LETTURA





Adelaide Anacleti, la capofamiglia del clan dei Sinti di “Suburra”, è un personaggio che ha in qualche modo origine in Sardegna. Sì, perché la matriarca degli “zingari”, figura centrale della serie di successo targata Netflix, ha il volto di Paola Sotgiu, attrice romana, dalle inequivocabili radici isolane.

Partiamo dal suo cognome che rimanda alla Sardegna.

«Come negarlo? Mia madre sarda al 50 per cento, una Cao Pinna. Mio padre invece sardissimo di Calangianus. Un paese che ho frequentato tantissimo quand’ero bambina. Appena nata sono stata salvata dal medico condotto del paese, il dottor Muzzeddu. Mia madre aveva poco latte ed ero completamente denutrita. Fu lui a darmi per una settimana il latte che arrivava direttamente dalla vacca».

E oggi frequenta l’isola?

«Sono svariati anni che non vengo. Ci furono dissapori in famiglia e mio padre non volle più tornare a Calangianus. Ma ho dei ricordi fantastici».

Com’è stato interpretare Adelaide Anacleti?

«Per me è stato molto prestigioso farlo perché sono stata scelta direttamente da Michele Placido, regista della prima stagione. È stato un personaggio indubbiamente difficile, una matriarca Sinti. E per farlo non potevo non ispirarmi al matriarcato sardo. Mi sono ricordata di una lontana parente di Nuoro che aveva un marito e quattro figli: tutti lavoravano, ma era lei ad amministrare l’economia familiare, compresa la paghetta che dava agli uomini di casa. Il suo ricordo mi è stato molto utile, è stata un’ispirazione felice».

Ha avuto difficoltà a cimentarsi nel ruolo di una zingara?

«Il Sinti non lo conoscevo per niente. Mi sono state di grande aiuto le tante comparse della comunità Rom. Sono stati straordinari, gentili, disponibili. All’inizio ero molto spaventata, perché non conoscere le usanze della comunità Sinti era chiaramente un problema. Ma loro mi hanno spiegato tutto, mi hanno portato alla scoperta della loro comunità. Per esempio, non sapevo che le donne portano i pantaloni fino ai 16 anni, dopo soltanto gonne. Mi hanno fatta entrare nel loro mondo. Una delle più grandi soddisfazioni è stata quando abbiamo girato la scena in cui Spadino deve sposare Angelica e io gli consegno il pugnale del padre. Una scena tutta nella lingua dei Sinti. Quando sono venuti a complimentarsi con me per il mio Sinti mi sono sentita una donna felice».

“Suburra” ha valorizzato il ruolo delle donne: Adelaide, ma anche Angelica, Nadia o Livia. Tutte donne di potere, quasi alla pari con gli uomini.

«La storia ci insegna che di donne di potere ce ne sono state tante. Il problema vero è che spesso non è stata data la possibilità di andare avanti alle donne normali. In “Suburra” le donne di potere sono sì messe in evidenza grazie alla scrittura dei loro personaggi, ma anche alla bravura delle interpreti».

Come si spiega la passione del pubblico per personaggi non proprio positivi?

«Adelaide mostra il suo potere, la sua preferenza per il figlio Manfredi, ma è evidente che ami anche Spadino, anche se non condivide nulla di quello che fa. Sa della sua omosessualità, sa che non merita di diventare un boss ma lo ama. È una donna di potere ma prova affetto. Per lei la famiglia è importantissima. Siamo in una società in cui la famiglia si disperde ma paradossalmente nelle fiction è quello che il pubblico ama».

Come vive la popolarità?

«È divertente. L’altra sera in un ristorante giapponese un cameriere è andato su internet a cercare il mio nome: non voleva chiamarmi Adelaide. “Signora Paola possiamo fare un selfie?”. E dalle cucine sono usciti tutti per farsi la foto con me. Il calore del pubblico è un privilegio, perché senza pubblico un attore non ha ragione di essere».

Come nasce la sua passione per la recitazione?

«Canto e recito da quando ero bambina. Poter essere qualcun altro è un privilegio raro».

Al cinema ha lavorato con Proietti e Verdone.

«Io sono stata fortunata a lavorare con questi grandi. Compresi Muccino e Placido. La morte di Gigi è stato un dolore tremendo, ho pianto per giorni. Era unico: non solo un grande attore ma anche una grande persona. La stessa cosa la posso di dire di Verdone: oltre a essere un geniaccio è una persona di una educazione rara. Anche sul set».

Ora cosa la attende?

«In realtà ho fatto un provino per un ruolo che amavo moltissimo. Mi ero preparata molto bene, ma hanno scelto un’altra attrice. Cose che capitano, ma mi dispiace davvero tanto».



In Primo Piano
Politica

Regione, la giunta Todde annulla la delibera per la costruzione di quattro nuovi ospedali

Le nostre iniziative