La Nuova Sardegna

«La memoria viva degli anni Settanta»

di Michela Calledda
«La memoria viva degli anni Settanta»

Marta Barone parla del libro “Città sommersa”, al centro dell’incontro in cartellone domani per la rassegna cagliaritana 

28 novembre 2020
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Uscito per Bompiani a gennaio, “Città sommersa”, esordio letterario di Marta Barone, ha viaggiato per tutto l’anno con il vento in poppa: fuori per un soffio dalla cinquina del Premio Strega e vincitore del Premio Vittorini, amato dal pubblico ed elogiato dalla critica, è stato uno dei libri più discussi e apprezzati del 2020 e approda finalmente anche in Sardegna, a Cagliari, per il Festival Pazza Idea.

A ventisei anni, Marta, dopo un pranzo di Natale, quasi per caso, ritrova la memoria difensiva del processo che riguardò suo padre, Leonardo Barone, arrestato, e poi processato e assolto, nel 1982 per banda armata, accusato di far parte del gruppo Prima Linea. Partendo da quelle carte, Marta, cresciuta insieme con la madre dopo la separazione dei suoi genitori, ricostruisce la vita di suo padre, della quale conosce pochissimo.

Da quando partono le tue ricerche e quanto tempo sono durate?

«Partono dal Natale 2013 (la lettura della memoria processuale) e sono durate fino al 2018, quando ho iniziato definitivamente a scrivere; ho incontrato persone, consultato archivi di giornali faldoni giudiziari, letto o riletto innumerevoli testi sul periodo degli anni '70»

Da qui si staglia l'immagine di Leonardo Barone, giovane e brillante studente di medicina, contestatore e attivista, protagonista dei fatti di Valle Giulia a Roma, militante convinto di Servire il popolo. Marta Barone ripercorre le tappe della vita di suo padre che lo portano fino al processo attraverso le parole e le testimonianze delle persone che gli hanno voluto bene, ma anche grazie alla cronaca del periodo e ciò che di quella vicenda è stato custodito dagli archivi storici e nei giornali dell'epoca.

Scrivi: «C’era senza dubbio in L. B. qualcosa di straordinario, di magato, qualcosa che tutti quelli con cui parlai mi nominarono senza riuscire a definirlo; non aveva a che fare solo con la generosità, o con il carisma, o con la sua esuberanza: era come un fuoco violetto, una luce misteriosa, unica e sua, che quando sfiorava le persone le conquistava immediatamente». Chi è L.B. Il protagonista del tuo romanzo?

«L.B. sono le iniziali del nome di mio padre, Leonardo Barone. È il nome che ho scelto di assegnargli quando il ragazzo protagonista del libro si è distaccato dall'uomo che conoscevo ed è diventato un personaggio autonomo. A ventisei anni, due dopo la sua morte, ho scoperto da un documento giudiziario che non sapevo praticamente nulla di lui; da allora, ho cominciato a cercare, e ho scoperto che aveva una storia ricchissima e affascinante che copriva anni fondamentali del '900, e ho sentito che avevo bisogno di scriverla».

“Città sommersa” non è soltanto frutto di una narrazione biografica e autobiografica, è anche la ricostruzione del periodo doloroso e angosciante che furono gli Anni di Piombo, con lo sfondo della Torino operaia degli anni Settanta e Ottanta, teatro di lotte e battaglie: è stato definito memoir, autofiction, inchiesta, perfino romanzo di formazione. Tu che definizione ne daresti?

«Non so perché c’è questo bisogno di etichettare per forza un libro. So certamente quello che non è: un reportage o un’inchiesta, anche se racconto episodi che hanno riguardato nel profondo la città di Torino. È un sistema di caselle che cercano di comporre un mosaico a cui manca sempre qualche tassello: mio padre. È anche un libro doppio, perché sotto il bizzarro racconto di formazione di quest’uomo c’è una sotto trama che riguarda le vere profondità del libro: il tempo, la memoria, l’impossibilità di ricordare».

La città al centro della tua narrazione è Torino, città in cui tuo padre, pugliese, si trasferì. Torino è la tua città, ma pensare che il titolo del libro alluda alla sola Torino è sbagliato e riduttivo. Qual è la città sommersa di cui parli?

«La città sommersa è sempre stato l’uomo, mio padre: la metafora è più chiara quando racconto la leggenda che l’ha ispirata. E la leggenda è quella della città di Kitež, mitica città a nord del volga che si inabissò nelle acque del lago Svetlojar e che, si racconta, viva ancora, sott’acqua con tutti i suoi abitanti, e che diventa metafora di una antica memoria che riaffiora».

La ricostruzione degli anni di gioventù di Leonardo Barone ci trascina nella dimensione personale che ti appartiene, ma, nello stesso momento, nella dimensione collettiva e storica. Tuo padre è un personaggio all’interno di una storia molto più grande. E’ stato facile per te mantenere un registro letterario anche dove La Storia prevaleva e si faceva più ingombrante?

«Non tanto dove prevaleva la Storia ma dove prevaleva la cronaca: superare quel linguaggio e renderlo letterario è stata sicuramente una delle sfide più difficili a livello di stile».

Parli a lungo della militanza di tuo padre in Servire il Popolo, partito comunista leninista. Quella militanza totalizzante che lo ha portato a lasciare gli studi, a sposarsi perché lo avevano deciso i compagni, a trasferirsi per abbandonare la “vita borghese” e dedicarsi allai operaia. Era un altro mondo. Per la nostra generazione è possibile, oggi, concepire una militanza totalizzante come quella?

«Non penso proprio. Del resto, sono cadute le ideologie, e senza un sogno mitico non puoi aderire a qualcosa in modo così assoluto».

«E’ proprio vero che a un certo punto i morti tornano a cercarti, e ti devi sedere al tavolo con loro”, scrivi. Quanto è importante fare i conti con il proprio passato?

«È importante. Ma a volte è anche soffocante».

Dici: «Avrei voluto che questa storia me la raccontasse lui. Avrei voluto avere il tempo di sentirla. Ma in un certo senso sono consapevole che il libro esiste perché non c’è più l’uomo.» Il tuo rapporto con tuo padre è stato complicato. Ricostruire la sua storia, dopo la sua morte, ti ha riportato un’immagine di lui un’immagine diversa?

«Certo: mi ha restituito L.B., il ragazzo, al quale non a caso il libro è dedicato. Quella è un’immagine felice e libera. Un’immagine che posso amare in modo semplice. Mi ha anche spiegato molte cose di ciò che era diventato dopo. Ma purtroppo, non abbiamo avuto tempo».

Città sommersa è un libro importante, che rimarrà come tentativo di far luce sulle zone d’ombra e gli enigmi, che avvolgono il passato. Un riflessione profonda di rara potenza letteraria.



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