La Nuova Sardegna

LA STORIA 

E nell’isola selvaggia i Savoia inviarono il loro esploratore

E nell’isola selvaggia i Savoia inviarono il loro esploratore

Un documento del 1747 – nell’archivio francese “Service Historique de la Défense” di Vincennes – spiega il programma del governo sabaudo per l’accoglienza di “nuove popolazioni” in Sardegna. Il...

20 dicembre 2020
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Un documento del 1747 – nell’archivio francese “Service Historique de la Défense” di Vincennes – spiega il programma del governo sabaudo per l’accoglienza di “nuove popolazioni” in Sardegna. Il sorprendente manoscritto di una quarantina di pagine – a cura dell’ingegnere luogotenente Craveri – dà conto della ricerca di luoghi adatti alla permanenza di immigrati nell’isola e sta nel solco di iniziative immaginate una decina di anni addietro, già regnante Carlo Emanuele III.

Conoscenza

Dell’esploratore piemontese non si hanno molte notizie: non è neppure noto il suo nome proprio, omesso in tutti i documenti sottoscritti. La sua fama è dovuta soprattutto all’attività di topografo: obiettivo la mappa della Sardegna, completata nel 1746. Del disegno, purtroppo irreperibile, abbiamo notizie grazie a una riproduzione a cura del misuratore Giovanni Antonio Maina, custodita nell’Archivio di Stato di Torino. Fondamentale per la conoscenza del territorio sardo tra Sette e Ottocento; tanto più con le informazioni contenute nel manoscritto di Vincennes, la cui pubblicazione offrirebbe spunti interessanti agli studiosi di geografia storica.

Natura rigogliosa

A Casa Savoia interessava il punto di vista di Craveri (accompagnato nella missione dal conte Francesco Cordara, Intendente generale, per sottolineare il valore istituzionale dell’iniziativa). All’ingegnere si chiedeva di accertare se e dove vi fossero le condizioni per la permanenza di coloni nell’isola. Se e dove si potesse contare sul vantaggio della natura rigogliosa, in particolare sulla triade “Acqua, Pietra e Bosco”, indispensabile – si diceva – per abitare stabilmente questo o quel luogo.

Il progetto ambizioso di inclusione era rivolto essenzialmente alle famiglie di immigrati, confidando in un loro radicamento nel territorio sardo: il modo migliore per assicurare uno sfruttamento non occasionale delle risorse.

Nessuna intenzione filantropica in questa idea. L’interesse del re – di avere più sudditi – dipendeva dalla valutazione economica di mettere a frutto possedimenti altrimenti destinati all’ inutilizzo.

Terra marginale

Il grave deficit demografico era alla base della preoccupazione del governo. Nel primo Settecento si contavano in Sardegna poco più di 300mila abitanti su 24mila chiometri quadrati. Molto bassa la densità nei grandi spazi rurali, e pochissimi gli abitanti nelle aree urbane (a Cagliari 17mila, a Sassari 13mila, a Iglesias 6mila, a Oristano 5mila), da cui il senso di una forte inadeguatezza. Nello sfondo la difficoltà di incrementare la popolazione originaria della terra più marginale del Regno. E la consapevolezza che il programma alternativo – di introdurre comunità straniere – fosse difficilmente praticabile; impossibile senza un’ attività di preparazione. Appunto affidata alla perlustrazione scrupolosa dell’inviato speciale Craveri.

Aree fertili

E se il piano non produrrà i risultati immaginati non è certo per carenze nel lavoro dell’inviato speciale. Lo dimostra quel prezioso puntuale rapporto svolto su molte decine di località in ogni parte dell’isola, dal Sarcidano alla Nurra, passando per le terre di Meana, Sadili, Galtelly, Posada, TerraNova, Longonsardo, Gallura, Anglona, Coquinas, Bosa, Narbolia, ecc. Una indagine con tante deduzioni luogo per luogo, con “dichiarazioni” su ciò che avrebbe potuto aiutare la permanenza di gruppi familiari e quindi lo sviluppo delle attività agricole, secondo le raccomandazioni di studiosi illuminati. Le descrizioni analitiche di Craveri riguardano le morfologie di aree fertili, la vegetazione (la “boscaggine” con un riguardo speciale agli olivastri), le fonti per l’approvvigionamento idrico, i pascoli, e quindi i materiali lapidei disponibili ( “per fabbricare” o per ricavare calce).

Chiese e fortezze

Craveri dà pure notizie sui preesistenti antichi manufatti come chiese o fortificazioni, tutto annotato con precisione nella cartografia arricchita da un grande numero di toponimi. Per ogni habitat esaminato un giudizio sull’aria: generalmente buona ma da qualche parte “intemperiosa” a causa di ristagni d’acque, circostanza molto sfavorevole all’insediamento umano– rileva l’ingegnere.

Nel rapporto si arriva ad indicare il carico ammissibile di popolazione in ogni località, calcolando la resa di terre- colture. Valutazioni essenziali per assicurare il successo dell’esperimento il cui esito, non sfuggiva a Craveri, era dipendente dal benessere delle genti trasferite.

Migliaia di famiglie

Il piano settecentesco studiato dai Savoia per l’isola rimanda all’attualità, e quindi alla condizione dei tanti territori insulari disabitati e incolti, per cui sarebbe auspicabile una politica a favore di un’ immigrazione organizzata con saggezza. Sorprende il coraggioso tentativo di tre secoli fa privo di pregiudizi sui migranti, la propensione ad accettare nel consorzio sardo migliaia di famiglie provenienti da chissà dove. Oggi le antistoriche disumane reazioni contro piccoli gruppi di profughi in cerca di scampo nei porti italiani, fanno riflettere sulla civile modernità di quel piano coraggioso.



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