La Nuova Sardegna

Nazisti in fuga, le testimonianze sulla distruzione

di LUCIANO PIRAS
Nazisti in fuga, le testimonianze sulla distruzione

Francesco Ledda ricostruisce il passaggio delle truppe tedesche in Sardegna nel 1943

05 febbraio 2021
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Pietro Pisanu, classe 1931, nato e cresciuto a Bolotana: «Una volta mentre scaricavamo dei materiali dai camion tedeschi nel magazzino (...) ci passò una scatola piena di fischietti e compare ne prese uno e poi fischiò. Il sergente sentì e capì che avevamo preso un fischietto e cercò di prenderlo. Compare scappò e quando arrivò a casa sua nell’ingresso il tedesco vide dei bambini e non entrò (...). I tedeschi andando via bruciarono tutto. Nella stazione dei cacciatori c’era la calzoleria dove lavoravano uno di Orani con babbo. Portarono via tutto dopo l’armistizio e prima di partire bruciarono tutto quello che era rimasto». Come tutte le guerre che lasciano soltanto distruzione. Così è successo anche nella Sardegna del secondo conflitto mondiale. Soprattutto mentre i tedeschi, alleati e amici fino all’armistizio del settembre 1943, si ritiravano convogliando le loro truppe, 25.800 uomini in totale, verso La Maddalena e Palau per poi sbarcare in Corsica.

«L’8 settembre i tedeschi hanno caricato tutto e sono andati via, prima erano bianchi e biondi, poi abbronzati. Mi ricordo che erano vestiti di color giallo sabbia – racconta Dino Simula, classe 1934, nato a Sini, dove ha sempre vissuto –. Quando stavano partendo, molti andarono a prendere. Anselmo Lampus prese delle bombe o delle munizioni, lo hanno trovato e pensavano che fosse contro di loro e lo hanno ucciso». Ucciso come furono uccisi il geniere Aldo Bianchi, romano del ’18, e il telegrafista Pasqualino Pinna, di Pozzomaggiore, del ’22. È successo nei dintorni della cantoniera di Oniferi, sulla statale 129 Macomer-Nuoro, mentre le colonne della Wehrmacht erano in ripiegamento: «Un mezzo tedesco con a bordo alcuni soldati si fermò presso i due militari italiani colpendoli a freddo con raffiche di mitra. Cadde subito colpito mortalmente il geniere Bianchi, mentre venne ferito gravemente Pinna. Uno dei militari tedeschi, appurato che egli era ancora vivo gli si avvicinò e dopo avergli tagliato le vene dei polsi lo gettò nella scarpata sottostante» scrive senza troppi giri di parole Francesco Ledda, autore di un recentissimo saggio destinato a lasciare il segno: “1943: i tedeschi in Sardegna”. Un punto fermo nella storiografia più recente, spesso più interessata al ruolo dell’isola e dei sardi nella prima guerra mondiale piuttosto che nella seconda. Ledda, studioso sassarese di storia militare (suo un prezioso contributo al volume “La Sardegna e la guerra di Liberazione. Studi di storia militare”, curato da Daniele Sanna per Franco Angeli editore), ha il merito non soltanto di aver scoperto e ricostruito particolari rimasti inediti per oltre settant’anni, ma anche, e soprattutto, di aver raccolto testimonianze e materiali che fanno il punto su uno spaccato storico dimenticato, o quanto meno poco battuto, forse perché troppo imbarazzante, comunque ancora dolorosissimo. «Con questo libro sui tedeschi in Sardegna nel 1943 – sottolineano Giuliano Chirra e Daniele Sanna nella presentazione –, Francesco Ledda getta luce sulla presenza della Wehrmacht nell’isola. Il lavoro certosino di ricerca è stato possibile poiché Ledda ha dimostrato di possedere, oltre alla passione dello studioso, delle doti rare nel campo dell’esplorazione, che gli hanno permesso d’individuare i luoghi della presenza tedesca nell’isola».

Una presenza culminata con la ritirata dei numerosi reparti meccanizzati della 90ª Panzergrenadier division da un’isola, la Sardegna, per sbarcare in un’altra isola, la Corsica. Con al seguito una dotazione cospicua di uomini e armamenti, 3.850 gli automezzi, 62 carri armati, 1.130 mitragliatrici. La paura e le voci sempre più ricorrenti di un eventuale sbarco degli americani in Sardegna aveva avuto nei tedeschi un effetto dirompente costringendoli a una fuga affrettata che non è stata affatto indolore, o quasi, come si pensava fino all’altro ieri. Francesco Ledda ha questo merito: è riuscito a ridare dignità scritta e documentata a una memoria collettiva e popolare che rischiava di perdersi per sempre. Dalla dislocazione dei reparti agli impianti di radiolocalizzazione, dalle singole operazioni militari agli scontri a fuoco: ogni capitolo è una miniera di informazioni, cronache, curiosità, aneddoti. «Ricordo ancora – sintetizza lo stesso Ledda – come il 31 marzo del 2014 decisi, spinto dalla curiosità e dai dialoghi sui temi della storia della Sardegna durante la seconda guerra mondiale, che ancora intrattengo con un gruppo di amici, di recarmi verso la Marmilla. A Collinas incontrai il signor Giuseppe Puxeddu, noto in paese come “Su Reixeddu”: mi disse che proprio a Collinas si erano accampati i soldati tedeschi e che ben volentieri mi avrebbe accompagnato per mostrarmi i luoghi». È così che è partita la ricerca sfociata ora nel libro “1943: i tedeschi in Sardegna”.

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