La Nuova Sardegna

1891-1892. Partita con poche lire e tante idee, La Nuova Sardegna diventò presto "la diffusissima"

di Manlio Brigaglia, 17 marzo 2012
Copie della Nuova Sardegna appena stampate e pronte per la spedizione
Copie della Nuova Sardegna appena stampate e pronte per la spedizione

La sfida di cinque valorosi repubblicani contro i compromessi della vecchia politica

09 novembre 2021
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L'occasione ne non era delle più felici. Dal 1847 (l'anno della «fusione perfetta» con il Piemonte) sino al 1876 (l'anno della «rivoluzione parlamentare» che aveva portato la Sinistra al governo del Paese) Sassari era stata governata da schieramenti di destra. Poi c'era stato un alternarsi dei due «partiti» (quello conservatore, fortemente monarchico, e quello progressista, dichiaratamente repubblicano) e perfino maggioranze dette « di conciliazione», composte di esponenti dei due partiti. Ma alla svolta degli anni Novanta la situazione economica, che aveva conosciuto un lungo periodo di sviluppo in coincidenza con l'intensificazione dei commerci con la Francia, era quasi di colpo sprofondata in una crisi drammatica proprio per la rottura di quei rapporti. Molte attività si erano bloccate, diverse banche (nate un po' frettolosamente nel periodo delle vacche grasse) erano fallite, centinaia di cittadini avevano visto scomparire i propri risparmi. Il Comune era stato commissariato.

Alle amministrative i due capi storici dei due partiti provarono a sperimentare un'altra volta una cosiddetta «lista della concordia» (si chiamava anche «del Politeama», perché nacque da una affollata assemblea nel nuovo teatro, poi intitolato a Giuseppe Verdi). Ma a sinistra (diciamo così) dell'iniziativa un folto gruppo di repubblicani, la seconda generazione d' un movimento che a Sassari era stato forte e particolarmente vivace, rifiutò il compromesso e lanciò una lista tutta propria: la guidavano alcuni fra i più conosciuti avvocati sassaresi, giovani tra i trenta e i quarant'anni, che avevano in comune l'affetto e la devozione per il vecchio patriarca del repubbicanesimo sassarese, Gavino Soro Pirino, alla cui scuola (e in parte anche nel suo studio legale) erano cresciuti imparando la coerenza morale e l'intransigenza politica.

Il Costa li chiama « i cinque valorosi»: erano Filippo Garavetti, da qualche anno deputato di Sassari, Pietro Satta Branca, Pietro Moro, Giuseppe Castiglia, Enrico Berlinguer. Avevano già fatto diverse prove politiche. Erano stati quasi tutti consiglieri comunali, alcuni assessori, due consiglieri provinciali. Avevano deciso di dare vita ad un quotidiano, e perciò avevano messo insieme un comitato ( di cui facevano parte anche Rosolino Satta Branca, Giuseppe Talu, Giuseppe Ponzi, e perfino Michele Abozzi, che sarebbe stato, all'inizio del Novecento, il più grande avversario di Garavetti e del gruppo) e avevano raccolto (a quote da 100 ma anche da 50 e perfino 20 lire) da 72 oblatori 2.472 lire: il giornale, calcolavano, sarebbe costato 3841 lire l'anno, 2500 delle quali versate dalla ditta Gallizzi e Princivalle, che avrebbero assunto l'amministrazione del giornale. Ma l'approssimarsi delle elezioni amministrative accelerò l'uscita della testata, che il 9 agosto apparve come settimanale.

I giornali avevano allora, negli ambiti locali, un'importanza fondamentale. Sebbene lo strumento della propaganda elettorale fosse soprattutto il comizio (Berlinguer parlava in sassarese a porta Sant'Antonio affiancato da Bainzu Unali, il suo popolarissimo uomo di campagna), il giornale raggiungeva praticamente ogni elettore, visto che per votare occorreva anche essere alfabetizzati. A Sassari gli iscritti erano circa 6500, andavano a votare in 5mila: fare un giornale costava, in proporzione, meno di adesso. Si andò alle elezioni, i « giovani» stravinsero. I due capi «conciliati» furono tra i più votati, ma la loro lista fu un fallimento. Dopo poche sedute anche i due «grandi vecchi», Salvatore Manca Leoni e Gavino Soro Pirino, si dimisero dal Consiglio e praticamente scomparvero dalla vita politica.

I « giovani valorosi» passarono subito alla preparazione del quotidiano, che uscì, con lo stesso titolo del settimanale, il 17 marzo 1892. Il titolo della testata era tutto il programma: quella che gli animatori del giornale volevano era una Sardegna «nuova», appunto, capace di mettersi decisamente sulla via del progresso e della modernità. Il nemico da battere era il governo nazionale, spostato da Crispi su posizioni nazionaliste (mentre andava cercando di diventare una potenza coloniale come le altre grandi potenze europee, avrebbe scritto Giulio Bechi, l'Italia aveva una Patagonia a portata di mano, ed era la Sardegna: era lì che andava indirizzata una rinnovata attenzione del Governo). E nemico era l'onnipotente deputato cagliaritano Francesco Cocco Ortu, in quel momento all'inizio di una carriera ministeriale che ne avrebbe fatto uno sponsor potentissimo per il Cagliaritano.

Il giornale ebbe un successo straordinario, una testata fortemente radicata nel suo territorio. Già nel 1893 costrinse alla resa il concorrente «La Sardegna» del barone Giordano Apostoli, che vendette alla «Nuova» macchine e locali in Piazza d'Italia. Un rapporto di polizia a metà degli anni Novanta le accreditava una vendita di 4500 copie, e già prima della fine del secolo gli avversari la chiamavano ironicamente, ma masticando amaro, «la Diffusissima».

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