La Nuova Sardegna

Nato a sassari è morto ieri a 102 anni 

Addio a Vittore Bocchetta, antifascista testimone dell’orrore dei lager nazisti

di Andrea Sini
Addio a Vittore Bocchetta, antifascista testimone dell’orrore dei lager nazisti

Tre settimane fa, in occasione della Giornata della Memoria, aveva aperto per l’ennesima volta lo scrigno dei ricordi della sua vita lunghissima, selezionando tra quelli più antichi e piacevoli il...

20 febbraio 2021
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Tre settimane fa, in occasione della Giornata della Memoria, aveva aperto per l’ennesima volta lo scrigno dei ricordi della sua vita lunghissima, selezionando tra quelli più antichi e piacevoli il sapore dei fichi colti da suo nonno nelle campagne di Sassari. La vita di Vittore Bocchetta, durata 102 anni, si è conclusa giovedì nella sua casa di Verona in maniera forse più serena di quanto non sia trascorsa.

Accademico, scultore, pittore, scrittore, antifascista militante, internato dai nazisti, reduce e uomo eternamente in fuga. Dagli altri, ma soprattutto da se stesso, agitato da un’inquietudine che non lo ha abbandonato neppure in quest’ultimo periodo della sua vita.

«A volte mi chiedono quante vite ho vissuto, o se mi sarei mai aspettato di vivere così a lungo – aveva rivelato pochi giorni fa proprio su queste colonne –. La verità è che sono stato condannato a vivere, e ne ho davvero le palle piene. Dopo tante avventure io pensavo di morire molto prima, ero già vecchio a 60 anni. E invece sono ancora qui. Sono stato un Ghibellin fuggiasco, ho trascorso tutta la vita in fuga, è stato tutto un correre dietro una meta nuova dove potermi rinnovare. E volete sapere cosa ho trovato? Ho trovato merda in tutto il mondo, sempre».

Vittore Bocchetta era nato nel 1918 a Sassari. «Per la precisione in corso Vittorio Emanuele 10», aveva scandito con quell’accento sardo che non aveva perso neppure dopo quasi un secolo vissuto altrove. Padre napoletano, mamma sassarese, visse in quella casa solo pochi anni prima di trasferirsi a Bologna e poi a Verona. Alla morte di suo padre, a 16 anni, tornò a vivere con sua madre in Sardegna, ma a Cagliari. Poi la laurea in Lettere e filosofia conseguita a Firenze e l’inizio dell’impegno antifascista nelle file di alcune formazioni partigiane. Venne arrestato più volte dal regime, partecipò alle operazioni che portarono alla fuga dal carcere veronese di diverse centinaia di militari italiani, imprigionati dai nazisti, e nel 1944 finì su un carro bestiame diretto al campo di concentramento di Flossenbürg.

Le sofferenze, le privazioni, le umiliazioni, le atrocità e la quotidiana lotta con la fame segnarono per sempre la sua esistenza, ma il suo destino non era di morire in un campo di concentramento nazista. Ridotto a uno scheletro di 45 chili, riuscì a scappare durante la “marcia della morte”, raccontata anni dopo in un libro autobiografico. Vagò a piedi per la Germania e al ritorno in Italia, anziché una festosa accoglienza trovò solo indifferenza e addirittura diffidenza nei confronti del suo essere antifascista non allineato. Decise di trasferirsi in Sudamerica, tra il 1949 e il 1958 visse tra Argentina e Venezuela, dove trovò ancora una volta un pessimo clima politico. Nel 1958 approdò negli Stati Uniti e visse a Chicago per quasi trent’anni, dando finalmente libero sfogo alla sua vena artistica. Fu presidente dell’Istituto italiano di cultura di Chicago, realizzò dizionari bilingue e vide le sue opere esposte in mostre di grande successo.

Infine l’ennesima fuga: nel 1989, con tre matrimoni alle spalle, Bocchetta cambiò nuovamente vita e si trasferì definitivamente a Verona, per dedicarsi a diffondere le testimonianze degli orrori del nazifascismo. Nominato presidente onorario della Federazione italiana delle associazioni partigiane, ha continuato sino a pochi giorni fa a raccontare la sua storia. Con lucidità e generosità, nonostante il fatto, mai nascosto, che della vita terrena ne avesse davvero abbastanza.

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