La Nuova Sardegna

Pietro A. Manca poeta che indaga la vita col colore

di MARIA LUISA FRONGIA
Pietro A. Manca poeta che indaga la vita col colore

Da venerdì 5 con la Nuova il libro sull’artista di Sorso che cambiò la pittura isolana

02 marzo 2021
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Non vi è dubbio che Pietro Antonio Manca debba essere considerato uno dei maggiori artisti sardi del Novecento.

Nella sua lunga vita egli ha posto al centro degli interessi la Sardegna, guardata dapprima con occhi rivolti ancora alla tradizione pittorica isolana dei primi decenni del secolo, ma con una visione così ampia e matura che già consente di avvertire i segni di una spiccata personalità che avrebbe poi dato i suoi frutti. A questa considerazione vanno aggiunte le sue doti di critico d’arte: sotto la sua penna, spesso graffiante, sono passati e sono stati accuratamente valutati gli artisti più noti del tempo.

Più tardi, a partire dagli anni Venti, i frequenti viaggi nella Penisola, soprattutto a Roma, Firenze e Venezia, consolidano le sue innate doti artistiche, mettendolo a contatto diretto con le opere di Caravaggio, dei Veneti del Cinquecento, dell’Ottocento italiano a partire dai Macchiaioli, della Scuola Romana, dal 1925 epicentro culturale della Capitale. Approfondisce anche gli studi sul Romanticismo, in particolare quello francese di Delacroix, e sul Postimpressionismo, prediligendo la figura di Cézanne, studi che lo porteranno fino a Kandinsky.

Certo la cultura, la società, la storia, gli usi e i costumi della Sardegna erano sempre presenti e a lui vicini: ne aveva vissuto le speranze, i propositi, la forte volontà di inserimento in un mondo aperto, lontano da una posizione subalterna, alla quale era stato sempre sacrificato. Ma la sua particolare sensibilità, le innovative ricerche lo porteranno a comprendere che la sua terra e il suo popolo non possono più essere descritti secondo schemi e moduli tradizionali, ma necessitano di una nuova concezione dell’operare artistico, con innovative tecniche pittoriche, supportate da un sostrato teorico che ne avrebbe costituito l’intelaiatura e il solido fondamento. Comincia, pertanto, a dare vita a forme di luce e di colore diverse da quelle usate fino ad allora, studiando i grandi teorici, da Newton a Goethe, le concezioni antroposofiche di Rudolf Steiner, apprese attraverso la conoscenza del poeta Arturo Onofri al quale era strettamente legato da una documentata amicizia. Prende forma, così, la sua personale teoria, quella “concezione immaginativa della pittura” della quale il colore costituisce la massima espressione: esplosioni cromatiche costruiscono le forme, «internamente vivificate», perché l’artista, che ha affinato le sue percezioni visive come un “iniziato”, è in grado di penetrare in esse e intuirne il significato e la vita interna.

Allora volti di uomini e donne, scene di vita quotidiana, il mondo del sacro, perfino le nature morte, riescono a trasmettere la loro essenza più profonda, ricreata da Manca che riesce a tradurre anche il folclore tradizionale in «architetture ideali di colore». A poca distanza da Sassari, capoluogo storico della Romangia, la terra dei Romani, i quali vi si erano insediati partendo dalla loro colonia di Turris Libisonis, Porto Torres, nasce Pietro Antonio Manca l’11 gennaio del 1892, da una famiglia di possidenti terrieri. Nel suo paese frequenta le scuole elementari, ma che non fosse portato ad interessarsi delle proprietà di famiglia e che gli stessi genitori intendessero destinarlo a un mondo cittadino, costituito dalla media borghesia, è dimostrato dalla decisione di iscriverlo al collegio del Seminario Tridentino di Sassari.

Il giovane, fin da allora, mostra una estrosa propensione per le arti figurative a scapito di una seria preparazione classica, attesa dai suoi professori, come ha occasione di annotare più tardi lo stesso artista. Da spirito libero quale già era, decide di abbandonare gli studi per avventurarsi alla ricerca di mondi e di stimoli nuovi: nel 1912 si arruola nell’esercito e partecipa da volontario alla guerra di Libia. Ultimate le operazioni, torna in Sardegna, ma l’inquietudine, non ancora incanalata nella ricerca artistica, lo spinge a riprendere la vita delle armi e così partecipa, fin dal suo inizio, nel 1915, alla guerra mondiale, combattendo coraggiosamente nelle prime linee e non sottraendosi a rischiosi corpo a corpo, come in seguito racconterà ai giovani nipoti. Raggiunge il grado di ufficiale nei ranghi della Brigata “Sassari”. Da questi anni comincia a interessarsi al mondo dell’arte e in particolare alla pittura, che gli avrebbe consentito di fissare sulla tela la vita dei suoi conterranei, nell’aspetto più consono alle tradizioni e al mondo del lavoro.

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