La Nuova Sardegna

Il libro di Mario Segni: «Così sono andati i fatti nel luglio del 1964»

Giacomo Mameli
Antonio Segni, presidente della Repubblica e padre dell'ex leader referendario Mario
Antonio Segni, presidente della Repubblica e padre dell'ex leader referendario Mario

«Il golpe, una ricostruzione falsa smentita dalla mia ricerca. Un tentativo di eversione che in realtà non è mai esistito»

15 aprile 2021
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SASSARI. Esce il libro di Mario Segni “Il colpo di Stato del 1964”, sottotitolo “La madre di tutte le fake news” (Rubbettino, pagine 180, 13 euro). Ma da giorni (anche per una documentazione imponente «attorno alla quale – dice Mario Segni – ho lavorato tre anni») le vicende legate al cosiddetto “Piano Solo”, al ruolo di Antonio Segni (allora presidente della Repubblica) per tagliare le gambe al centrosinistra appena nato che voleva sottrarre l'Italia alla cappa democristiana, è diventato un caso politico, giornalistico, storico. Una spy story di più di mezzo secolo fa, «documenti nuovi» che puntano «a smontare un complotto» e dimostrare che «lo scoop giornalistico del secolo non c'era. E presento dati inequivocabili», dice Mario Segni, 81 anni, figlio di Antonio, deputato tra la metà degli anni Settanta e Novanta, parlamentare europeo, ex leader dei referendari.

Il libro è stato al centro dell’attenzione prima di uscire e chissà quanti dibattiti susciterà da oggi. Prepariamoci quindi alla rilettura delle cronache di un passato quasi remoto, a parlare della libertà di stampa in anni difficili per la democrazia, dei giornalisti condannati per quelle rivelazioni, dei ribelli (di sinistra, sindacalisti compresi) da rinchiudere secondo il Piano Solo nell'Alcatraz sarda di Capo Marrargiu. Proprio in questa cala nordoccidentale dell'isola, già dall'autunno del 1956, era sorta una strana base di addestramento definita Stay-Behind. Segni era presidente del Consiglio (6 luglio 1955-18 maggio 1957).

Verrà rispolverato anche il “piano di contingenza” per i possibili scioperi e proteste di piazza, dei poteri da assegnare al generale Giovanni De Lorenzo, allora responsabile Sifar. Un Sifar – prima ancora che si coniasse il binomio “servizi deviati” – che era la nostra Cia, il nostro Kgb, il Mossad tricolore dell'epoca. L'inchiesta di Lino Jannuzzi, pubblicata dal settimanale L'Esepresso, allora diretto da Eugenio Scalfari, non dava scampo. C'erano nomi, cognomi, date. Tra le mura del Quirinale era stato tentato un golpe con la griffe di Segni (Sassari 1891- Roma 1972) e del “generale col monocolo”. Giuseppe Saragat (successore di Segni al Quirinale), parlando qualche tempo dopo col leader della Dc Aldo Moro, avrebbe accusato Segni di aver “tramato” con i vertici dell'Arma dei Carabinieri, come si è potuto leggere nei resoconti di Mimmo Franzinelli, il più informato studioso del Piano Solo (così detto perché solo i carabinieri dovevano partecipare al colpo di Stato).

Dalla sua casa, in pieno centro storico a Roma, Mario Segni non veste i panni – più che comprensibili – del difensore del padre. Ha affidato l'introduzione ad Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea all'Università Cattolica del Sacro Cuore. «Nel libro c’è tutto quello che serve per farsi un’idea chiara di ciò che è veramente accaduto».

Puntualizza Giovagnoli: «Quello che è stato chiamato il “golpe De Lorenzo” non fu un colpo di Stato ma l’assunzione di misure, discutibili fin che si vuole, prese – nel contesto della situazione e della mentalità dell’epoca – per assicurare l’ordine pubblico in caso di gravi disordini e in particolare per garantire lo svolgimento delle elezioni se fossero state convocate anticipatamente. Anche se qualcuno avesse avuto l’intenzione di realizzare davvero un colpo di Stato, il solo coinvolgimento dei carabinieri sarebbe stato del tutto insufficiente. In ogni caso il tentativo non ci fu».

Mario Segni è ancora più netto: «Nel 1964, cioè nell’anno cruciale, il piano non era concretamente attuabile perché non era avvenuto il richiamo dei congedati, non era successo proprio perché il Comando dell’Arma aveva presentato con incredibile lentezza la richiesta di richiamo per i congedati e la bozza del nuovo regolamento per attuarla».

Onorevole Segni: ma esistono molti altri documenti che avvallano la ricostruzione che fece L'Espresso.

«Si cita Aldo Moro, la sua lettera dal carcere Br. Allora rievoco un fatto umano. Mio padre si ammalò ai primi di agosto del 1964. Per tutto quel mese Moro venne a trovarci al Quirinale quasi tutti i giorni. Si fermava a parlare a lungo con noi. Sarebbe andato a casa di chi voleva un golpe? Ma posso aggiungere un altro episodio che sgretola la ricostruzione de L'Espresso?»

Ci mancherebbe.

«Due anni dopo il presunto golpe, il generale De Lorenzo viene nominato capo di Stato Maggiore dell'Esercito. Moro democristiano è primo ministro, Pietro Nenni socialista vice, presidente della Repubblica Giuseppe Saragat socialdemocratico. A quel ruolo apicale viene nominato proprio De Lorenzo. Quei tre statisti designano al vertice delle Forze Armate il militare che due anni prima avrebbe tramato per destituirli con un golpe?»

Lei accusa Scalfari che citava fonti autorevoli. Alcune inchieste giudiziarie hanno dimostrato l'esistenza di quel Piano.

«Scalfari ha organizzato la più gigantesca delle notizie false della storia repubblicana. La sinistra non ha saputo riconoscere gli abbagli presi. Da quello scoop è nato un racconto che ha vinto per vent'anni, puntava a far apparire la Dc come il partito del golpe. Non è stata una forzatura dei fatti ma una falsificazione».

Remo Bodei, scettico sul concetto assoluto di verità, esaltava «la risorsa del dubbio». Ai suoi studenti, parlando dei fatti del 1964, titolerebbe una lezione “La verità sul colpo di Stato del 1964” oppure, più cautamente, “La verità di Mario Segni sul colpo di Stato del 1964”?

«Non ho un solo subbio: la verità sul colpo di Stato del 1964».

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