La Nuova Sardegna

Benigni, il Leone d’oro per il giullare-poeta

di Francesco Gallo
Benigni, il Leone d’oro per il giullare-poeta

Riconoscimento alla carriera dal Festival di Venezia per l’attore e regista: «Il mio cuore è colmo di gioia e gratitudine»

16 aprile 2021
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ROMA . Chissà se al Lido Roberto Benigni camminerà sulle spalliere delle poltrone piene di star come fece, da vero guitto, alla cerimonia degli Oscar nel 1999 nel ricevere il premio come miglior attore per “La vita è bella”, un premio poi andato anche al film come opera straniera.

Certamente però l’attore-regista darà spettacolo, nella Sala grande, nel ricevere il Leone d’oro alla carriera alla 78/a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica (1-11 settembre). «Il mio cuore è colmo di gioia e gratitudine. È un onore immenso ricevere un così alto riconoscimento verso il mio lavoro dalla Mostra di Venezia», questo, per ora, il commento dell’attore regista, classe 1952, che ha avuto una carriera incredibile divisa esattamente in due tra comicità e dramma: dagli inizi come musicista e cantante, agli spettacoli in coppia con Marco Messeri negli anni Settanta fino all’incontro nel 1975 con Giuseppe Bertolucci che scrive per lui il monologo “Cioni Mario di Gaspare fu Giulia”, contadino toscano irriverente e tenero, trasgressivo e comunista fino al midollo. Un personaggio, quello di Cioni, votato inevitabilmente alla trasgressione. È quello che prende in braccio Berlinguer, il 16 giugno 1983; quello che bacia poi la conduttrice Olimpia Carlisi in diretta e, infine, quello che chiama Wojtilaccio il Papa venuto dall’Est, ovvero Giovanni Paolo II. Tra le maschere tv, indimenticabile quella del 1978 a “L’altra domenica” di Renzo Arbore dove è un improbabile critico cinematografico che non sa nulla di cinema ed è in preda agli sberleffi dei tecnici e a una lampada che funziona solo se gli si urla. L’altra vita di Benigni è però dietro la macchina da presa ed inizia nel 1983 con “Tu mi turbi” e, l’anno dopo, con “Non ci resta che piangere”, scritto, diretto e interpretato con Massimo Troisi. Un vero e proprio successo al botteghino con oltre 15 miliardi di lire di incassi. Arriva poi l’esperienza americana di Benigni con tre film diretti dall’amico Jim Jarmusch: “Daunbailò” , “Coffee and Cigarettes” e “Taxisti di notte”. Dal 1987 lavora poi con Nicoletta Braschi, che diventerà sua moglie, con la quale fonda nel 1991 la Melampo Cinematografica che produce film come: “Johnny Stecchino” (1991), “Il mostro” (1994), “La vita è bella” (1997), “Pinocchio” (2002) e “La tigre e la neve” (2005). Come attore poi nel 1990 è nel film di Federico Fellini, “La voce della luna”, e nel 2019 nel ruolo di Geppetto, nel “Pinocchio” di Matteo Garrone.

Da grande comico Benigni mostra, nell’ultima parte della sua carriera, tutta la serietà e la malinconia che ci può essere dietro ogni risata. Così il guitto toscanaccio si toglie a un certo punto della sua vita la maschera popolare e commenta con passione e competenza la Divina Commedia di Dante, il Canto degli italiani, i Principi fondamentali della Costituzione italiana e i Dieci comandamenti biblici. «Sin dai suoi esordi, avvenuti all’insegna di una ventata innovatrice, Benigni si è imposto come una figura di riferimento, senza precedenti e senza eguali – dice il direttore artistico di Venezia Alberto Barbera –. Alternando le sue apparizioni in teatro, cinema e tv con risultati sorprendenti, si è imposto in tutti in virtù della sua esuberanza e irruenza, della generosità con cui si concede al pubblico e della giocosità appassionata che costituisce la cifra forse più originale delle sue creazioni. Con ammirevole eclettismo, senza mai rinunciare a essere se stesso».

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