La Nuova Sardegna

La vita ai tempi del lockdown Perché è giusto conservare la memoria della quarantena

di Eugenia Tognotti
La vita ai tempi del lockdown Perché è giusto conservare la memoria della quarantena

Prossima apertura del museo virtuale curato dal Centro di studi antropologici Sul web manufatti, oggetti d’uso, fotografie, pagine di giornali, dipinti e stampe 

18 aprile 2021
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Manufatti, dispositivi di protezione individuale (tute, mascherine, guanti), oggetti d’uso, disinfettanti, tamponi ecc. Foto di ambulanze, di laboratori, di strutture temporanee, di file davanti al pronto soccorso, di reparti Covid , di medici e infermieri intorno al letto di malati in terapia intensiva. E, ancora: i preti in chiese deserte, senza fedeli; i rappresentanti del Gremio dei viandanti che portano la statua della vergine del Buon Cammino nei reparti Covid dell’Ospedale; l’arcivescovo con walkie talkie a colloquio con i malati al di là del vetro. E, ancora, il primo titolo del giornale La Stampa che l’8 gennaio dà notizia, per la prima volta in Italia, della preoccupazione per “una polmonite atipica” diffusa in Cina. E, quindi, i titoli dei quotidiani sardi che annunciano il lockdown, come avremmo presto imparato a chiamare le misure di confinamento.

E’ solo una parte del materiale che farà parte del Museo virtuale della quarantena a Sassari, attivo tra qualche giorno. Nata nel centro per gli Studi antropologici, paleopatologici e storici dei popoli della Sardegna e del Mediterraneo, dipartimento di Scienze biomediche, l’idea ha preso forma nelle lunghe settimane del lockdown, nella primavera scorsa, con le strade vuote della città di Sassari incessantemente percorse da ambulanze dirette verso la città ospedaliera di viale San Pietro, con i casi di positivi in aumento e un profondo senso di angoscia e di isolamento che pervadeva tutti. L’urgenza di documentare con immagini tutto ciò che stava accadendo, in tempo reale – al pronto soccorso, nei reparti, nei laboratori – ha spinto a documentare l’ esperienza, nel timore di dimenticare ciò che si stava vivendo e che coinvolgeva, in modo diretto o indiretto, buona parte del personale sanitario di Sassari, medici, clinici, infermieri, farmacisti, Oss.

La pratica della quarantena arriva da lontano. L'uso di quaranta giorni di “chiusura” era basato sull'osservazione derivante dalla medicina antica che, trascorso quel periodo, i colpiti dalla peste morivano o guarivano senza pericolo di diffusione della malattia. Per questo le navi che entravano nei porti erano costrette a stare in quarantena se provenienti da luoghi “infetti”. La pratica, che faceva parte di un sistema di misure di salute pubblica – che comprendeva anche i lazzaretti per l’isolamento degli infetti e i cordoni sanitari – è stata utilizzata nei secoli successivi e applicata nei porti del Mediterraneo. Aggiornato di tempo in tempo, è stato messo in campo anche durante l’Ottocento, contro il colera e la febbre gialla. Ed è ricomparso sulla scena nel 2003 durante l’emergenza della SARS. A quarantena e isolamento si sono aggiunti monitoraggio, social distancing e altri mezzi, messi in campo col profilarsi all’orizzonte di nuove minacce di malattie trasmissibili, dall’aviaria all’influenza A.

In assenza di un vaccino mirato e di farmaci, gli interventi preventivi sono, infatti, una scelta obbligata a cui si è fatto ricorso per fronteggiare la catastrofica emergenza sanitaria del Covid-19, una tragedia annunciata da tempo dai virologi, che avevano previsto un numero di vittime vicino a quello della Spagnola del 1918-19. Dopo tanti “al lupo, al lupo”, e nonostante i piani antipandemici dei diversi Stati nazionali, il Coronavirus ha sorpreso il mondo del tutto impreparato. Per interrompere la circolazione era necessario scendere al di sotto di un contagiato per ogni persona positiva. Ma per ottenere questo risultato era necessario un sacrificio impensabile fino alla vigilia dell’arrivo di quel temibile patogeno: restare a casa, applicare rigorosamente il distanziamento sociale, vivere una vita sospesa, interrompere la quotidianità, il lavoro, la scuola, lo scambio sociale.

A Sassari, la comunità cittadina si è adattata alle misure di confinamento: all’osservanza delle file davanti ai supermarket e alle farmacie, alla didattica a distanza, al lavoro in smartworking, alle funzioni religiose sospese, al numero limitato di persone ammesse alle cerimonie funebri, alla cancellazione di rituali e tradizioni. Chiuse nelle case in una città fantasma – in cui un gruppo di cinghiali ha potuto raggiungere Piazza d’Italia, il cuore pulsante della comunità spento dalla pandemia – le persone hanno seguito con apprensione i dati divulgati da giornali ed emittenti televisive sui nuovi casi, sui ricoverati in terapia intensiva, sui decessi nelle residenza per anziani. Nonché le storie di tanti cittadini conosciuti, a cui il virus ha spento la vita, lontano dai propri cari. Per il personale sanitario, ha significato lottare in una sfida senza precedenti come dimostrano le immagini del Museo che documentano la febbrile attività nelle unità di crisi e nei presidi sanitari, l’organizzazione del triage e pre triage, la vestizione e la svestizione del personale sanitario, variamente impegnato negli ospedali, nei pronto soccorso, nelle ambulanze, nei laboratori.

Nella raccolta delle immagini sono stati coinvolti la Aou Sassari, la Facoltà di Medicina e Chirurgia, i dipartimenti e, in particolare, quello di Scienze mediche, chirurgiche e sperimentali dell’Università e l’Unità operativa complessa di anestesia e rianimazione, il cui responsabile, PierPaolo Terragni, ha fornito una raccolta di foto che danno conto del lavoro svolto in prima linea nelle settimane dell’emergenza. La Arcidiocesi ha fornito una serie di foto, suggestive, di chiese e celebrazioni, una delle quali, sul tetto di una Chiesa di Sorso. Molte le foto fatte pervenire al referente del Centro, Alessio Pirino, docente di Anatomia, che si sta occupando, con altri colleghi, dell’organizzazione delle immagini che andranno inserite nel sito museodellaquarantenasassari.it, progettato da Kairos Comunicazione.

Tra le foto pervenute da singoli infermieri una riporta la scritta bene augurante, a colori, “andrà tutto bene”. Mentre un’artista di meritata fama, docente di pittura dell’Accademia delle Belle Arti, Narcisa Monni, ha messo a disposizione alcuni dei disegni a cui ha lavorato durante la quarantena. Dall’archivio personale di chi scrive, infine, provengono le foto storiche, di quarantene del passato, tra cui una ‘fede di Sanità, molto simile alle nostre autocertificazioni.

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