La Nuova Sardegna

Orietta Berti, antidiva della musica: «Covid e festival: che anno»

di ALESSANDRO PIRINA
Orietta Berti, antidiva della musica: «Covid e festival: che anno»

La malattia e poi il successo a Sanremo: la cantante racconta la sua ripartenza

18 aprile 2021
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Dire che è la vincitrice morale dell’ultimo Sanremo non è così azzardato. Basta fare un po’ di zapping in tv per rendersene conto. Orietta Berti impazza da una trasmissione all’altra. Canzoni, duetti, interviste, gag. La cantante emiliana, 78 anni, 16 milioni di dischi venduti, è il personaggio del momento. E Sanremo è stata la sua consacrazione. L’ennesima, bisogna dire, perché il suo successo dura ormai da quasi 60 anni. Una signora della canzone che nonostante la grande popolarità si è sempre presentata come antidiva. Una donna che fa sì un lavoro privilegiato ma nella vita quotidiana è moglie, mamma, nonna.

Orietta, come sta vivendo il dopo Sanremo?
«È andato davvero bene. Sono contentissima. Ho tanto da fare, un sacco di interviste. E poi i video, le foto. A fine mese devo iniziare la promozione del cofanetto con tutti i duetti».

Com’è stato tornare al festival dopo quasi trent’anni?
«Mi hanno mandata per forza e mi sono adattata».

Lei non voleva andare?
«Non era nei miei piani professionali e ho dovuto accelerare tutte le cose. Ma non pensavo che sarebbe andata così bene».

Che Sanremo è stato? È stata anche inseguita dalla polizia per avere violato il coprifuoco.
«Me ne sono capitate di tutti i colori. È stato un Sanremo unico che non ci sarà più. Speriamo, perlomeno. Senza pubblico, senza fiori. In albergo ero sempre in camera. Non potevamo avere contatti con nessuno. Solo on line. Mi preparavo da sola, nella hall mi mettevano un po’ di fard. Poi la macchina della Rai mi portava all’Ariston, ma anche lì i camerini erano chiusi, serviva il permesso anche per andare in bagno. Dietro le quinte però l’Ariston era quello di sempre: fili ingarbugliati e tante scale».

A dicembre lei ha avuto il Covid: che esperienza è stata?
«Non bella. Sei solo, non può venire nessuno a trovarti. Si è ammalato anche mio marito. Ero l’unica donna di casa, dovevo pensare a tutto. E con 9 gatti e due cani molossi ce n’è da fare. Stavo tutto il giorno a pulire. Ma è stato un bene perché così i polmoni hanno ripreso ossigeno».

Ha avuto paura?
«Sa, l’età è quella. Più una tosse che non ti fa parlare e ti toglie il respiro. Per fortuna abbiamo risolto a casa, niente ospedale».

Ha fatto il vaccino?
«Ancora no, perché siamo immuni sino alla fine di maggio. Ma devo chiamare la Asl per capire, perché il mio medico è andato in pensione».

Lei nasce in un paese dell’Emilia: che infanzia ha avuto?
«Bellissima. I miei non erano ricchi, erano operai e in casa non c’era tanta abbondanza. Ma sono sempre stata una bimba coccolata, amata. E vivevo in un piccolo paese, Cavriago, in cui potevo fare quello che volevo. Ne ho combinate tante».

Papà cattolico, mamma comunista: è cresciuta tra acquasantiere e bandiere rosse, per citare il titolo di un suo libro.
«Ai tempi quando c’erano le feste tutti andavano in chiesa. Oggi ci sono molti più svaghi. Allora andare a messa era anche divertimento. Come lo erano i comizi. Ce n’era uno alla settimana. Erano momenti che il partito creava perché servivano a dare speranza per il domani».

Lei era comunista?
«Mia mamma lo era, io ero spesso in tournée e non andavo a votare. E poi noi artisti dobbiamo essere neutrali perché abbiamo un pubblico di tutti i partiti. Le idee sono nostre e basta».

Non rifarebbe più l’endorsement a favore dei 5 stelle?
«Dissi che mi piaceva Di Maio. E lo penso tutt’ora. È una bella persona dentro e fuori».

La sua prima volta sul palco 60 anni fa a un concorso di Voci nuove a Reggio Emilia.
«È lì che ho conosciuto Giorgio Calabrese, il mio pigmalione. Mi ha portato a Milano a fare i provini. Allora ci voleva una persona che ti seguisse, oggi invece avviene tutto alla svelta. Ho firmato un contratto con una casa multinazionale e ho iniziato a lavorare con persone straniere a cui piacevano il bel canto e la melodia italiana».

Da Suor Sorriso a Sanremo: come affrontò il successo?
«Come gli altri che da nessuno diventavano qualcuno. Oggi se non rendi ti mettono subito nel cassetto. Allora ti davano più chance. E poi c’erano tante manifestazioni: Canzonissima, Sanremo, Un disco per l’estate. Tutti vendevamo e quando il lavoro va è meglio per tutti. La mia fortuna è stata essere affiancata da persone che avevano idee giuste. E i risultati arrivavano».

Nel 1967 il suicidio di Luigi Tenco: in un biglietto scrisse che non accettava di essere eliminato da una giuria che preferiva “Io tu e le rose” al suo brano. Quanto ha pesato quella tragedia sulla sua carriera?
«Molto. Ma io non ho mai creduto che quel biglietto lo avesse scritto lui. E come me il fratello e il suo amico Sandro Ciotti. Il biglietto è stato scritto da altri. Ma poi la colpa dell’esclusione di Tenco fu dei giornalisti: avrebbero potuto ripescare il suo brano che adoravano e invece scelsero Gene Pitney. Dalida urlò ai giornalisti: lo avete ucciso voi».

“Finché la barca va”: come nasce questo grande successo?
«Io non ho mai fatto canzoni a caso. Facevo sempre due o tre provini che venivano sottoposti a sondaggio. Venivano mandati nelle fabbriche per farli ascoltare a operai e dirigenti che poi votavano il brano preferito. E io incidevo la canzone arrivata prima. Successe anche con “Finché la barca va”. Io dissi: a me piace più l’altra. Mi risposero: no, tu fai questa. Avevano ragione: ho venduto 9 milioni di dischi».

Quali erano i suoi rapporti con le colleghe di quegli anni. Più amicizia o rivalità?
«Avevamo così tanti impegni che non c’era tempo di imbastire amicizie. Ci si vedeva un attimo dietro le quinte e poi finiva lì. Ma non c’era neanche rivalità. Esisteva solo nei giornali».

Nel 1977 arriva al cinema in “I nuovi mostri” con Tognazzi.
«Girammo d’estate e io avevo tanti impegni. Facemmo il film tra casa mia e i vari locali in cui tenevo le serate. Al pomeriggio le riprese, la sera il concerto».

Grazie a Fabio Fazio è diventata anche una star della tv.
«Mi chiamò per fare l’inviata speciale dallo stadio. All’inizio non ero convinta, ma siamo rimasti insieme per cinque anni. Poi l’ho abbandonato per Costanzo con cui ho fatto altri cinque anni di “Buona domenica”. E ora sono tornata da Fabio».

Nel prossimo numero di Topolino sarà Paperetta Berti: anche i bambini sono suoi fan.
«Me ne sono accorta proprio al tavolo di Fazio. C’era un pubblico giovane che si divertiva con le mie battute, le mie gaffe. Forse i bambini mi seguono perché sono simpatica. E anche perché le nonne cantano loro le mie canzoni. Non si immagina quanti video mi mandano. Le nonne dicono: “il grillo disse un giorno alla…”. E i bambini: “ formica”».

Lei vive a Montecchio: mai tentata da Roma o Milano?
«Non ci abbiamo mai pensato. Qua c’erano mia madre e mia suocera che tenevano i bambini. E poi trasferirsi in città significava stare in un rione, che non è come vivere in un paese».

Quante collezioni ha?
«Ne ho tantissime: acquasantiere, vasi vecchia Parigi, scarpe, borsette. E anche i Puffi».

Sposata da 54 anni, due figli ed è nonna: quanto ha contato la famiglia nella sua carriera?
«Ho sempre viaggiato e lavorato con mio marito. Famiglia e lavoro sono sempre andati di pari passo. Con Osvaldo facevamo il possibile per fare un pranzo con i nostri figli o per dormire a casa. Era un sacrificio, ma era un bene farlo. Oggi i figli ci sono riconoscenti. Ma le nonne ci hanno dato un grande aiuto, hanno allevato i nipoti come figli».

Nell’ultimo album canta l’amore di una mamma per il figlio gay. Sì o no alla legge Zan?
«Deve essere approvata subito, servono più tutele per gli omosessuali. Io ho sempre lavorato con persone gay. A Los Angeles ho una coppia di carissimi amici a cui ho fatto da testimone di nozze con Paolo Limiti».

Sardegna: lavoro o vacanze?
«Ho fatti diversi concerti. E ho girato anche lo spot della Tre. Le vacanze però le faccio sempre in California. Un mese all’anno».

Sanremo: d’accordo con la vittoria dei Maneskin?
«Certo, la loro canzone mi è piaciuta molto. Ma io li conoscevo già da tempo. Sono stata con loro a Zurigo in un locale per Fabio e abbiamo cantato insieme».

Le piacciono i nuovi generi musicali, dal rap alla trap?
«Non sono nuovi, ma vecchissimi. In America ci sono sempre stati come una cosa di protesta. Ora vanno di moda anche da noi. Avranno pensato: se vendono negli Usa venderanno anche in Italia. Ma è una cosa commerciale che non ci appartiene».

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