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Il Gesù di Giosuè Calaciura

Il Gesù di Giosuè Calaciura

Racconta il 2021 con Gesù e con Giuda. Indaga su un “Gesù che si confronta con la marginalità degli ultimi tra gli ultimi”. È Giosuè Calaciura, giornalista di Radio3, scrittore tradotto all'estero,...

30 luglio 2021
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Racconta il 2021 con Gesù e con Giuda. Indaga su un “Gesù che si confronta con la marginalità degli ultimi tra gli ultimi”. È Giosuè Calaciura, giornalista di Radio3, scrittore tradotto all'estero, selezione Premio Campiello, Premio Marco Polo e Presidi del libro “Leogrande”, Prix Méditerranée. Parla dalla sua “casa contadina” di Lèvanzo, trecento abitanti in inverno, tremila in estate, Isole Egadi, cuore del Mediterraneo. Ospite a Perdasdefogu del festival SetteSere SettePiazze SetteLibri ha dialogato col presidente della Cei sarda Antonello Mura e l'ex direttore-mito di Radio3 Marino Sinibaldi.

Lei racconta di un ragazzo irrequieto col "cuore distratto dalle malinconie congenite". Il suo Gesù è l'idealtipo della gioventù di oggi che vive tra poche certezze e tante violenze?

«I più giovani sono gli unici ad avvertire la stanchezza e l'immobilità del mondo. Sentono quanto siano inconciliabili le contraddizioni sociali, il vuoto di giustizia, il consumo come unica e globale offerta culturale. Sono gli unici ad avvertire persino fisicamente, quanto urgente sia la necessità di cambiamento. Lo vedo in mio figlio e nelle mie figlie. Il mio Gesù è uno di questi ragazzi, sensibile per anagrafe, capace di cogliere la malinconia, il dolore del mondo».

Perché è stato cosi evangelico nei nomi? Ci sono Maria e Giuseppe, Nazareth e la Galilea.

«Ma c'è anche Barabba, Lazzaro, Giuda. È stato un ammiccamento, persino un divertimento da condividere con i lettori. Mentre scrivevo mi accorgevo che ogni nome, ogni accadimento mi avrebbe aperto a un universo di complicità condivisa. È un romanzo dove il non detto mi avrebbe immediatamente sintonizzato con i lettori. I vangeli hanno lasciato inevasi gli anni centrali della vita di Gesù. Circa 17 anni: dal bambino dimenticato nel tempio di Gerusalemme sino all'inizio dell'apostolato. Gli evangelisti, per "propaganda" del Cristianesimo nascente, avevano necessità di raccontare un Gesù miracolante e mistico. Mi incuriosiva il suo rapporto con la trascendenza, il sentimento di universale che avvertiamo in noi, l'illusione e la disillusione di non essere dimenticati. Quei "silenzi" dei vangeli hanno lasciato aperta la strada alla mia inventiva».

Le disuguaglianze sono esplose: lo sfarzo dei ricchi, la brutalità che depreda i più deboli. È il mondo prossimo venturo?

«È il mondo che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, e che temo continueremo ad alimentare se i più giovani falliranno come abbiamo fallito noi. Se penso alla bellezza e alla semplicità delle Beatitudini del discorso della montagna, manifesto di una rivoluzione condivisa, necessaria, così inapplicato, svilito nella pratica del governo del mondo mi viene una profonda tristezza e nello stesso tempo la rabbia perché sappiamo abituarci all'indicibile della miseria umana».

Il suo libro è stato commentato, in una chiesa, anche da un vescovo.

«Da quella parte della "barricata", dal mondo cattolico mi è arrivata una curiosità attenta e spesso inaspettata. L'Osservatore Romano e Avvenire, organi dell'ufficialità cattolica, hanno scritto parole bellissime, precise, consapevoli. Così fa fatto monsignor Mura e lo ringrazio. Ha saputo cogliere la mia tenerezza verso questo Gesù umano e fragile, perplesso e indignato, hanno apprezzato la mancanza di ogni intento provocatorio o scandalistico. E, forse, anche lo sforzo di pulizia linguistica, di revisione della mia scrittura nell'intento di trovare la "voce" di Gesù che si racconta in prima persona».

Un filo lega il suo "Gesù" a "Borgo Vecchio", il suo libro del 2017 diventato il miglior romanzo straniero tradotto in Francia.

«La Palestina immaginata somiglia molto alla Sicilia, alla sua polvere, alla sua natura estrema ma capace di profonda dolcezza. Non è soltanto somiglianza geografica. Sicilia e Palestina sembrano condividere gli stessi problemi, la stessa misura dell'ingiustizia e dell'ipocrisia».



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