La Nuova Sardegna

Federico Buffa fa rivivere il Mundial ’82

Alessandro Pirina
Federico Buffa fa rivivere il Mundial ’82

Il giornalista in Sardegna con lo spettacolo sull'impresa degli azzurri di Bearzot

31 luglio 2021
4 MINUTI DI LETTURA





La notte dell’11 luglio 1982 è entrata nella leggenda. L’urlo di Tardelli, i gol di Paolo Rossi, le parate di Dino Zoff, la pipa di Bearzot, l’esultanza del presidente Pertini. E quel «campioni del mondo» urlato a squarciagola e a ripetizione da Nando Martellini. Sono passati quasi quarant’anni, ma la notte del Bernabeu è ancora capace di suscitare grandi emozioni negli italiani. E ora quella serata magica rivive nel racconto di Federico Buffa, giornalista e telecronista, che negli ultimi anni è diventato il più grande divulgatore sportivo. Il Piero Angela dello sport, capace di fare amare il calcio, il basket, la boxe anche a chi non ha mai preso a calci un pallone o indossato un guantone. La sua “Italia mundial” ora sbarca in Sardegna. Buffa, accompagnato al pianoforte da Alessandro Nidi, sarà lunedì ad Alghero, alle 21 a Lo Quarter, e martedì all’Arena Mirastelle di Carbonia, sempre alle 21, due appuntamenti firmati Cedac. Mercoledì, invece, Buffa si sposterà a Olbia, all’Arena Fausto Noce alle 21, dove è ospite della rassegna “Sul filo del discorso”, organizzata dal Comune.

Quello di Federico Buffa, però, non sarà il solito racconto, ma un viaggio a ritroso ricco di notizie inedite e curiosità di cui il giornalista è venuto a conoscenza direttamente dai protagonisti del Mundial.

Buffa, qual è il suo ricordo personale dell’11 luglio 1982?

«È stato il giorno chiave della mia vita. Mi ero fidanzato per la prima volta in maniera seria prima della partita. E subito dopo è arrivata la vittoria degli azzurri. Mi sembrò di vivere una di quelle giornate che passano una sola volta nella vita».

Cosa ha rappresentato per l’Italia quella vittoria?

«L’inizio dello spettacolo è basato proprio su questo. C’è uno specchio rotto che rappresenta la Repubblica italiana dopo quei 10 anni tremendi che furono i Settanta. Ai tempi io ero un liceale a Milano, la tensione era fortissima, più di una volta mi sono ritrovato la pistola della polizia puntata alla tempia. Spesso si dice che a unire la nazione siano fatti che nulla hanno a che fare con la politica. Io non credo che la vittoria di Bartali salvò il Paese dalla guerra civile, ma è bello da dire. E il successo ai Mondiali ’82 ebbe sicuramente qualche effetto su quel magnifico scivolo che furono la seconda parte degli anni Ottanta».

Alla vigilia l’Italia non era affatto tra le favorite.

«Ci credeva solo Bearzot».

Quali furono i principali protagonisti?

«Lo spettacolo è basato proprio su alcuni di questi grandi personaggi. Anche perché nasce da una telefonata che ricevetti nel 2014 quando ero a Capocabana per i Mondiali. Era Marco Tardelli che mi chiamava per dirmi che Paolo Rossi aveva visto “quella cosa sul nostro mondiale” che avevo fatto per Sky. Poi ho sentito tutti i protagonisti di Spagna ’82 e ognuno mi ha rivelato episodi inediti. Graziani mi raccontò la notte di Antognoni infortunato che sperava di giocare la finale. Tardelli non voleva che la figlia appendesse in camera la foto del suo urlo, salvo poi regalargliela con dedica ai 18 anni. Zoff alla vigilia dell’11 luglio stava malissimo e non aveva il coraggio di dirlo ai compagni. Mariella Scirea insieme alla moglie di Zoff ordinavano vagonate di prosciutto e melone per scaramanzia. E così via».

Chi era Paolo Rossi?

«Aveva un nome molto comune, ma era una persona molto speciale. Dopo che è morto ho riletto molte sue interviste. In una raccontò di quando chiese al nonno come avesse fatto l’uomo ad andare sulla Luna. La risposta fu: “Hanno asfaltato la strada e sono andati su”. Ecco, Paolo amava ancora questa visione del mondo».

Ogni volta che l’Italia compie un’impresa si chiama in causa l’82: ci sono più similitudini con il 2006 o il 2021?

«Con il 2006, perché anche in quel caso si era reduci dal calcioscommesse. Di solito quando gli italiani vincono sono gravati di qualcosa di pesante. Quest’anno invece erano di una sorprendente leggerezza. Mancini ha fatto un lavoro favoloso».

Come nasce la sua passione per la narrazione?

«È stata una cosa casuale. Fu il direttore Federico Ferri a spostarmi dal basket al calcio con una visione narrativa. Non ero entusiasta, ma non potevo dire di no all’azienda».

Quale altra storia vorrebbe portare sul palco?

«El Trinche Carlovich. Quando Maradona indossò la maglia del Rosario disse: “non sono io il più forte mancino, quello è El Trinche”. La sua è una storia romanticissima».

Cosa ha provato nel vedere il pianto di Federica Pellegrini?

«Mi ha colpito molto di più la vittoria delle due canottiere. Le due ragazze non le conosco, ma hanno fatto qualcosa di meraviglioso: hanno conquistato l’oro all’ultimo secondo. Mi piacciono di più questo tipo di storie, quelle di cui non si parla mai».
 

In Primo Piano
La polemica

Pro vita e aborto, nell’isola è allarme per le nuove norme

di Andrea Sin
Le nostre iniziative