La Nuova Sardegna

PRIMA NAZIONALE A SENEGHE 

“Siamo tutti cannibali” il Teatro delle Albe rilegge Moby Dick

“Siamo tutti cannibali” il Teatro delle Albe rilegge Moby Dick

«A Seneghe sarà una sfida fare questo spettacolo all’aperto e portare l’oceano sotto una grande quercia, mentre avremo di fronte a noi il Montiferru ferito dagli incendi». Roberto Magnani – attore e...

12 settembre 2021
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«A Seneghe sarà una sfida fare questo spettacolo all’aperto e portare l’oceano sotto una grande quercia, mentre avremo di fronte a noi il Montiferru ferito dagli incendi». Roberto Magnani – attore e regista del Teatro delle Albe di Ravenna fondato da Marco Martinelli e da Ermanna Montanari e che al festival Cabudanne de sos poetas è spesso ospite – parla del suo spettacolo “Siamo tutti cannibali. Sinfonia per l’Abisso” che dà voce e sonorità ad alcuni frammenti del Moby Dick di Herman Melville, con cui si chiuso il Cabudanne de sos poetas.

«“Moby Dick” è stato un’ossessione da quando a vent’anni ho letto il libro ed è stato uno dei miei primissimi esperimenti in seno al teatro delle Albe. Poi è successo che durante i tempi abissali dei due anni di pandemia ho proprio sentito la necessità di riflettere sull’abisso. Perché non ho mai creduto che questo grande libro parlasse della caccia alla balena. Piuttosto è un affondo nell’abisso umano che Melville conosceva bene”, spiega Magnani. «“Siamo tutti cannibali” – aggiunge – è un titolo bellissimo copiato da un testo di Levis Strauss. Al centro dello spettacolo c’è una scena di grande teatralità tratta dal romanzo di Melville nella traduzione di Cesare Pavese. Allo schiavo nero cuoco del Pequod, la nave simbolo dell’America e dell’Occidente alla deriva, viene imposto di fare una predica agli squali che seguono la baleniera per cibarsi del capodoglio che viene trainato. Melville descrive il rumore assordante degli assalti degli squali, la frenesia del sangue e la voracità per cui non distinguono più la preda dal gruppo e cominciano a divorarsi tra loro, arrivando ad addentare persino sè stessi. Questa predica in una lingua barbara diventa un potente messaggio cristiano. Non dovete essere così, dice il cuoco. Se voi squali cambiate il vostro modo di agire potete diventare degli angeli, perché gli angeli in realtà sono squali che hanno cambiato la loro testa».

«È chiaro – dice ancora Magnani – che qui Melville, in un gioco di specchi, si rivolge all’umanità stessa, vista come un mondo di squali. Il gioco di specchi ha a che vedere con il mito di Narciso. Ma ci vedo un parallelo con il teatro. Apparentemente finto in superficie, eppure c’è un affondare nella profondità dell’anima, in tutto ciò che abbiamo di più vero. Paradossalmente a teatro non si può fingere».

Il mare è anche luogo di sfide e di solitudine. Magnani a Senghe era l’unico attore in scena, anche se musica e suoni hanno avuto un ruolo significativo. «Certo, la solitudine di Achab è un punto fondamentale – spiega l’attore –. Ma la navigazione come il teatro si affrontano in squadra. In scena insieme a me c’era un musicista, il contrabbassista Giacomo Piermatti, perché al contrabbasso spetta a dar voce all’intera baleniera, mentre Andrea Veneri ha curato tutta la parte sonora ed elettronica ed Alessandro Bonar insieme a me ha curato luci e allestimento. D’altra parte i miei lavori nascono sempre dentro all’orecchio, all’inizio arriva una allucinazione auditiva e da questi suoni, che vengono dal buio, emergono poi le immagini, che arrivano anche dall’infanzia. “Moby Dick” è un testo in cui si racconta una disfatta, una distruzione, ha a che fare con il fallimento. Però in questo tragico tramonto dell’Occidente si intravvede la prossima alba. In fondo il teatro è questo, un continuo ricominciare da capo, un rinascere. Per me il teatro ha a che fare con il gioco infantile, con un immaginario che affonda le radici nell’infanzia, perché l’infanzia non è un tempo, è un luogo, dove si può sempre tornare».



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