La Nuova Sardegna

Le creazioni di Marras tra cenere e colori parlano di rinascita

di Angiola Bellu
Le creazioni di Marras tra cenere e colori parlano di rinascita

La sfilata virtuale dello stilista algherese presentata con grande successo alla Milano Fashion Week

23 settembre 2021
3 MINUTI DI LETTURA





«Avevo una ferita in fondo al cuore». Il cortometraggio di Antonio Marras che presenta, alla Milano Fashion Week, la collezione Primavera-Estate 2022 è ancora una volta sorprendente. Struggente e poetico, il film racconta in 14 minuti un viaggio attraverso ciò che rimane dopo che quel fuoco estivo ha divorato, insaziabile, il verde millenario della Sardegna. L’impatto delle immagini che ha catturato Marras è forte, anche grazie alla colonna sonora originale, scritta e suonata dalla pluristrumentista Adele Madau e alla voce over di Nada, misteriosa e incantata, che interpreta con il medesimo pathos: «Nada mi ha regalato un suo recitato che ha scritto per questo progetto», ci spiega Marras.

L’incedere lento dei personaggi - sontuosamente vestiti da abiti quasi impalpabili, che esprimono i colori della terra ferita - si contrappone alla velocità della violenza distruttrice che ha messo in ginocchio il piccolo e fragile continente sardo. Nell’incipit le campane di una chiesa ci distolgono dal fuoco passato dove ora cammina una sposa, avvolta nel velo, vestita di un pizzo ecrù che pare dialogare con le pietre che avvolgono il suo incedere. I pizzi degli abiti, delle meravigliose giacche-puzzle cucite da mani sapienti, dei corpetti-reggiseno abbinati ad ampie gonne romantiche, si distinguono e si confondono con i ricami creati dall’intreccio di rami bruciati, secchi fino allo spasimo.

«Questi rami sembrano coralli. È quello che è rimasto dei 750 ettari di bosco e di area protetta. Drammatico e folle», continua Marras. Il canto di Elena Ledda prende il posto delle campane: un lamento tormentoso e dolce, pieno di nostalgia. Un ragazzo in equilibrio su uno spuntone che si staglia verso il cielo indossa una splendida maxicamicia bianca con l’effige ricamata e stilizzata del santo-soldato Lussurgiu, protettore di Santulussurgiu, la location del film. Il filo che fu di Maria Lai è idealmente tra le mani della voce fuori campo che “cuce e risana” la ferita di questi luoghi, sebbene rimanga “in fondo al cuore”.

L’urgenza poetica di Marras è sublime e tradotta in abiti lievi, veli e ricami. Nei colori della terra, nelle gambe nude di un popolo in cammino. La sintonia tra il paesaggio e gli abiti è profonda: «Non avevo pensato la collezione per questo disastro – racconta lo stilista – ma ho usato una stampa nata dalle tele bruciate dall’usura dopo essere state usate a lungo dalle sarte per stirare. Durante il lockdown ci ho lavorato ed è diventata la mia stampa di stagione: anche qui si parte da una bruciatura». Anche i plissè e gli inserti maculati danno anima alla collezione, che sembra nascere dalla cenere del paesaggio. «I colori sono quelli della terra scarnificata – ci conferma Marras – che però dalla ferita riesce a veder spuntare la speranza: forti sprazzi di rosso arrivano per sollecitare un auspicio. I colori, fino all’esplosione delle rose rosse – continua l’artista – sono simbolo di ricrescita, di speranza. Di qualcosa che deve andare avanti».

E mentre il rosso delle rose stampate fa capolino negli abiti leggiadri, una bellissima voce femminile e antica dice: «Sono contenta di tutto...». È quella di Caterina Ecca di Arbus - raccolta da Chiara Floris - immersa nelle sonorità della Madau che dalla Sardegna paiono arrivare sino agli aborigeni australiani che raccontano i sogni. «Caterina dice cose bellissime – commenta Marras – parla di figli e nipoti. Anche questo è un momento di grande speranza».

Incarichi vacanti

Sanità nel baratro: nell’isola mancano 544 medici di famiglia

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative