La Nuova Sardegna

Angius parla del suo film: «Il grido di una bestia ferita»

di BONIFACIO ANGIUS
Bonifacio Angius
Bonifacio Angius

La testimonianza del regista sardo su  “I giganti”, il nuovo film in arrivo nelle sale

17 ottobre 2021
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Dietro la produzione di ogni film si nasconde un mondo. Fatto di mistero, paure, incertezze, inquietudini, ma anche di slanci, coraggio, passione, tenacia e dedizione. Tuttavia la produzione de “I giganti” si lega anche ad altri aggettivi, forse inusuali se si pensa all'omologazione che il cinema ha inevitabilmente subito negli ultimi decenni. L’istinto. L’istintività di non soccombere di fronte alle avversità.

“I giganti” è nato inizialmente come film sostitutivo di un altro progetto che, per via del periodo storico che abbiamo vissuto, si è dovuto fermare. Ho dovuto interrompere la preparazione di un film, ma non mi volevo arrendere. Allora la mente si è attivata cercando di trovare dei compromessi.

Che film si sarebbe potuto realizzare con agilità? Un film che avesse un impianto produttivo apparentemente più accessibile ai limiti e alle restrizioni del momento. Un’opera che si sviluppasse in un unico ambiente. Come avrei potuto portare a termine questo film? Inizialmente ho pensato alle mie capacità artigiane, infatti ho ricoperto quanti più ruoli possibili. Ho fatto il regista, lo sceneggiatore (in stretta collaborazione con Stefano Deffenu), il direttore della fotografa, il montatore e produttore. E dato che uno dei personaggi aveva delle caratteristiche congeniali anche alla mia dote recitativa, ho interpretato un ruolo da co-protagonista.

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Il sogno. Seppur esistesse già un soggetto scritto diversi anni fa e tenuto in un cassetto, il copione è stato scritto con grande rapidità. E con estrema velocità si è arrivati anche alla realizzazione delle riprese. Questo progetto porta con sé la grande possibilità di agire in totale libertà. Libertà creativa e produttiva. Caratteristica che a mio avviso ogni autore sogna fin dall’alba del suo avvicinamento a questo mestiere. Infatti, come tutti sanno, la gestazione di un film, nella media dei tempi produttivi, è solitamente troppo lunga.

Questa caratteristica, legata a fattori finanziari, creare legami tra diverse realtà di finanziamento e di condivisione con più soggetti produttivi, alle volte può essere un grande risorsa. Solo che spesso può anche nuocere alla freschezza di un progetto, alla sua anima di opera d’arte che ha bisogno di essere esternata, urlata, messa a nudo su uno schermo in maniera immediata, evitando di perdere la spontaneità con cui è stata scritta. Tutti gli autori hanno il terrore che i tempi di gestazione della loro opera possano portare a un “invecchiamento” dell’idea iniziale. Per sopperire a questo problema ogni autore attiva un processo di rinnovamento continuo per far sì che ciò non accada. Il sistema produttivo adottato per realizzare “I giganti” ha alleggerito questo timore. Dandomi la possibilità di potermi esprimere con naturalezza. E se è vero che il cinema ha stretti legami con la pittura, dall'idea alla tela, in questo caso il paragone è vicino alla realtà dei fatti. D’altra parte il detto “scrivere con la luce” in questo film ha un riscontro non più solo metaforico, ma inequivocabilmente tangibile. Ed è per questa ragione che ho voluto firmare anche la fotografia. Ragione dettata dalla necessità di poter interagire con la materia filmica con pochissimi intermediari. Dove il rapporto tra luci e ombre è dettato dalla cura scenografica maniacale di Salvatore Angius e Luca Noce che hanno riportato sullo spazio, pareti, materiali d’arredo e paletta cromatica, quella decadenza voluta dallo sguardo dell’autore.

Auto sabotaggio. Mi piace anche definire questo racconto come fosse l’opera filosofica scritta da un cialtrone che nel maldestro tentativo di un auto sabotaggio, con la volontà di distruggere definitivamente la mascolinità italiota, disprezzandola e mostrandola in tutto il suo immenso squallore e fragilità, decide, con un solo pensiero, di distruggerla definitivamente.

Questo film, infatti, è un attacco al maschilismo in tutte le sue forme sbilenche. Quest’opera è un omaggio alla figura femminile. Dove, nell’assenza e per l’assenza della figura femminile, esplodono le aberrazioni dell’umanità. Questo era quello che il mio sguardo voleva mostrare sullo schermo.

Proprio per salvaguardare il mio sguardo ho deciso, visto che l’impianto narrativo lo permetteva, di operare attraverso il supporto di una troupe ridottissima. Dove la capacità di maestranze esperte si contrapponeva alla presenza di giovani elementi che hanno fuso la verginità del loro approccio al mondo del set, in una sinergia che ha accompagnato la realizzazione del film con uno sguardo libero da preconcetti e che si fondesse con la nascita di un progetto avventuroso, con uno sguardo antico sulla visione più pura di un’esperienza indimenticabile. Dove la paura di sbagliare, quell’ansia da prestazione, facesse esplodere nella squadra di lavoro quel sogno a cui noi, nonostante tutto, crediamo ancora. Il cinema.

Gioia di creare. Un’operazione produttiva volta a sfamare in anticipo le terribili e talvolta umilianti gavette, e che invece nutriva e approfittava della fame di conoscenza di donne e uomini, senza che gli venisse mostrata la faccia spietata di questo mestiere. Dando la possibilità di misurarsi e di esprimersi solo attraverso la gioia di creare un universo parallelo. La squadra di fotografia è stata formata all’interno di un corso di cinema realizzato da me stesso. E proprio per quella gioia, sana e infantile, ha preso il nome di Ascaso Dreams. Francisco Ascaso, storico anarchico assassinato dai fascisti durate la guerra di Spagna. Per avere quella libertà anarchica, non politica, ma strettamente artistica.

Credo fermamente che “I giganti” sia un’operazione non facilmente ripetibile perché le congiunzioni astrali che hanno portato alla sua realizzazione sarà difficile che si ripetano nel futuro. Penso che quell’urgenza, folle, impulsiva, ma nello stesso tempo lucida e compatta, sia venuta fuori attraverso una forza propulsiva e quasi animalesca. Dove tutta la squadra che ha collaborato alla realizzazione del film si possa identificare in una bestia ferita che è pronta a mettere in atto qualunque cosa pur di restare in vita.

Sala buia. Ma per avere vita un film ha bisogno di una cosa molto importante, quella cosa siete voi. Il pubblico. Il pubblico il cui volto si illumina davanti ad uno schermo in una sala buia. Di quell’esperienza collettiva di cui oggi abbiamo estremamente bisogno. Emozionarci insieme ancora una volta. E non voglio sembrare un opportunista proprio adesso, dopo tutto lo sforzo fatto. Ma il fatto è solo uno. Un’opera cinematografica, per sopravvivere, ha bisogno solo di voi. Esseri umani perduti, come me, in un mondo che faticano a capire.

Quando mi hanno chiesto se avessi voluto proporre il film per il premio Oscar 2022, sinceramente, mi è venuto da ridere. Però quella risata era sarcastica, perché in cuor mio so che una possibilità, in realtà, dovrebbe avercela. Ma questo, ovviamente, non posso dirmelo da solo.

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