La Nuova Sardegna

«Oggi: il momento della verità contro fake pericolose»

di Paolo Curreli
«Oggi: il momento della verità contro fake pericolose»

La giornalista premiata a Castelsardo parla di un’epoca molto delicata per l’informazione

08 novembre 2021
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«Un talento giornalistico che ha fatto della competenza e della preparazione la sua forza, due caratteristiche sempre unite all’immancabile eleganza e ricercatezza nel vestire, entrambi corrispondenti a un’eleganza professionale quasi unica». Uno stralcio dalla motivazione del Premio Giornalistico Castelsardo che è stato assegnato domenica a Giovanna Pancheri. Se “l’eleganza nel vestire” potrebbe apparire superflua per descrivere il reporter, rende invece, in questo caso, l’idea del distacco, “delle notizie separate dalle opinioni”. Così Giovanna – nelle sua trascinante carriera iniziata da giovanissima – nei suoi perfetti outfit ha raccontato dal 2006 con preciso distacco e molte esatte informazioni anni significativi per il mondo da Bruxelles a Parigi, New York e Londra. Incrociando la crisi dei migranti, il terrorismo nel cuore dell’Europa e, le più incredibili elezioni Usa degli ultimi anni.

Un giornalismo tra due mondi quello anglosassone e quello italiano. Due universi e due stili quanto, ancora, diversi? «Esistono differenze, negli Usa il referente finale è il lettore, in fondo il popolo – risponde Pancheri –. Non esiste l’idea di una par condicio come l’intendiamo noi ma, piuttosto, di schieramenti definiti e subito riconoscibili».

Differenze esplorate nell’ultimo suo libro: “Rinascita americana. La nazione di Donald Trump e la sfida di Joe Biden”...

«Sì nei miei anni americani sono rimasta molto colpita da quanto i principali media fossero profondamente parziali, in un senso o in un altro. Certo io ho coperto una presidenza davvero sui generis come quella Trump, però questa è una costante che rimane. L’informazione di tipo europeo insegue un equilibrio a livello politico sempre difficile da ottenere, questo porta al rischio di prediligere le opinioni e che quindi perdere un po’ il senso della missione reale dell’informazione. Io credo che questo sia un limite, in tutt’e due i casi, io interpreto la parola media nel significato che viene dal latino: strumento. E credo che il compito del nostro mestiere sia quello di essere “strumento” per avvicinare il pubblico alle piccole storie e ai grandi avvenimenti. Ho un po’ l’idea che noi giornalisti siamo una lente di ingrandimento, abbiamo un accesso privilegiato a determinate vicende. Il nostro compito è permettere di vedere, a chi ci legge o ci guarda più da vicino, cosa accade».

La lente americana e quella italiana?

«Ecco negli Usa questa lente diventa un prisma dalle molte facce, mentre in Italia abbiamo una nutrita schiera di opinionisti, e io credo che siano dei mestieri in parte differenti. C’è una certa sudditanza nei confronti della politica, per me troppo forte e una violenza esacerbata nei confronti dei giornalisti che non ho visto da altre parti. Naturalmente la maggioranza dei colleghi lavora con serietà e impegno».

Viviamo un momento di scarsa sintonia con i lettori per via delle fake news”?

«Viviamo un momento in cui le fake hanno mostrato tutta la loro debolezza e pericolosità, nel senso che se parliamo di pandemia mettono in pericolo la vita umana. Mentre l’informazione seria resiste: è il momento del giornalismo di qualità sempre che riesca a limitare la sudditanza nei confronti del potere».

Mentre Giovanna Pancheri come ha risolto questo labile confine?

«In tanti anni passati all’estero ho avuto la ventura di occuparmi di vicende che hanno veramente cambiato la storia ma anche la vita delle persone: il terrorismo in Francia, la Brexit, la crisi dei migranti. Ho sempre tentato di tenere distanti i fatti dalle opinioni. Non perché io non abbia opinioni, ma perché il mio scopo è farmi ascoltare anche da chi non la pensa come me. Chi si trova un giornalista schierato dubita della verità del suo racconto o magari cambia canale. Se invece conquisti la sua fiducia raccontando i fatti, dando i numeri puri e semplici, offri gli strumenti per cambiare o formarsi una propria opinione. In fondo credo nell’intelligenza dell’umanità».

C’è un momento particolare del suo lavoro in cui questo è apparso chiaro?

«C’è stato un episodio che chiarisce bene il lavoro del giornalista e che vorrei ricordare perché riguarda una grande statista: Angela Merkel. A cui mi piace rendere omaggio raccontando questo aneddoto. Era un consiglio d’Europa particolarmente delicato e in genere alle conferenze stampa le domande che gli venivano poste riguardavano la politica europea e non i casi interni dei paesi. Un giornalista si alzò e pose una domanda su uno scandalo interno al partito della Merkel: “signora cancelliera so che non è la sede ma devo porgli una domanda sullo scandalo del suo partito”, Angela Merkel rispose: “non si deve scusare il suo mestiere è porre domande il mio dare delle risposte”. Questo è il rapporto che la stampa deve avere con il potere e quando attacca il potere deve abbandonare il sensazionalismo, parlare dei fatti. Le cose sono vere o false al di fuori degli schieramenti, anche dei nostri».

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