La Nuova Sardegna

1926. La Nuova strangolata dal fascismo

La prima pagina della Nuova del 21 gennaio 1926, poco prima della chiusura
La prima pagina della Nuova del 21 gennaio 1926, poco prima della chiusura

Minacce, soprusi, sequestri: il direttore Arnaldo Satta Branca decide la chiusura che durerà fino al 1947

09 novembre 2021
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Il giorno più nero (ma anche più luminoso) nella storia ultrasecolare della Nuova Sardegna è il 22 gennaio del 1926 quando il giornale sparisce dalle edicole per il rifiuto di sottomettersi al fascismo. Facendo appello alle leggi sull'ordine pubblico, nel giro di pochi giorni il prefetto ha sequestrato il quotidiano 17 volte; le squadre dei diversi centri della provincia aspettavano alla stazione i pacchi per bruciarli appena sbarcati dal treno. Il numero che annuncia la chiusura del giornale ha l'intera prima pagina provocatoriamente tappezzata di illustrazioni pubblicitarie, mentre gli abbonati ricevono dal giovane direttore e comproprietario Arnaldo Satta Branca una lettera con una promessa solenne: «Quando la bufera che sovverte i più essenziali valori della nostra civiltà moderna sarà placata risorgerà questo giornale che voi, amici, amate, che la Sardegna ama e che noi vediamo abbattuto per un momento con la stessa angoscia con cui vedremmo soggiacere una persona cara a un agguato». Ma bisognerà aspettare più di ventun anni, fino al 1947.

Tra il 1922 e il 1923 il direttore della Nuova, Medardo Riccio, e un altro degli storici fondatori del giornale, Pietro Satta Branca (personaggio eminente della città, di cui era stato sindaco nel primo decennio del Novecento e poi, dal 1913, anche deputato radicale), avevano assunto posizioni apertamente filofasciste. Nel 1923 la direzione della Nuova passa al figlio di Satta Branca, Arnaldo, che sino ad allora ha esercitato la professione di avvocato a Roma, dove è diventato amico di intellettuali e di politici di prima grandezza come Emilio Lussu e Gaetano Salvemini. Antifascista a tutto tondo, il nuovo direttore schiera il giornale su una linea di netta opposizione al regime. Alle elezioni del 6 aprile 1924 La Nuova appoggia l’avvocato Mario Berlinguer, figlio di uno dei fondatori del giornale, Enrico, e padre del futuro leader del Pci. Ed eccoci al fatale 1926. Ai primi di gennaio si tiene a Sassari il congresso provinciale del Partito nazionale fascista, che in città, per fare concorrenza alla Nuova, aveva nel frattempo aperto un giornale amico, L’Isola. Tutti i delegati si scatenano contro Arnaldo Satta Branca e contro la sua redazione. Il 21 gennaio, dopo un sequestro di tre giorni, l’ennesimo, disposto dal prefetto, La Nuova manda in edicola il suo ultimo numero prima della lunga notte fascista.

Solo il 27 aprile 1947 i sassaresi (e non solo) ritroveranno il loro giornale. È proprio Arnaldo Satta Branca a dirigere La Nuova Sardegna “risorta”: resterà al timone fino al 1970. Il passaggio dal regime fascista alla democrazia è un periodo di risveglio, di rinnovamento politico-culturale, di nuova domanda d'informazione, in un contesto che vede scomparire dalla scena alcune testate, comparirne di nuove, rinascerne altre, affacciarsi alla ribalta periodici, fogli di militanza e propaganda politica, numeri unici stampati in occasione di convegni di partito, organi di discussione letteraria e di costume. La Nuova Sardegna del 1947 era abbastanza “ nuova” anche rispetto al suo primo periodo, cioè dall'uscita come quotidiano il 17 marzo del 1892 fino allo stop di 34 anni dopo. E lo era almeno per due motivi. Il primo è che nelle linee di programma si disegnava un giornale indipendente, in cui la «diuturna opera» dei redattori» si sarebbe svolta «al di fuori e al di sopra delle competizioni ispirate a passione di parte, a tendenze politiche»: niente a che vedere con il piglio radicale della Nuova di Pietro Satta Branca, che polemizzava non solo con il governo e con il prepotente Cocco Ortu ma anche con i ringhiosi prefetti di Pelloux. La nuova fase aperta nel 1947 fa emergere una nuova leva di giornalisti, pubblicisti, intellettuali, molti dei quali, appartati negli anni del regime, tornano all'agorà accanto a una nuova schiera che entra sulla scena pubblica, assumendosi responsabilità, militando in partiti, associazioni, movimenti d'opinione, «prendendo parte».

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