Giuseppe Cederna: «Sono l’eterno “tartufo” in agguato anche oggi»
di Alessandro Pirina
L’attore da domani a Cagliari con l’opera di Molière «La lezione di mio padre e l’Oscar per Mediterraneo»
09 novembre 2021
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Giuseppe Cederna ritorna in Sardegna - la sua amatissima isola visto che la madre era originaria di Isili e la compagna Alessandra è di Cagliari con il “Tartufo” di Molière, ma viene davvero difficile circoscrivere l’intervista al solo spettacolo targato Cedac che andrà in scena da domani a domenica al teatro Massimo di Cagliari. Parlare con Cederna significa ricordare l’impegno politico del padre Antonio, la passione giornalistica della zia Camilla, l’Oscar di “Mediterraneo”, l’amore per il cinema e la scrittura.
Cederna, il Tartufo è il personaggio emblema dell’ipocrisia nell’opera di Molière: quanto è attuale?
«Il tartufo è sempre in agguato dentro di noi. È facile dire che il tartufo è il politico che fa il marpione o il dirigente d’azienda furbo. Le cronache sono piene di tartufi di basso cabotaggio. Basta che uno abbia un piccolo ruolo di potere ed ecco che il tartufo è in agguato, pronto a farsi beffe della fiducia degli altri».
Chi è il Tartufo in scena?
«È un personaggio molto divertente, intelligente, misterioso, capace di usare le parole per raggiungere i suoi scopi. A un certo punto spunta in una casa italiana della fine degli anni ’60 ed entra in una famiglia in cui ci sono un padre che si sente esautorato e una moglie un po’ annoiata. In questo contesto di debolezza del padre di famiglia e di povertà di relazioni si insinua questo personaggio misterioso che colma le insicurezze del marito come uno psicanalista, come un guru. Approfitta di questa situazione per acquistare potere. Ma essendo anche lui uomo di sentimenti si innamora della carne di questa donna, vuole possederla. Ma proprio la bellezza della donna, l’intelligenza del corpo femminile gli faranno perdere il suo potere».
Qual è la reazione del pubblico al Tartufo?
«Il pubblico si diverte, ma c’è anche qualcosa che gli rimane sullo stomaco. Nello spettacolo si ride molto e questo è merito del regista Roberto Valerio (che interpreta anche il capofamiglia Orgone, ndr), davvero bravo nel mantenere nera la commedia. Ma il fatto che la gente rida è fonte del successo».
Al suo fianco c’è Vanessa Gravina.
«Una partner di eccezione. Una donna intelligente e curiosa nonostante la bellezza. Vanessa difende la bellezza con intelligenza: una bella donna di vita».
In una società piena di tartufi come ci si difende?
«Io sono figlio di Antonio Cederna (giornalista e politico, ndr), che ha combattuto i tartufi dagli anni ’60 ai Novanta. Quarant’anni di lotta al tartufo riuscendo a vincere tante battaglie. Lui diceva: io non sono solo. E aveva ragione: lui era il più conosciuto ma intorno a sé aveva tanti gruppi di cittadini onesti».
Come presero suo padre Antonio e sua zia Camilla la scelta di diventare attore?
«Io ho cominciato nel 1977 come clown di strada. Capelli lunghi, orecchino, salopette. Ho iniziato a scrivere e sono entrato nella compagnia Anfeclown. La nostra prima tournée fu a Cagliari in un piccolo teatrino: tra il pubblico c’era un amico di questo teatro, il futuro regista Enrico Pau. Mio padre e mia madre reagirono con curiosità, mi incoraggiarono per questo mio modo diverso di raccontare le inquietudini del Settantasette. Paradossalmente mia zia Camilla era la più preoccupata. E infatti vent’anni dopo ho scoperto che chiese al suo amico Enzo Jannacci di farmi un provino al contrario, di stroncarmi. Ma quando feci il provino Jannacci rimase colpito dalla mia follia e disse a mia zia che ero fatto per questo lavoro. E lei divenne la mia prima fan».
L’incontro con Gabriele Salvatores: dal teatro al cinema.
«Ci siamo conosciuti al Teatro dell’Elfo e insieme abbiamo fatto “Sogno di una notte d’estate”, musical con le musiche di Mauro Pagani. E anche in questo caso ricordo una grande tournée sarda. Poi sono arrivati i film».
Soprattutto “Mediterraneo”.
«Trent’anni dopo io sono ancora quello di “Mediterraneo”. Ma di questa cosa io ne vado fierissimo. È stata una fortuna, una bandiera da portare altissima. Io posso dire: “avete a cena uno che ha vinto l’Oscar” (ride). Ma c’è anche un altro aspetto. Mio padre era anche archeologo e mi portava sempre nelle isole greche. E grazie al film io ho saldato il mio rapporto con il Mediterraneo. Ogni estate torno nell’isola del film e resto un mese. È il mio luogo del cuore. Il film mi ha regalato una terra che quando arrivo mi accoglie come un figlio. È stato un regalo della vita».
Lei è uno degli attori della generazione Novanta, quella della rinascita del cinema italiano: come sta oggi la settima arte?
«Vive un buon momento. Ci sono registi bravi, film che meritano di essere visti. Penso ad “Ariaferma” di Di Costanzo. Giovedì poi esce “3/19” di Silvio Soldini in cui ho una piccola parte. Lo scorso anno ho avuto un piccolo ruolo in “Hammamet” di Gianni Amelio. Tre minuti che mi sono valsi la nomination ai David. Vuole dire che Amelio è un regista che scrive scene piccole che così piccole non sono. Ecco, io mi sento fortunato, un attore libero, un po’ autarchico, ma capace di tessere relazioni con attori e registi. E anche ora sto lavorando su molte cose che mi piacciono».
Cederna, il Tartufo è il personaggio emblema dell’ipocrisia nell’opera di Molière: quanto è attuale?
«Il tartufo è sempre in agguato dentro di noi. È facile dire che il tartufo è il politico che fa il marpione o il dirigente d’azienda furbo. Le cronache sono piene di tartufi di basso cabotaggio. Basta che uno abbia un piccolo ruolo di potere ed ecco che il tartufo è in agguato, pronto a farsi beffe della fiducia degli altri».
Chi è il Tartufo in scena?
«È un personaggio molto divertente, intelligente, misterioso, capace di usare le parole per raggiungere i suoi scopi. A un certo punto spunta in una casa italiana della fine degli anni ’60 ed entra in una famiglia in cui ci sono un padre che si sente esautorato e una moglie un po’ annoiata. In questo contesto di debolezza del padre di famiglia e di povertà di relazioni si insinua questo personaggio misterioso che colma le insicurezze del marito come uno psicanalista, come un guru. Approfitta di questa situazione per acquistare potere. Ma essendo anche lui uomo di sentimenti si innamora della carne di questa donna, vuole possederla. Ma proprio la bellezza della donna, l’intelligenza del corpo femminile gli faranno perdere il suo potere».
Qual è la reazione del pubblico al Tartufo?
«Il pubblico si diverte, ma c’è anche qualcosa che gli rimane sullo stomaco. Nello spettacolo si ride molto e questo è merito del regista Roberto Valerio (che interpreta anche il capofamiglia Orgone, ndr), davvero bravo nel mantenere nera la commedia. Ma il fatto che la gente rida è fonte del successo».
Al suo fianco c’è Vanessa Gravina.
«Una partner di eccezione. Una donna intelligente e curiosa nonostante la bellezza. Vanessa difende la bellezza con intelligenza: una bella donna di vita».
In una società piena di tartufi come ci si difende?
«Io sono figlio di Antonio Cederna (giornalista e politico, ndr), che ha combattuto i tartufi dagli anni ’60 ai Novanta. Quarant’anni di lotta al tartufo riuscendo a vincere tante battaglie. Lui diceva: io non sono solo. E aveva ragione: lui era il più conosciuto ma intorno a sé aveva tanti gruppi di cittadini onesti».
Come presero suo padre Antonio e sua zia Camilla la scelta di diventare attore?
«Io ho cominciato nel 1977 come clown di strada. Capelli lunghi, orecchino, salopette. Ho iniziato a scrivere e sono entrato nella compagnia Anfeclown. La nostra prima tournée fu a Cagliari in un piccolo teatrino: tra il pubblico c’era un amico di questo teatro, il futuro regista Enrico Pau. Mio padre e mia madre reagirono con curiosità, mi incoraggiarono per questo mio modo diverso di raccontare le inquietudini del Settantasette. Paradossalmente mia zia Camilla era la più preoccupata. E infatti vent’anni dopo ho scoperto che chiese al suo amico Enzo Jannacci di farmi un provino al contrario, di stroncarmi. Ma quando feci il provino Jannacci rimase colpito dalla mia follia e disse a mia zia che ero fatto per questo lavoro. E lei divenne la mia prima fan».
L’incontro con Gabriele Salvatores: dal teatro al cinema.
«Ci siamo conosciuti al Teatro dell’Elfo e insieme abbiamo fatto “Sogno di una notte d’estate”, musical con le musiche di Mauro Pagani. E anche in questo caso ricordo una grande tournée sarda. Poi sono arrivati i film».
Soprattutto “Mediterraneo”.
«Trent’anni dopo io sono ancora quello di “Mediterraneo”. Ma di questa cosa io ne vado fierissimo. È stata una fortuna, una bandiera da portare altissima. Io posso dire: “avete a cena uno che ha vinto l’Oscar” (ride). Ma c’è anche un altro aspetto. Mio padre era anche archeologo e mi portava sempre nelle isole greche. E grazie al film io ho saldato il mio rapporto con il Mediterraneo. Ogni estate torno nell’isola del film e resto un mese. È il mio luogo del cuore. Il film mi ha regalato una terra che quando arrivo mi accoglie come un figlio. È stato un regalo della vita».
Lei è uno degli attori della generazione Novanta, quella della rinascita del cinema italiano: come sta oggi la settima arte?
«Vive un buon momento. Ci sono registi bravi, film che meritano di essere visti. Penso ad “Ariaferma” di Di Costanzo. Giovedì poi esce “3/19” di Silvio Soldini in cui ho una piccola parte. Lo scorso anno ho avuto un piccolo ruolo in “Hammamet” di Gianni Amelio. Tre minuti che mi sono valsi la nomination ai David. Vuole dire che Amelio è un regista che scrive scene piccole che così piccole non sono. Ecco, io mi sento fortunato, un attore libero, un po’ autarchico, ma capace di tessere relazioni con attori e registi. E anche ora sto lavorando su molte cose che mi piacciono».