La Nuova Sardegna

1962-63. Il boom sardo: i soldi del Piano di rinascita

di Salvatore Tola
10 maggio 1962: una puntata dell'inchiesta della Nuova Sardegna su come spendere i miliardi del Piano di rinascita
10 maggio 1962: una puntata dell'inchiesta della Nuova Sardegna su come spendere i miliardi del Piano di rinascita

L'inchiesta a puntate della Nuova: come spendere tutti questi miliardi? I lettori propongono di investire soprattutto in istruzione, strade e case

29 novembre 2021
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Una delle più forti garanzie per l’approvazione del Piano di rinascita era il “peso” di Antonio Segni, che aveva rivestito ruoli sempre più importanti nel Governo; e ne era a capo quando fu portato a termine il « Rapporto conclusivo»; poi, dopo l’intermezzo del governo Tambroni, l’iter fu ripreso da quello presieduto da Fanfani, nel quale il politico sassarese era ministro degli Esteri. E mentre Segni tornava in città dopo essere stato eletto presidente della Repubblica, arrivava da Roma la notizia che la Camera aveva approvato il progetto di legge. Era il maggio 1962, un maggio radioso per i sardi che sognavano di vedere l’isola entrare nel boom che il Nord Italia aveva avviato da qualche anno.

La “centrale” per la discussione sul Piano era la rivista Ichnusa, nata insieme all’autonomia regionale, nel 1949. Sospesa nel 1952, aveva ripreso nel ’56 chiamando gli intellettuali all’impegno sulla Questione sarda; per entrare nel 1960 in una terza fase in cui proponeva di studiare il « rapporto tra rinascita e democrazia, tra autonomia e rinascita». Secondo il direttore Antonio Pigliaru il Piano stava per mettere «tutti con le spalle al muro» e per chiamare il mondo della cultura a «disalienare la società sarda, promuovendone il riscatto dall’interno». Il tema rimase al centro dei numeri successivi, sino all’ultimo (1964) in cui i più competenti rispondevano a «sei domande sulla politica di rinascita».

Nel frattempo La Nuova, dopo aver seguito il percorso della legge, dava notizia delle prime novità che arrivavano dal mondo le turismo: mentre Olbia progettava il potenziamento del suo aeroporto, a Cala di Volpe l’Aga Khan inaugurava una foresteria; e proprio nel maggio del 1962 condusse sull’argomento un’inchiesta tra il pubblico, incentrata su due domande: «Conosce il testo della legge sul Piano di rinascita?»; «Da dove comincerebbe?». Le risposte, mezza dozzina per volta, vennero raccolte a ritmo quasi quotidiano fino a giugno: centinaia di osservazioni, pareri, proposte che dicono molto sul clima umano e sociale di quel tempo nell’isola. Per quanto gli intervistati fossero scelti in tutte le categorie, si nota un buon livello di informazione; e la capacità di cogliere i temi a carattere più generale.

Ci furono soltanto tre barbieri di Sassari che chiesero interventi per la loro categoria, «esclusa da ogni forma di assistenza»; ma per il resto si nota la tendenza, pur partendo da un proprio ambito, ad allargare il discorso. Alcuni elencavano i settori fondamentali dell’economia, altri ne indicavano uno: Ariuccio Carta, allora avvocato a Nuoro, proponeva di privilegiare quello «dell’allevamento, in particolare del bestiame ovino»; due commercianti di Thiesi e un manovale di Pattada paravano dell’importanza dell’industria; e mentre il torronaio Giuseppe Sau di Tonara proponeva di lavorare in Sardegna i minerali che venivano esportati grezzi, il fotografo Nello Di Salvo, intuendo il futuro della sua città, Olbia, sosteneva che bisognava puntare sul turismo.

Molti insistevano sulla necessità di potenziare la scuola, e collegarla col mondo del lavoro attraverso l’istruzione professionale e le specializzazioni. Ma colpiscono due richieste più specifiche che tornano con insistenza: strade e case. Non si pensava ancora ai collegamenti con la penisola ma a rimediare all’isolamento delle zone interne, e quindi erano in molti a vedere nella costruzione di nuove strade la condizione di partenza per ogni altro sviluppo. Mentre da chi conosceva le condizioni di vita delle famiglie – specie i medici – veniva la richiesta di «dare anche alla povera gente delle abitazioni con tutti i servizi». Nel corso dell’inchiesta qualcuno, come il bibliotecario Corrado Vitali, raccomandò che la gestione dei fondi venisse affidata a «uomini di preparazione tecnica ed amministrativa», ma anche «puri»; e qualcun altro approfittò per polemizzare: l’avvocato nuorese Gabriele Manca proponeva senza mezzi termini di «liquidare la Regione» per distribuire ai Comuni i denari che si sarebbero risparmiati eliminandone «l’impalcatura burocratica».

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Passerà quasi un anno dall’approvazione in Parlamento prima che il Piano di rinascita della Sardegna venga definito nei dettagli con la votazione da parte del consiglio regionale del «programma dodecennale» e del «primo programma esecutivo». Una seduta «movimentata» – come la definisce il titolo in prima pagina dell’11 maggio 1963 – a causa di una polemica tra il consigliere socialista Zucca e il presidente dell’assemblea regionale, Cerioni. Racconta il giornalista della Nuova: «Poco prima Zucca, rivolto ai consiglieri del gruppo democristiano, aveva detto: “Mi fate tutti schifo”».

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Il merito di avere per primi pensato a un piano di rinascita spetta ai deputati sardi alla Costituente che, mentre si discuteva il nuovo Statuto per approvarlo entro il termine del 31 gennaio 1948, riuscirono a far introdurre il fondamentale articolo 13: «Lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola». Suonava come una grande promessa, ma ci si rendeva conto che per ottenerne l’attuazione era necessario ingaggiare una battaglia.

Iniziarono i sindacati organizzando col Partito comunista il primo Congresso del Popolo sardo, che fu presieduto il 6 maggio 1950, a Cagliari, da Emilio Lussu. Seguì un incontro dei sindaci, poi finalmente si mossero il Consiglio regionale e il Governo centrale, ma senza troppa convinzione: nominarono una Commissione di studio che per entrare in funzione dovette aspettare anni che venissero trovati i fondi. Mentre si succedevano studi e discussioni, il Consigli dei ministri iniziò ad accantonare i fondi: si parlava ottocento e più miliardi (di lire), poi ridotti a quattrocento, da spendere in 15 anni.

Intanto anche il processo legislativo andava avanti e il testo definitivo, dopo essere passato al Senato e alla Camera, comparve finalmente sulla Gazzetta ufficiale, col numero 588, l’11 giugno 1962.

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