La Nuova Sardegna

«La mia storia, tra Sanremo e Andy Warhol»

di Fabio Canessa
«La mia storia, tra Sanremo e Andy Warhol»

L’attrice a Cagliari per il festival Puntodivista I film con Germi, Bertolucci e Dario Argento  

03 dicembre 2021
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Nel corso della sua carriera da attrice è stata diretta da grandi registi come Pietro Germi, Bernardo Bertolucci, Dario Argento. Icona del cinema italiano e sex symbol dell’epoca, durante gli anni Settanta Stefania Casini ha anche condotto il festival di Sanremo e lavorato in America con Andy Wahrol. Ha poi avuto altre “vite”, come regista, giornalista, documentarista, produttrice. Un percorso che ricorderà domani sera a Cagliari ospite del PuntodivistaFilmFestival organizzato dall’associazione Art’In Produzioni. All’incontro, coordinato da Bepi Vigna, parteciperà anche il marito regista Giancarlo Soldi. «Sono contenta – dice – di tornare in Sardegna. Due anni fa ho girato nella vostra isola, grazie anche alla Film Commission, un breve film in realtà virtuale che si intitola “Mare Nostrum. The Nightmare”, lavorando anche con dei migranti». Apprezzata regista, ma tutti la ricordano soprattutto come attrice. Partiamo dal suo esordio al cinema, nel 1970: “Le castagne sono buone” al fianco di Gianni Morandi.

Come fu scelta?

«Semplice. Mi presentai al provino, come facevano tutte le attrici che venivano scelte in base all’aderenza al personaggio. Alla fine rimasi in lizza con Sabina Ciuffini, io feci il film e lei andò ad affiancare Mike Bongiorno in televisione».

A dirigerla un maestro come Germi. Che regista era?

«Particolarmente attento agli attori, in fondo lo era stato anche lui. Di sicuro mi ha insegnato tanto, fino a quel momento avevo fatto soltanto teatro. Sul set ricordo che era abbastanza appartato e non voleva farsi chiamare maestro e dottore».

Qualche anno dopo lavora con Bernardo Bertolucci in “Novecento”. Il ruolo non è grande, ma è entrato nella storia del cinema per la scena, che fece scandalo, in cui è a letto con Gerard Depardieu e Robert De Niro.

«Bernardo era uno straordinario direttore d’orchestra. E anche un amico, ci si vedeva a Roma. L’avevo conosciuto tramite frequentazioni comuni durante il montaggio di “Ultimo tango a Parigi” e dopo aver iniziato a scrivere “Novecento” un giorno mi disse che aveva pensato un personaggio per me chiamandolo Neve per le mie origini montanare (l’attrice è nata in provincia di Sondrio, ndc). Mi piacque moltissimo, anche se il ruolo di questa prostituta epilettica era complicato e prevedeva una scena particolare con gli attori protagonisti».

Com’erano De Niro e Depardieu?

«Molto diversi tra loro. De Niro, che aveva appena finito “Taxi Driver”, lo ricordo come uno meticoloso. Aveva un quadernino nero dove prendeva appunti su come aveva recitato in ogni sequenza. Depardieu invece più istintivo, simpatico, caciarone».

Poco dopo un altro film che ha fatto epoca: “Suspiria” dove è co-protagonista.

«Il film che mi ha dato più soddisfazione. Per il quarantennale mi hanno invitata a diverse proiezioni e dappertutto ho visto file di giovani appassionati. Ho firmato poster in tutte le lingue. Un cult, un film evergreen amatissimo in tutto il mondo».

Argento al suo meglio.

«Un autore molto particolare con una capacità unica di entrare nell’animo umano più profondo e tirare fuori sensazioni nascoste di paura, ansia, terrore. Utilizzando i mezzi a disposizione del regista: gli attori, le scenografie, il montaggio, la musica».

Come ricorda l’esperienza sul set di questo capolavoro dell’horror?

«Lavorare in un horror è una bellissima esperienza. Ovviamente prendi seriamente la parte, fai il tuo personaggio, ma è anche spassoso per i trucchi di scena. E non c’erano gli effetti speciali digitali di oggi, si trattava di affascinanti trucchi artigianali. Per esempio in una scena dovevo cadere in una vetrata ed ero impaurita anche se Dario mi diceva che era fatta di lastre d’orzo e non mi sarei fatta nulla. Dopo un po’ mi buttai. Aveva ragione, nessun danno e momento divertente».

L’anno dopo “Suspiria”, nel 1978, va con Beppe Grillo al festival di Sanremo.

«Voleva essere un festival figlio di quel tempo. Io non avevo abito da sera, indossavo una gonna indiana rosa, calzini bianchi, scarpe basse. La cosa particolare è che né io né Grillo volevamo presentare i cantanti. Così lui fece dei monologhi, io le interviste e per la conduzione classica fu scelta un’annunciatrice Rai (Maria Giovanna Elmi)».

A quel punto saluta l’Italia e si trasferisce in America.

«Me ne andai per un po’ a New York. Avevo conosciuto Andy Warhol già dal 1974 quando aveva prodotto un film girato in Italia da Paul Morrissey, “Blood for Dracula” in cui avevo recitato. Poi qualche anno dopo mi aveva chiamato in America per “Il male di Andy Warhol” diretto dal compagno Jed Johnson. New York era vivacissima, frequentavo artisti come Basquiat e Keith Haring. Tutto un mondo che gravitava attorno alla Factory di Andy, un personaggio fuori dal comune. Tra l’altro non l’ho mai visto toccare nemmeno un bicchiere d’alcol anche se in quell’ambiente girava di tutto. Lui andava semplicemente avanti ad hamburger e coca cola».

Fu allora che fare l’attrice smise di essere la sua principale attività?

«Sì, in America ho iniziato a fare cose per la televisione italiana, reportage. Poi il mio primo film da regista, scritto e diretto con Francesca Marciano: “Lontano da dove”. Al ritorno in Italia sono diventata documentarista. Girare il mondo, conoscere persone con qualcosa da dire era la cosa che mi interessava di più».

Non ha però mai abbandonato completamente la recitazione. Tra le collaborazioni più importanti spicca quella con Peter Greenaway, per “Il ventre dell’architetto”. Come ricorda l’esperienza con il geniale regista inglese?

«Lavorare con lui è stato fantastico. Quando gli ho detto che avevo fatto architettura ci siamo subito trovati. Lui è un regista che ha ben presente il linguaggio della composizione. Gli attori americani che recitavano nel film, abituati a un modo diverso di fare film, erano un po’ stupiti che non facesse quasi mai primi piani e girasse scene lunghe, con pochi tagli. Gli interessava appunto la composizione, come un quadro. E poi l’attenzione al colore. Fece dipingere anche le piante di rosso, il verde non doveva esserci se non indosso a me che rappresentavo l’anima maligna».

Negli ultimi anni è stata spesso anche produttrice di documentari diretti da suo marito Giancarlo Soldi.

«Già, ho fatto un po’ di tutto. Sono una persona curiosa».

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