La Nuova Sardegna

L’opera mondo di Énard Ogni paese è un universo

L’opera mondo di Énard Ogni paese è un universo

“Il banchetto annuale della confraternita dei becchini” dell’autore francese  Un omaggio barocco a Rabelais con l’amalgama vertiginoso tra cibo e lingua  

12 dicembre 2021
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Mathias Énard è una delle voci più interessanti della narrativa contemporanea europea. Vincitore nel 2016 del Premio Goncourtè del Von Rezzori con il corposo romanzo intitolato “Bussola” (E/O 2016), oltre che finalista nello stesso anno al Man Booker International Prize al Premio Strega Europeo, Énard è autore di una decina di libri tra poesia, racconti e romanzi; libri talvolta enciclopedici nei quali riesce a trascinare il lettore attraverso percorsi funambolici ma sempre plausibili, che sono il risultato di una vasta erudizione scevra però da un mero gusto esibizionistico. Opere mondo, si direbbe secondo una celebre definizione, dove ogni singolo paese, ogni singolo villaggio, e persino ogni singolo quartiere, diventa il pretesto per una narrazione universale, come accade nel suo ultimo romanzo intitolato “Il banchetto annuale della confraternita dei becchini” appena pubblicato da E/O nell’ottima traduzione di Yasmina Malaouah. Un libro barocco che, almeno per quanto concerne l’ambientazione, si allontana dai luoghi da sempre prediletti da Énard, vale a dire anzitutto quelli che si affacciano sul bacino del Mediterraneo (la Siria, la Turchia, il Marocco, ma anche l’Italia, i Balcani e la Spagna), per concentrarsi invece sulla regione paludosa e contadina della Deux-Sèvres, nell’Ovest della Francia, dove tra l’altro lo stesso Énard è nato e cresciuto.

Quella dei luoghi però non è solo una scelta di carattere autoreferenziale, ma risponde piuttosto alla volontà di omaggiare un autore a lui caro, vale a dire Rabelais, ripercorrendo i luoghi dove questi immaginò la sua “Abbazia di Théleme”. Un omaggio che a dire il vero si manifesta forse ancora più esplicitamente nell’amalgama iperbolico di cibo e lingua che caratterizza la narrazione – quanto più è abbondante il primo, tanto più è fastosa la seconda –, e nel tema del banchetto, già preannunciato dal titolo, anche qui organicamente associato, come sosteneva Bakhtin proprio a proposito di Rabelais, alla rappresentazione della vita, della morte, della rinascita e del rinnovamento.

Protagonista è un giovane studioso di etnologia, David Mazon, il quale, non proprio incline a climi esotici, decide di concentrare i suoi studi proprio su quella regione, stabilendovisi. Qui registra nelle pagine del suo diario le sue indagini sulla popolazione locale – i selvaggi locali, come nei momenti di sconforto li apostrofa amabilmente; indagini che procedono senza grandi risultati fino al momento in cui si ritrova a dover prendere parte a un evento che si celebra da secoli e che scandisce la storia di quello sperduto angolo di mondo, il banchetto annuale della confraternita dei becchini, organizzato e presieduto dal sindaco del paese, dove lo studioso si accorgerà dell’occorrenza di un curioso fenomeno.

Mazon, il quale potrebbe sembrare un personaggio irrilevante, tanto che nelle prime cento pagine – quelle costituite dal suo diario – il racconto sembra avanzare a fatica, diventa a questo punto il tramite irrinunciabile di una storia che aspettava da secoli di essere scritta: è proprio la sua mediocrità a diventarne la chiave di volta, l’unico elemento che consente lo spalancarsi su una narrazione polifonica e vastissima, che compie continui salti nello spazio e nel tempo, ricchissima di aneddoti e mai monotona che intreccia storia, arte, cultura popolare e letteratura.

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