La Nuova Sardegna

«Le mie lettere d’amore a Diego Maradona»

Fabio Canessa
«Le mie lettere d’amore a Diego Maradona»

Il giornalista consulente del festival della Maddalena Boris Sollazzo parla del suo libro dedicato al mito: «Genio del calcio, ma anche eroe di film e fiction tv»

19 dicembre 2021
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Giornalista, speaker radiofonico, critico cinematografico, direttore di festival (anche consulente di quello della Maddalena "La valigia dell'attore") e maradoniano militante. Per Boris Sollazzo, come si capisce subito dalla presentazione, il Pibe de Oro ha rappresentato moltissimo: «Era come uno di famiglia» dice. Ma si potrebbe usare anche il presente. Perché Diego, basta il nome, in fondo è immortale. Da poche settimane si è celebrato il primo anniversario della scomparsa e per l'occasione è uscita una sua particolare biografia. Emotiva come la definisce lo stesso autore: "Non avremo un altro D10S" (120 pagine, Bietti Edizioni, collana Fotogrammi). Una lettera d'amore nei confronti del fuoriclasse argentino che ha incarnato il riscatto dei napoletani. Boris Sollazzo in realtà è romano, ma con il cuore azzurro. Tifoso partenopeo da sempre.

«Mio padre - racconta - è nato in provincia di Benevento e ha vissuto vari anni a Napoli. Ha cercato di tenermi lontano dal calcio, da tifoso aveva avuto troppe delusioni, ma da piccolo ricordo la felicità in famiglia per la vittoria dell'Italia al Mondiale del 1982. Da lì inizio a vedere qualcosa, come possono fare i bambini, e poi un giorno compare la classifica della serie A in televisione. Non c'è ancora Maradona, il Napoli è ultimo e io indico che voglio tifare quella squadra in fondo alla classifica. Allora mio padre si arrende, capisce che è destino e che tipo di persona sarei diventata. Una di quelle che si mette dalla parte delle cause perse. Come lui».

Diego come Atlante. All'inizio dice l'incredibile e iconico gol di pallonetto alla Lazio, una delle sue tante prodezze, ma subito dopo ci ripensa. Alla domanda sul primo nitido ricordo di Maradona da tifoso costante del Napoli, Boris Sollazzo tira fuori una risposta sorprendente. Il rigore sbagliato in coppa Uefa contro il Tolosa, nell'autunno del 1986. Sembra l'ennesima delusione per i napoletani e invece da lì inizierà la cavalcata verso il primo, storico scudetto. «Mi è rimasto impresso quell'errore dal dischetto, visto in un televisore in bianco e nero Grundig. Con Maradona che si prende la colpa della sconfitta, anche se non era stato l'unico a sbagliare. Era così. Condivideva con i compagni le vittorie, che erano gran parte merito suo, e si assumeva le colpe quando le cose andavano male. Io lo paragono ad Atlante, reggeva sulle spalle il peso del mondo». La figura mitologica è citata nell'introduzione del libro, suddiviso poi in dieci capitoli. Ovviamente dieci, come il numero che ha sempre portato sulla maglia il campione di Villa Fiorito, il quartiere di Buenos Aires dov'è nato. Il numero che rappresenta il calciatore capace di giocate eccezionali, di cambiare le partite con un'invenzione. Come ha fatto tante volte Maradona.

Una vita da cinema. Sul Pibe de Oro sono stati scritti diversi libri e Boris Sollazzo racconta di non aver mai pensato di aggiungere alla lista una sua biografia. Poi il 25 novembre dell'anno scorso arriva la notizia della morte. «Improvvisamente vengo investito da una serie di condoglianze, anche da parte di persone che non mi conoscevano così bene, come se avessero percepito, sentendomi alla radio, leggendomi da qualche parte, seguendomi attraverso i social, che per me lui era qualcosa di più di un idolo calcistico». Un affetto che colpisce il giornalista e critico cinematografico al quale "Rolling Stone" chiede di fare un coccodrillo. «Scrivendo il pezzo, e poi dalla reazione ad esso, ho capito che avevo qualcosa da dire. C'era una parte di Maradona schiacciata dalle sue disavventure e non si riusciva a valutarlo sotto l'aspetto umano. Dopo averlo letto Ilaria Floreano, che dirige la collana Fotogrammi di Bietti Edizioni, mi ha chiesto di scrivere un piccolo volume per loro. All'inizio ero titubante, poi elaborando il lutto ho iniziato a buttare giù qualche idea e il libro ha preso forma. Unendo le mie passioni per il calcio e il cinema, cercando di raccontare Maradona attraverso frasi e personaggi di film che me lo ricordavano e che non fossero scontati».

Rambo e fight club. Un approccio originale che vede passare in rassegna una serie di noti film: da "Rambo" a "Fight Club", da "L'ultima tentazione di Cristo" a "Tucker - Un uomo e il suo sogno". Lungometraggi che non riguardano Maradona, ma che offrono spunti interessanti per capirlo meglio. «Parliamo - sottolinea l'autore - di un personaggio borderlife, con gli schemi della vita non poteva essere raccontato pienamente. Dal mio punto di vista bisognava utilizzare qualcosa che fosse oltre, il cinema appunto». Ecco così il Diego lasciato solo e tradito, quello politico e quello sognatore. «Per molti versi - aggiunge Sollazzo - è come un personaggio shakespeariano. Gli succede di tutto e alla massima potenza. Da qui, affidandomi all'istinto più che a scelte cerebrali, ho avuto l'idea di puntare su storie dove l'uomo si trova in situazione estreme. Come Rambo, combattente reduce dal Vietnam che non riesce a trovare il suo posto nel mondo, o come il protagonista di "Fight Club" con il suo alter ego interiore. Perché se in campo Diego incontrava Maradona, fuori c'era Diego e c'era Maradona. Si dividevano e combattevano. Il suo storico preparatore Fernando Signorini una volta ha detto: "Con Diego andrei in capo al mondo, con Maradona non prenderei nemmeno un caffè". Una frase molto significata».

Maradona e Kusturica. Nel libro, inevitabilmente, vengono citati anche film che direttamente o meno sono legati al più forte calciatore di tutti i tempi. Maradona d'altronde è quasi un genere cinematografico: «Ci sono circa trenta film di cui è protagonista o motore della storia e almeno cento in cui citato. Siamo a livelli di personaggi storici come Napoleone o Giulio Cesare» sottolinea Boris Sollazzo che limitando il giudizio alle opere riguardanti da vicino il campione non ha dubbi su quale sia il migliore: "Maradona by Kusturica", documentario firmato dal grande regista serbo. «Per la passione, il coinvolgimento emotivo. Non si può essere lucidi nel raccontarlo, avere la presunzione di trattarlo come materia fredda. E fra tutte le scene mi piace ricordare quella in cui Diego canta "La mano de Dios", brano sulla sua vita. Attorno ha la solita corte dei miracoli, ma lui guarda solo le donne della sua vita: la moglie Claudia e le figlie Dalma e Giannina. Sembra in quel modo chiedere loro scusa, cercando di spiegare il peso di essere Maradona. Una scena meravigliosa».

È stata la mano di Dio. Tra i lungometraggi che fanno riferimento a Maradona c'è anche il nuovo film di Paolo Sorrentino che dopo l'anteprima a Venezia (Gran Premio della Giuria) e l'uscita nelle sale, da qualche giorno è disponibile su Netflix. «Un'opera straordinaria, autobiografica, dove la presenza di Maradona è immanente e serve a far capire cosa fosse la Napoli dell'epoca». Gli anni Ottanta, quelli della giovinezza per il regista napoletano premio Oscar che a Boris Sollazzo ha regalato una preziosa intervista con la quale si conclude il libro. «Avevo chiesto di tenere aperto il volume fino all'uscita del film perché mi sembrava giusto che il decimo e ultimo capitolo riguardasse proprio "È stata la mano di Dio". Un lavoro che per Paolo ha un valore enorme, racconta la tragedia immane che l'ha colpito quando era un ragazzo, e avevo pudore di chiedergli un contributo. Pensavo semplicemente di guardare il film e scriverci io. Quando fanno l'anteprima a Napoli decido di andare e dopo averlo visto prendo il coraggio per dirgli che ho scritto qualcosa su Maradona e vorrei chiudere il libro con una sua intervista. Lui accetta, ci vediamo la mattina dopo e viene fuori una bellissima chiacchierata. Un momento che porterò sempre nel cuore, in cui ci siamo trovati tra ricordi e l'amore per i colori del Napoli e Maradona. Lui ha detto che Diego gli ha salvato la vita, a me sicuramente l'ha cambiata».

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