La Nuova Sardegna

Geppi Cucciari: «Porto in scena la donna “perfetta”. Ma non sono io»

Alessandro Pirina
Geppi Cucciari: «Porto in scena la donna “perfetta”. Ma non sono io»

L’attrice oggi a Tempio e da domani Cagliari con il suo monologo: «Una pièce che fa sorridere ma anche riflettere»

05 maggio 2022
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La sua satira graffia come poche. Alle sue battute non è insensibile neanche il presidente Mattarella. Ma questa volta Geppi Cucciari torna in scena nella sua Sardegna con uno spettacolo diverso dal solito. Un monologo figlio del talento eclettico della sua protagonista, ma soprattutto della penna pungente, intelligente e spassosa di Mattia Torre, drammaturgo e sceneggiatore tra i più influenti della scena italiana, scomparso nel 2019. “Perfetta”, l’one-woman-show che racconta un mese della vita di una donna attraverso le fasi del ciclo, sarà il 5 maggio a Tempio, dal 6 all’8 a Cagliari. Un ritorno nell’isola per l’attrice di Macomer reduce dal successo di “Che succ3de?” su Rai 3 e “Un giorno da pecora” su Rai Radio 1.

Partiamo dalla donna che porta in scena: chi è questa protagonista perfetta?

«Il titolo farebbe pensare a un qualcosa di personale, ma così non è. Non è riferito a me in quanto individuo. È una donna che non sono io, ha una età che non è la mia, ha marito, figli, colleghi. Rappresenta la donna che abita dentro ciascuna di noi e ha capito tante cose e le gestisce con una disinvoltura altalenante. Come nei momenti del ciclo. Perché il punto di partenza è proprio il ciclo con le sue alternanze e gli avvicendamenti ormonali, e si concluderà con un riflessione profonda e delicata».

Lo spettacolo è scritto da un uomo: quando ha letto il testo di Torre si è riconosciuta?

«Non esiste una scrittura di genere. Esiste la scrittura, esistono menti sensibili e raffinate come Mattia che ha sempre scritto in modo originale e vivace. Era un grande talento che sapeva leggere le cose con i suoi occhi speciali. Io mi sono fidata ciecamente di lui e lui ha scritto questo spettacolo per me. È una donna che non ha neanche un nome, ma chi ascolta potrebbe riconoscersi, perché porta in scena la vita di molte di noi, e forse anche di qualche uomo. Io avevo un fortissimo legame con Mattia, era un mio grandissimo amico che ha scritto per una persona che conosceva bene. Qualcosa di mio c’è sicuramente».

Mattia Torre è stato uno dei più grandi autori e sceneggiatori italiani: “Boris” su tutti. Cosa ha rappresentato per lo spettacolo italiano?

«Prima di portare in scena “Perfetta” avevo visto tutti i suoi spettacoli: da “Migliore” a “Gola”. Non saprei spiegare quanto è forte la costante dei suoi spettacoli quando esci da teatro, a prescindere da chi c’è sul palco. Tutti amiamo “Boris”, ma le ultime tre produzioni di Mattia, quelle dell’età più adulta, - “La linea verticale” in tv, “Figli” al cinema e “Perfetta” a teatro - ritengo siano la dimostrazione di una sensibilità unica nel raccontare la vita e le cose».

Musiche originali di Paolo Fresu, costumi di Antonio Marras: è anche uno spettacolo di eccellenze sarde.

«C’è anche Luca Barbati che si occupa di luci. Quanto ad Antonio e Patrizia sono miei amici carissimi, come anche Paolo e Sonia (Peana, ndr): il violino è il suo. Ho il privilegio di avere attorno a me persone di grande preparazione con cui ci sono anche grande affetto e stima».

Lei è un’attrice dal vocabolario molto ricco: quale è il linguaggio di “Perfetta”?

«In questo caso porto in scena il testo di un altro, che lui ha scritto per me. L’eloquio è quello di una donna raffinata, colta, con ragionamenti profondi. Parole che Mattia ha regalato a me, frutto del suo lavoro insieme a me. “Perfetta” è uno spettacolo di prosa, divertente, ma non è cabaret, è un monologo più delicato. Il che non vuole dire certo che rinnego da dove arrivo».

Nei suoi spettacoli quali percentuali hanno preparazione e improvvisazione?

«Se penso a “Che succ3de?” c’è bisogno di una struttura. Poi è naturale che nelle interviste, in base alle risposte, sconfini totalmente nella improvvisazione. Ma non potrei andare in onda mezz’ora al giorno improvvisando. Diciamo che non ci può essere improvvisazione senza preparazione, e viceversa».

Partire da Macomer e arrivare dove è arrivata è stato difficile?

«Il destino è una porta che si apre dall’interno. In Sardegna non sarebbe successo. Senz’altro è valsa la regola delle tre C: culo, cervello e cuore. Io ce le ho messe tutte e tre».

Qualche mese fa ha ribattuto a un utente che la criticava per l’accento sardo.

«Io parlo in un italiano abbastanza fluido, ogni tanto dico qualcosa in sardo. Non ho mai sentito accuse ad accenti di altre regioni ed è giusto così. La ricchezza degli accenti è la bellezza del nostro Paese».

“Che succ3de?” è un programma figlio della pandemia ma anche di un’era in cui tutti vogliamo dire la nostra.

«Il programma nasce dai “cugini disagiati” e ha rappresentato una opportunità di tornare in tv in un momento in cui era impossibile avere ospiti in studio. L’idea di collegarci con persone da ogni parte del mondo è stata anche la dimostrazione che tutti hanno qualcosa da raccontare».

Cosa rappresenta il festival di Tavolara per lei?

«È un pezzo di cuore. Ci andavo da spettatrice e diventare la conduttrice è stata una soddisfazione enorme. La mia estate inizia dopo che finisce Tavolara».

Il sogno di Geppi: condurre Sanremo o un film da Oscar?

«Ovviamente presentare Sanremo dopo l’Oscar (ride, ndr)). Ma credo siano due realtà diverse, una forse più plausibile per quanto non totalmente. Il cinema dà eternità, la tv dà un presente che è la ragione per cui ho scelto di farla: porta compagnia, entra nelle case, dà modo di raccontare tutto il mondo e ascoltare quello degli altri. Il cinema è una cosa bellissima, prima o poi farò il mio film. Ma non credo di vincere l’Oscar».

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