«La Sardegna è la terra delle esperienze da vivere»
Ugo Picarelli ideatore della Borsa del turismo archeologico
Vivere il tempo libero con “il piacere della conoscenza”, ma ancora di più: immergersi in epoche lontane attraversando luoghi testimoni della storia degli uomini. Fermarsi sentirsi, anche per un attimo, in un’altra epoca in un altro mondo. Se il turismo, il viaggio, il cambio di orizzonte è un essenziale percorso per abbandonare l’alienante succedersi degli impegni quotidiani, entrare a contatto con la bellezza e il fascino dell’archeologia sembra una strada adatta per realizzare questo desiderio. Ancora di più se le memorie antiche sono incorniciate da una natura straordinaria, da una tradizione gastronomica e culturale impagabile, come succede del Mediterraneo. Ma come rendere business la visita archeologica? Di questo si occupa da 24 anni la “Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico” che si svolge dal 27 al 30 ottobre a Capaccio Paestum, in provincia di Salerno. Ideatore e motore del Salone è Ugo Picarelli. Un imprenditore (e studioso, con un curriculum sterminato) dei meccanismi del turismo; da tutt’e due i lati: l’offerta e la domanda.
Dottor Picarelli una consulenza gratuita per la Sardegna. Isola che pare racchiudere tutti gli elementi per attirare sempre di più il turismo archeologico?
«Intanto vorrei precisare che, nonostante le ultime cattive imitazioni, il nostro Salone resta unico nel panorama internazionale. La nostra storia, se serve da esempio, è partita nel ’91 con il riconoscimento da parte dell’Unesco del patrimonio archeologico di Paestum. Ricchissimo, ma per larga parte conosciuto solo agli studiosi. La scelta vincente è stata aprirsi al mondo fin dal primo momento invitando l’archeologo algerino Mounir Bouchenaki, oggi presidente onorario della Borsa e segretario dell’Unesco, istituzione che è l’Onu del turismo. Bouchenaki ha accreditato la Borsa nei ministeri del turismo in tutto il mondo che è così cresciuta a livello internazionale, con decine di Paesi ospiti, diventando, in questi 23 anni, non solo un salone di scambio tra domanda e offerta ma un luogo d’incontro tra culture. Questo è testimoniato dal premio intitolato a Khaled al-Asaad, archeologo siriano ucciso dall’Isis nel 2015, per aver difeso il patrimonio della sua terra».
Aprirsi al mondo con spirito di condivisione delle culture, il primo ottimo consiglio, ma come si intercettano i desideri?
«Bisogna fare un passo indietro. Il nostro turismo, che diventava di massa, degli anni ’60 e ’70, puntava alla fidelizzazione offrendo i ritmi della quotidianità nell’albergo e in località facilmente raggiungibili. Questo aveva un significato psicologico confortante che ha portato poi al fenomeno di massa dei villaggi turistici, in posti magari lontani e alle crociere delle grandi navi. Poi è arrivata la rivoluzione dei trasporti: il low cost e l’aumento della capacità di spesa. Da una parte ha prodotto problematiche ambientali ma anche creato il turista-viaggiatore in cerca dell’identità dei luoghi, della crescita attraverso la conoscenza dell’alterità, con la responsabilità dei luoghi, da capire senza offendere. Così è arrivata l’offerta di un turismo più corretto e sostenibile. Questi itinerari esperienziali ben si sposano con il turismo archeologico».
Il terzo passo sembra essere quello degli aerei a terra, dei musei chiusi: il Covid...
«La pandemia, con tutti i suoi problemi, ha però aperto alla tecnologia. Il mondo dei musei e dei siti ha lavorato su portali e piattaforme espandendo la conoscenza del patrimonio a tutti, anche a chi restava chiuso in casa».
Tornando alla Sardegna che partecipa alla Borsa di Paestum con la Fondazione Monte ’e Prama?
«La Sardegna ha una storia che l’ha fatta entrare nel mito: nuragica, fenicia, romana. Un’isola, ma l’isolamento non è stato un gap, ma un fattore positivo che ha preservato la vostra identità, non solo culturale ma anche ambientale. Oggi vedo e leggo che le aree interne rinascono attraverso i sentieri del trekking, l’attenzione per il cibo e gli itinerari culturali. Tutto nato spesso da giovani. Questo è il vostro tesoro che fa la differenza, come l’imprenditorialità intelligente ai tempi di esperienze come Tiscali. Il modello della Fondazione è per me giusto, raccoglie pubblico e privato in un circuito virtuoso. Aver scelto come presidente un comunicatore (il giornalista Antony Muroni) che ha fatto dell’identità un vessillo è anch’essa un’ottima scelta. Un altro passo importante è creare opportunità di lavoro anche attraverso le associazioni culturali, che sono senza fine di lucro, ma possono comunque avere, al loro interno, giovani pagati. Un processo, e un obiettivo immediato, che in altre realtà ha avuto successo».
Ma cosa chiedono i buyers?
«Poche semplici cose: affidabilità e la certezza di non avere problemi. Non dimentichiamo che oggi nel mondo abbiamo molti competitori nuovi: Cina, Messico, Arabia Saudita. Paesi che hanno fatto enormi investimenti nell’accoglienza».