La Nuova Sardegna

L’intervista

Eleonora Giorgi e l’amore per l’isola: «A Bosa giravamo in moto e tutti ci guardavano»

di Alessandro Pirina
Eleonora Giorgi e l’amore per l’isola: «A Bosa giravamo in moto e tutti ci guardavano»

L’attrice: «Era il 1970, con una Honda attraversavamo i paesini, ricordo ancora gli sguardi allibiti...»

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C’è stata un’epoca del cinema italiano in cui in sala era quasi impossibile non imbattersi in Eleonora Giorgi. Ladra con Celentano, modella con Manfredi, strega con Pozzetto, cliente capricciosa del “Grand hotel excelsior”. E stralunata fidanzata di Verdone. C’è un’altra epoca del cinema italiano, quella attuale, in cui le attrici non più giovanissime non riescono a trovare spazio, se non piccoli ruoli, spesso marginali. Ma lei, Eleonora Giorgi, 69 anni, a questa conventio ad excludendum non ci sta.

Eleonora, cos’è il cinema?
«Io sono una ragazza molto cresciuta e vengo da un’epoca in cui era il mezzo dominante per qualità, stile. Nasco nel momento apicale del cinema italiano. Mio padre era produttore, ma la mia era una famiglia in cui il suo lavoro non entrava. Ho fatto cinema per caso. Scattai delle foto per una pubblicità e da lì è nato tutto. Per me il cinema non è una opzione culturale. Dopo l’essere nata è stato l’impatto più forte della mia vita».

I suoi inizi sono nella commedia sexy. Come è riuscita ad affrancarsi da quel genere?
«Fu incidentale che il mio primo film fosse inserito in quel filone. A modo suo aveva delle ambizioni: era prodotto da Tonino Cervi, i costumi erano di Tirelli, la troupe la stessa di “Ludwig” di Visconti. Mi trovavo a lavorare con Catherine Spaak, Umberto Orsini e Tino Carraro. Giravamo vicino al Colosseo. La mia vicina di camerino era Elizabeth Taylor. Non credo comunque avrei proseguito in quel filone».

Poi “Appassionata” con Ornella Muti. Rivali o amiche?
«C’era una immensa rivalità perché siamo nate in un cinema che consolidava i suoi interpreti, facendoli diventare icone. Ai tempi c’eravamo solo noi due, ci siamo combattute tutti i ruoli. Ci sono stati periodi in cui siamo state più vicine e nel mio primo film da regista l’ho voluta come protagonista. Da parte mia c’era un grande scambio, ma la Muti vive una vita riservata e non ci sono più state occasioni di incontrarci e vederci».

Quando è diventata Eleonora Giorgi, la star del cinema?
«Nel momento del primo ciak di quel primo film era come se fossi salita su una tigre con il motore di una Ferrari. È stato tutto talmente rapido. E in mezzo un matrimonio che mi ha dato immensa felicità ma mi è anche costato. Mi hanno trasformata in una Cenerentola vivente».

Moglie di Angelo Rizzoli: più un intralcio o un vantaggio?
«Io e Angelo eravamo un sodalizio molto forte, è stato immenso per la creazione della mia carriera. Ma è stata immensa anche la portata di questo pregiudizio che una certa parte di pubblico mi ha fatto scontare. Ma ripercorrerei tutto: sono grata dell’amore che ho vissuto con lui».

Celentano o Pozzetto?
«Sul set Adriano era più giocoso, circondato dal suo clan di amici che lo intrattenevano. Renato più discreto, ma la sua surrealtà lo rendeva irresistibile, mi faceva morire dal ridere».

Il personaggio più amato? Domanda forse scontata.
«Nadia Vandelli in “Borotalco”. Un punto di apice in cui mi ritrovo con il David in mano ma poi mi incaglio per questioni lontane dalla mia volontà. Un apice che diventa una stasi. Ma “Borotalco” è davvero un gioiello. Nasce dal desiderio mio e di Carlo di fare qualcosa insieme. È un film che esprime qualcosa di tenero che si rinnova a ogni generazione. Sergio Benvenuti ha dei sogni e cerca di sfuggire a un destino modesto. E lo stesso Nadia, il primo personaggio femminista in maniera positiva. Quando dice: “e mò credi che sto a casa a cucinarti? Anche io ho diritto alla mia dimensione”. È quello che noi donne di quegli anni abbiamo detto ai nostri padri».

Il rapporto con Verdone?
«Più che affascinante io sono buffa, goffa. Mi impiglio, cado, mi si rovescia la borsa sul red carpet. Carlo mi osserva e ride».

“Borotalco” le diede una popolarità immensa.
«Ero a Los Angeles in un ristorante italiano con Warren Beatty, Jack Nicholson, Anjelica Houston, Margaux Hemingaway. Entra un gruppetto di romani. Uno si volta verso il nostro tavolo: “ce stà la Giorgi”. E si lanciano verso di noi con le macchine fotografiche. Jack rimase impressionato: “ma allora sei molto famosa”».

Ha mai preso in considerazione Hollywood?
«Ebbi due occasioni, ma per “Gorky park” non ero credibile per essere una ragazza dell’est Europa perché italiana, per un altro troppo bionda per essere una italiana».

Il legame con la Sardegna?
«Mio padre lasciò il cinema e si trasferì a Bosa Marina, dove aprì un ristorante, il Don Chisciotte. Noi lo raggiungemmo nell’estate 1970. Ricordo la Sardegna come il luogo più straordinariamente selvaggio mai visto. Con una Honda attraversavamo i paesini e ricordo ancora questi signori allibiti che ci guardavano. Poi Angelo mi portò in Costa Smeralda, che lui già frequentava. Infine sono andata per conto mio al sud. Oggi vengo meno. Ma per me la Sardegna è un caro amico, Pietro, che sta a Bosa».

Oggi fa tanta tv.
«La tv mi permette di mantenere il rapporto con il pubblico. Mi diverto. Sono anche docente di recitazione in un’accademia: lo faccio perché posso entrare a contatto con il mondo dei ventenni. E poi durante la pandemia sono stata isolata a 30 chilometri da Roma e ho lavorato a un copione che diventerà anche un libro. Ho scritto un film su una storia d’amore tra una donna di 60 anni e un uomo di 25. Uno squilibrio accettato negli uomini, non nelle donne. Vorrei interpretarlo e dirigerlo».

Finalmente il ritorno al cinema.
«Mi auguro che finalmente il cinema riconosca il merito di chi ha fatto 47 film per un incasso totale di circa 300 milioni di euro. Io non faccio piccoli ruoli. È assurdo che l’uomo continui a fare film da protagonista a 60 anni, mentre la donna scompare a favore di soli ruoli di zia o nonna. Purtroppo non ho neanche colleghe a cui posso invidiare il cammino. Dove sono Giuliana De Sio, Monica Guerritore, Barbara De Rossi? Non le fanno lavorare. Ma io non demordo e sono sicura che tornerò al cinema da protagonista. Voglio uscire di scena viva e lavorante».

E infine è nonna di Gabriele.
«Sono devastata dalla felicità. Diventare nonni è una maternità che si rinnova. Ieri sono passata a trovarlo, era in braccio a mio figlio Paolo, mi ha visto e ha proteso le braccia verso di me: questo vale più di un premio Oscar».

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