La Nuova Sardegna

L’intervista

Simone Cristicchi: «Non baratterei mai la mia libertà»

di Alessandro Pirina
Simone Cristicchi: «Non baratterei mai la mia libertà»

Il cantautore romano il 22 agosto sarà a Tempio con il suo concerto-spettacolo: «Battiato e Merini mi trasmettevano una energia fortissima. Sanremo? All’inizio non lo volevo fare»

18 agosto 2023
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I suoi esordi sono legati a un tormentone estivo. Ma la stagione di Simone Cristicchi è andata ben oltre quei tre mesi canonici che sono spesso il trampolino di lancio di cantanti e band. In 18 anni l’artista romano ha scritto bellissime pagine di musica e poesia che ora sono al centro di “Lo chiederemo agli alberi”, il concerto-spettacolo che porterà inscena il 22 agosto a Tempio, nell’anfiteatro delle fonti di Rinaggiu. Un evento firmato Cedac, in cui Cristicchi sarà accompagnato da Riccardo Ciaramellari (pianoforte/tastiere e fisarmonica), Riccardo Corso (chitarre) e Antonio Iannetta (violoncello). Un'antologia di canzoni, ricordi, pensieri, emozioni di una vita d'artista.

Cristicchi, “Lo chiederemo agli alberi”, un concerto in cui ripercorre la sua carriera: è già tempo di bilanci?
«Mi reputo ancora un debuttante e sono ancora stupito di questa cosa incredibile che mi è successa. Non è un concerto-bilancio, ma la voglia di mettere in scena quello che sono diventato in questi anni. Avendo frequentato il mondo del teatro più della tv di me il grande pubblico conosce solo alcuni aspetti. Racconto tutto quanto è avvenuto in questi 15 anni attraverso monologhi, canzoni, poesie che mettono a fuoco il mio essere».

“Vorrei cantare come Biagio”. È la canzone del grande successo. Antonacci dice che non si è fatto più sentire…
«Non intendo rispondere a questa domanda, sono fuori da questo mondo».

“Fabbricante di canzoni”. Si riconosce in questa sua definizione?
«Si tratta di un gioco di parole dovuto al fatto che per dieci anni ho cercato di pubblicare un disco, ma ogni volta mi trovavo di fronte personaggi del mondo della discografia che mi invitavano a scrivere in maniera non naturale. Era una specie di laboratorio che sfornava successi radiofonici. Una scienza di cui ero ignaro, che si basa su frequenza, minutaggio. Insomma, che ha ben poco a che vedere con l’ispirazione. E proprio facendo ironia su questo ho dato il titolo al mio album. Ma l’arte è una cosa molto seria, che non ha a che fare con quella modalità».

“Ti regalerò una rosa”, un meraviglioso brano che le fece vincere Sanremo. Si parla di salute mentale, un tema fino ad allora mai cantato al festival.
«Quella canzone non nasce per Sanremo ma per un documentario che avevo realizzato sui manicomi. Dopo il primo disco avevo deciso di investire i soldi in questo film. Mi serviva una canzone per i titoli di coda e in poche decine di minuti vennero fuori il ritornello e la prima strofa. Il produttore mi chiese di finirla e, anche contro il mio parere, la fece poi sentire a Pippo Baudo, allora direttore artistico di Sanremo. Questa canzone ribaltò tutti i pronostici sino ad arrivare a vincere il festival. Una grande emozione».

“Nostra signora dei Navigli”. Come era Alda Merini?
«È una delle protagoniste di questo documentario. Fu una intervista molto faticosa, la realizzai l’anno prima di Sanremo. Era una personalità molto carismatica, con una sorta di aura di santità, che da una parte incuteva timore, dall’altra grande devozione. Una personalità forte, unica. Lei e Battiato sono le personalità che più di ogni altra mi hanno trasmesso un’energia fortissima. Di lei ricordo un continuo cambio di umore. Un momento era dolcissima, una bambina indifesa, un minuto dopo una tigre assetata di sangue. Non fu un incontro facile, l’intervista rischiò di non finire nel documentario. Poi, dopo la vittoria al festival, da Sanremo andai direttamente a Milano e mi presentai a casa sua con un mazzo di rose rosse».

“Meteora”. Ha mai avuto paura di un successo effimero?
«Quella sensazione l’ho vissuta quasi subito. Nel 2005 dopo “Vorrei cantare come Biagio” diventai una sorta di fenomeno estivo involontario. Dopo la grande esposizione mediatica subentrarono altri brani e artisti. Ho capito subito quel meccanismo, per anni ho cercato di esservi dentro, finché non ho deciso di prendere altre strade. Quel tipo di meccanismo ti stritola sia a livello mentale che di carriera. Relativizzare il tutto mi ha aiutato a essere un artista libero. Non lo baratterei con niente».

“Laura”. Perché una canzone per Laura Antonelli?
«La sua storia mi aveva colpito da quando ero ragazzino. Un giorno per caso capitai nella villa di Cerveteri in cui fu arrestata. Questo mi spinse a scrivere un brano su di lei, legato a quel concetto di cui parlavamo prima: il grande successo può uccidere, è un’arma a doppio taglio. Ho avuto anche il piacere di conoscerla, di frequentarla, ma lei non ha mai voluto ascoltare la canzone: aveva paura di rivivere emozioni che aveva rimosso».

“Magazzino 18”. Raccontare il dramma delle foibe le è costato professionalmente?
«Da una parte sono dieci anni che lo porto in scena, mi ha proiettato nel mondo dei grandi teatri stabili con un successo di critica e pubblico inarrestabile. Dall’altra parte, io sono sempre stato considerato - pur non avendolo mai dichiarato - un artista di sinistra e da parte di quel mondo c’è stata qualche chiusura. Non sono più stato invitato in alcuni contesti in cui fino a quel momento venivo chiamato a partecipare. Sono stato visto come una sorta di traditore, perché il tema delle foibe e dell’esodo è stato sempre ritenuto di matrice destrorsa, che la destra ha sempre portato avanti. Purtroppo mi sono accorto che su certi temi non ci può essere una memoria condivisa».

La “Studentessa universitaria” diventata “Laureata precaria” oggi che fa?
«Io sono uno che vede sempre il bicchiere mezzo pieno e dunque la vedo realizzata, ha trovato la sua strada. Non posso che pensare questo. Siamo in un momento in cui viene messa in luce la bruttezza del mondo. Io vado controcorrente. Io vedo un mondo meraviglioso in cui i sogni si possono realizzare, in cui le persone buone esistono ma hanno sempre meno spazio».

“Testamento”. Cosa c’è nel futuro di Simone Cristicchi?
«Da un anno e mezzo sono in tournée con uno spettacolo su Battiato. E poi ne sto preparando uno nuovo su San Francesco. L’ennesima sfida che mi sono procurato con al centro un gigante della storia e della spiritualità che dopo 800 anni è ancora qui a indicarci una direzione».

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