La Nuova Sardegna

Mostre

La scoperta dell’universo di Bona, il mondo rifatto dal surrealismo

di Paolo Curreli
Un opera di Bona de Mandiargues al museo Nivola a Orani
Un opera di Bona de Mandiargues al museo Nivola a Orani

Vita e pittura avventurosa fino a febbraio al Nivola di Orani

28 settembre 2023
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La prima cosa che viene in mente uscendo dalla mostra proposta dal museo Nivola è una domanda: «perché un’artista di questa levatura è cosi poco conosciuta?». Non solo all’editoria d’arte di più largo consumo ma, ci rivelano, perfino dalla critica e dagli storici. Invece, “Bona de Mandiargues. Rifare il mondo”, la mostra al museo di Orani – visitabile fino al 5 febbraio del 2024 – è la scoperta entusiasmante di una personalità creativa, attraverso un’opera multiforme e un’esperienza visiva assolutamente da non perdere. L’esposizione raccoglie l’attività dell’artista dai primi esordi quando, ospite dello zio Filippo De Pisis, si trasferisce a Parigi. Sarà il primo passo per “una vita a duecento all’ora” come racconta la figlia Sybille nel bel catalogo della mostra, a cui rimandiamo per sapere di più sulla avventurosa esistenza di Bona Tibertelli de Pisis (1926-2000). Una vita da surrealista che ha attraversato il Novecento, ricca di incontri con artisti e intellettuali, a partire dal celebre zio e dal marito André Pieyre de Mandiargues, (romanziere e drammaturgo parigino figlio di Lucie Bérard, la bambina con i cappelli rossi e il camice bianco ritratta da Renoir nel 1884). La coppia di giovani intellettuali viene invece ritratta dal Henri Cartier-Bresson, l’opera di Bona avrà testi critici di Ungaretti e Calvino, solo per citare alcuni dei tanti intrecci da scoprire nella storia dell’artista. La mostra racconta molto bene questo percorso, dai primi passi accademici, dove però traspare la potenza introspettiva nell’autoritratto dai grandi affascinanti occhi scuri, attraverso i paesaggi e i mondi onirici popolati da strani esseri “suggeriti” dai legni portati dal mare sulla spiagge del Golfo di Orosei che col marito esplora nel 1952 (come ne “La volta”). E gli animali totemici che abiteranno l’immaginario di Bona per tutta la vita, all’incontro con la pittura automatica.

Mondi dell’inconscio che si rivelano attraverso la tecnica del frottage sulla tela ( “Montagne”, 1956) o indagando tessuti e intonaci per scoprire un filo che accompagni verso il labirinto oscuro dei mondi interiori e le pulsioni erotiche o per evocare le forze immanenti, sovrumane della magia. Questo “viaggio” dall’oggetto trovato, dalla macchia alla tela, funziona non solo per le muse che ispirano Bona ma anche per lo spettatore che osserva, ammirato, l’opera di trasmutazione alchemica di un tappo di champagne che diventa il sole dorato. Insomma visitando la mostra viene, invece, in mente un altro pensiero: «Se la storia dell’arte non racconta l’arte di Bona, sarà Bona a raccontare la storia dell’arte». Ma non un’antologia, un breviario manierista del “modi” del Novecento, ma una partecipazione attiva, originale, alimentata da una curiosità sconfinata e da un’anima lacerata (raccontano bene i curatori) la cui auto-cura è una creatività senza limiti che coraggiosamente esplora – e trova una soluzione –, anche agli enormi dolori dell’esistenza, come la violenza in giovane età e i ricoveri per i disagi mentali che Bona affronterà nella sua vita. Un percorso dal surrealismo all’inconscio, attraverso Freud e Jung, il rifiuto della civiltà delle macchine alla ricerca delle verità irrazionali della magia e la saggezza delle civiltà indigene. In tutto questo si dipana la sua pittura e gli eccezionali collage di tessuti recuperati dagli abiti del marito (e anche in questo gesto c’è un simbolismo)e poi istoriati dalla macchina da cucire. Forse la stessa macchina citata “dell’indagine paranoico critica” di Dalì. Tessuti come in Burri o Baj ma con un altro modo, originale, di vedere la memoria della materia, per arrivare alle volute psichedeliche, assolutamente in linea con i tempi, dell’Autoritratto (1968) che evoca la decorazione che “cura la città” di Hundertwasser. Ma sono solo alcune – e molto personali – letture del mondo evocato da Bona, che rimane un universo tutto da esplorare, facendosi conquistare dal suo incredibile sguardo scuro e affascinante sull’esistenza. La ricchezza del percorso artistico di Bona de Mandiargues, la sua multiforme produzione (al centro della nostra fascinazione) è invece per Altea: «Una delle ragioni di questo oblio risiede nel carattere di una pittura che si sottrae alle definizioni univoche».

Una mostra davvero da visitare, una scoperta e una proposta di cui essere grati al Museo Nivola e alle curatrici e ai curatori Giuliana Altea, Antonella Camarda, Luca Cheri e Caterina Ghisu. Un incontro fertile, ancora da raccontare nei particolari che siamo sicuri incuriosiscono il pubblico, con Sybille Pieyre de Mandiarguese, la figlia di Bona e André, curatrice di diverse mostre d’arte e regista, con alle spalle diverse interessanti produzioni. Sybille vive a Cagliari, dove conserva una vasta collezione dell’opera della madre. Un rapporto tra la nostra isola e l’artista che si spera porti ad altre iniziative. Il catalogo “Bona de Mandiargues. Rifare il mondo”, 80 pagine, 25 euro, a cura di Giuliana Altea e Antonella Camarda è edito da Allemandi.

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