La Nuova Sardegna

L’intervista

Tiziana Ferrario: «Sento troppe fake news e partigianeria. Io scelgo Enrico Mentana e i media stranieri»

di Alessandro Pirina
Tiziana Ferrario: «Sento troppe fake news e partigianeria. Io scelgo Enrico Mentana e i media stranieri»

Il volto storico del Tg1 ha ricevuto a Cagliari il Premio Lussu alla carriera: «Quando sono entrata alla Rai noi giornaliste eravamo pochissime»

15 ottobre 2023
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Da decenni racconta il mondo agli italiani. L’ha fatto per quasi 40 anni da anchorwoman del Tg1, da inviata nei Paesi più caldi del pianeta, e anche da autrice di libri che mettono in luce la sua passione per quanto accade oltre i nostri confini. Ieri Tiziana Ferrario ha ricevuto il Premio Lussu alla carriera a Cagliari, dove ha presentato anche il suo ultimo romanzo “La bambina di Odessa. La battaglia di una madre, la promessa fatta a un figlio” (Chiarelettere, 2022).

Tiziana, cosa rappresenta per lei questo premio?
«Mi ha piacevolmente sorpreso. Sono contenta, anche perché ricorda un uomo sardo importante che si è battuto per valori che condivido. È un onore».

Tre aggettivi per descrivere la sua carriera.
«Inaspettata. Molto interessante. E incompleta, perché ho ancora voglia di fare».

Quando era bambina sognava i giornali o la tv?
«Io ho iniziato a collaborare con la carta stampata, ma la tv è arrivata molto presto. Erano gli anni Settanta, nascevano le tv private, palestre aperte a chi aveva voglia di misurarsi con questo strumento nuovo. Ero ancora al liceo, ma la tv diventò subito una grande passione».

Volto tra i principali del Tg1, ma la sua carriera inizia a Telemilano, la futura Canale 5.
«Ho cominciato in alcune tv milanesi, tra cui Telemilano, che era stata aperta da Berlusconi. Erano gli albori di quella che sarebbe diventata Canale 5. Ma io intanto ero già entrata in Rai».

Dal 1979 alla Tgr lombarda, poi dal 1982 al Tg1 a Roma: fu dura lasciare Milano?
«Fu faticosissimo dal punto di vista psicologico. Ma in realtà Milano non l’ho mai lasciata. È la mia città, quella in cui ho conservato la mia famiglia, i miei amici. Roma mi ha accolta, mi ha dato tantissimo. Non è una città semplice, ma se non fossi arrivata nella Capitale non avrei potuto fare tutto quello che ho fatto. E qui è nato mio figlio».

Le donne nel tg di allora?
«Si contavano sulle dita di una mano. Non c’erano modelli di riferimento. Anche nelle redazioni dei giornali Oriana Fallaci e poche altre. Le giornaliste tv erano rare e occupavano spazi di giorno, mai nelle ore di punta. Per fortuna è cambiato tutto».

In onda al tg per quasi quarant’anni: il momento che non potrà mai dimenticare?
«Indimenticabile è la diretta dell’11 settembre. Ognuno di noi ricorda cosa stava facendo quando i due aerei dei terroristi si sono schiantati sulle Due torri. Passai il pomeriggio a raccontare quanto succedeva a New York. O la diretta della strage di Beslan per mano dei terroristi ceceni. Questo da conduttrice. Ma anche da inviata ho avuto il privilegio di vivere in prima persona pagine di storia. Ho sempre voluto capire meglio il mondo e per anni mi sono alternata tra conduzione e inviata. Eccetto i primi dieci anni di mio figlio, quando mi inventai il Gt dei ragazzi».

Vinse anche due Telegatti.
«Un lavoro di squadra incredibile tra il Tg1 e la rete. Usavamo le vere scalette del tg ma con un linguaggio diverso, perché dovevamo anche raccontare cose negative, abituare i ragazzi a non essere indifferenti a ciò che accadeva intorno. Oggi i 35enni mi fermano e mi dicono quanto si sentivano considerati ai tempi».

Non crede che l’informazione italiana sia troppo presa dalle beghe di casa e si occupi poco di cosa succede oltre confine?
«Verissimo, c’è un monopolio della politica interna sulla visione del mondo e questo si ripercuote sulle persone. Da noi si tende ad avere una dimensione troppo provinciale. Quando succedono fatti internazionali come quelli che stiamo vivendo in queste ore sento il bisogno di ricorrere a fonti straniere, di un racconto diverso riferito non solo al contesto italiano».

Al Tg1 ha fatto tutto il cursus honorum. La direzione è mai stata nei suoi pensieri?
«Non ho mai avuto questo tipo di ambizione. Si deve lavorare sempre sulle possibilità. Lì servono molti accordi politici e io sono la persona meno adatta».

Il direttore dei direttori?
«Ce ne sono tanti che porto nel cuore. Ho lavorato bene con tutti, tranne uno».

Ha più incontrato Augusto Minzolini?
«Solo in tribunale».

Il suo ultimo libro è “La bambina di Odessa”. Un romanzo, ma anche una storia vera.
«Quella di Lydia Franceschi è stata una vita di grande dolore e di grande coraggio. Ha visto un figlio ucciso dalla polizia, ha condotto una battaglia di 26 anni per avere la verità. È una storia di grande resistenza, che appartiene all’Italia. Siamo sempre alla ricerca di donne che hanno fatto la storia del nostro Paese. Lydia, che fu anche staffetta partigiana, è una di queste».

L’informazione di oggi?
«Non se la passa bene, ma non perché non ci sia bisogno di informazione. Purtroppo siamo sommersi da un flusso di notizie false e tutto questo crea disaffezione nei confronti dell’informazione. Bisogna fare un enorme sforzo per fare capire che la credibilità è cosa diversa dalla partigianeria. Quando non piacciono le notizie i giornalisti vengono accusati di raccontare frottole. Questo non accade solo tra le persone comuni. L’esempio più forte è arrivato da Donald Trump, che quando non gradiva le notizie parlava di fake news. Qualcosa di simile è avvenuto anche a casa nostra. La stampa seria è sotto attacco, ma deve anche essere meno partigiana e lavorare come guardiana dei poteri».

Quale telegiornale guarda?
«Molti tg stranieri a seconda dei fatti, la Cnn o i media inglesi. Ma sono una che ancora guarda la tv e alle 8 metto Enrico Mentana».

Le fa effetto vedere Bianca Berlinguer su Rete 4?
«Ognuno è libero di fare le scelte che fa e gli altri di trarne le conclusioni. Ma non è un tema che mi ha appassionato».

Se dovesse iniziare oggi partirebbe ancora dalla tv? §
«Oggi conta conoscere le regole base del giornalismo. Questo vale per qualsiasi mezzo: giornale, tv, siti, social, podcast. Non c’è più un mezzo che prevale sugli altri. Oggi un giornalista deve sapere fare tutto: è quello che le scuole di giornalismo insegnano. Non puoi più pensare di specializzarti. L’importante è avere presenti le regole di un giornalismo corretto. Il giornalista non deve essere partigiano, ma è un testimone dei fatti che dà voce a più persone per aiutare chi non è presente in un luogo a capire cosa succede lontano da lui».

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