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Davide Grittani e la mediocrità della politica

di Luciano Piras

	Davide Grittani (foto ritratto di Nicky Persico)
Davide Grittani (foto ritratto di Nicky Persico)

“Il gregge” è il nuovo romanzo dello scrittore e giornalista pugliese

16 febbraio 2024
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«In cabina elettorale si consuma un trapasso, dalla vita reale a quella cui ci illudono di partecipare: così votare – che non è mai stato un gesto umano, giacché incoraggia una goffa selezione della specie – è diventato il safari che conosciamo. Fotografare gazzelle in attesa dei leoni». Questo uno dei passi più significativi tratti da “Il gregge” (Alter Ego Edizioni; pagg. 224; 18 euro; da oggi in libreria e nei bookstore online), nuovo romanzo del giornalista e scrittore pugliese Davide Grittani. «Con un romanzo sorprendente e una scrittura rabdomante – sottolinea Roberto Saviano nella quarta di copertina –, Grittani mescola stile a rancore civile, letteratura a indignazione. Leggendolo ci si rende conto che rinunciando all'etica, in fondo, rinunciamo alle nostre stesse vite». Già distintosi come interprete delle cosiddette “chronicle novel”, anche in questo romanzo Grittani recupera una storia del recente passato che ha «direttamente a che fare col modo di intendere la società, la vita, più in generale il nostro tempo».

Dopo essersi occupato di trapianti ne “La rampicante” e delle responsabilità degli adulti nella piaga della pedofilia ne “La bambina dagli occhi d’oliva”, l’autore racconta «stavo lavorando a un romanzo sulla vanità alla base di alcune ossessioni della società moderna, quando mi sono accorto che tutte le ricerche che stavo conducendo stranamente portavano verso la politica, verso la sua oggettiva mediocrità. Sempre documentandomi sul libro che intendevo scrivere, sono capitato in questa storia straordinaria e al tempo stesso inquietante, cioè l’elezione di un candidato sindaco, purtroppo non più disponibile al ruolo, nell’ambito di una consultazione elettorale a Sulmona nel 2013. Era chiaro che l’interrogativo non era più relativo all’accaduto, ma molto più attinente alla percezione della nostra politica. L’interrogativo era diventato cos’è davvero il consenso? Cosa sappiamo noi del consenso?».

La breve epopea di una grottesca campagna elettorale, scritta ricorrendo agli strumenti della satira e del teatro dell’assurdo, al centro di un romanzo sull’apocalisse etica di certa politica e di certe abituali condotte del Paese.

«Nel romanzo due personaggi chiave sono rispettivamente un siciliano e un sardo – spiega Grittani –, nel tentativo letterario di incarnare e quindi rappresentare l’assoluto disinteresse della politica nei confronti di queste terre, che invece hanno fatto la storia italiana anche in circostanze drammatiche. Fare interpretare a queste due macchiette due personaggi chiave del romanzo, ho pensato che potesse essere un modo per riportare all’attenzione dei lettori l'aberrante logica degli slogan a effetto con cui ci si approccia a due territori di straordinaria importanza come Sicilia e Sardegna: la prima tenuta quasi in ostaggio da questo rebus sullo stretto, la seconda di cui si parla unicamente in occasione delle elezioni e poi mai più».

In particolar modo centrale la figura di un faccendiere sardo, un mediocre tuttofare e millantatore che «incarna la nuova prerogativa di certi italiani, quella di non sapere niente ma di saperlo vendere benissimo. Questa esibizione delle mediocrità, quasi una paradossale ostentazione, che appartiene a tutti i popoli italiani, era una provocazione per ricordare che invece il talento dei sardi è così cristallino da aver partorito quello che, insieme a Pier Paolo Pasolini, può essere a giusta ragione ritenuto l’ultimo intellettuale del ’900. Quando invece ci si accontenta della demagogia e del populismo, come rischia di fare la Sicilia con il ponte sullo stretto, si umilia il grande passato che da quelle terre, Sardegna inclusa, ancora ci insegna a vivere... ».

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